MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 412



CDXII. Elogio del giglio delle convalli, simbolo di Maria, e sacrificio di Pietro per il bene di Giuda.­

   8 aprile 1946.

   412.1Il gruppo apostolico ha volto le spalle alla pianura e per vie collinose, fra monti e convalli, si dirige verso Gerusalemme. Per abbreviare la via non hanno preso le strade maestre, ma scorciatoie solitarie, faticose ma molto spedite.
   In questo momento sono nel fondo di una verde convalle ricca d’acque e di fioretti, né mancano gli steli odorosi delle convallarie, cosa che fa osservare al Taddeo che molto giusto è appellare il mughetto «giglio della convalle» e lodarne la bellezza, fragile eppure resistente e così delicatamente fragrante.
   «Però sono gigli all’incontrario», osserva Tommaso. «Guardano in giù invece che in su».
   «E come sono piccini! Abbiamo fiori più pomposi di questo. Non so perché l’hanno tanto lodato…», dice Giuda urtando con sprezzo un ciuffetto di mughetti in fiore.
   «No! Perché? Sono così gentili!», interviene Andrea in difesa dei poveri fiori, e si china a raccogliere gli steli spezzati.
   «Sembrano fieno e nulla più. Più bello è il fiore dell’agave, così maestoso, potente. Degno di Dio e di fiorire per Dio».
   «Io ci vedo più ancora Dio in questi calici minuti… Ma guarda che grazia!… Dentellati, così concavi… Paiono di alabastro, di cera vergine, e lavorati da manine piccolissime… Invece è l’Immenso che li ha fatti! Oh! Potenza di Dio!…». Andrea è quasi estatico nella contemplazione e meditazione dei fiori e della Perfezione creativa.
   «Mi sembri una femminuccia malata di nervi!…», motteggia Giuda di Keriot ridendo maligno.
   «No. Veramente trovo anche io, e orafo sono e perciò me ne intendo, che questi steli sono una perfezione. Più difficili a farsi nel metallo che non l’agave. Perché sappi, amico, che è l’infinitamente piccolo che rivela la capacità dell’artefice. Dammi uno stelo, Andrea… E tu, dall’occhio bovino che ammira solo il grandioso, vieni qui e osserva. Ma quale artefice poteva fare queste coppe così leggere, perfette, decorarle di quel topazio minuscolo là nel fondo e unirle al gambo con questo stelo di filigrana curvo così, aereo così… Ma è una meraviglia!…».
   «Oh! che poeti sono sorti fra noi! Anche tu, Toma, così…».
   «Non stolto, sai, non femmina, sai? Ma artista. E sensibile artista. E me ne vanto.

   412.2Maestro, ti piacciono questi fiori?». Tommaso interpella il Maestro, che ha tutto ascoltato senza parlare.
   «Tutto della creazione mi piace. Ma questi fiori sono fra i prediletti…».
   «Perché?», chiedono in diversi. E contemporaneamente chiede Giuda: «Anche le vipere ti piacciono?», e ride.
   «Anche esse. Servono…».
   «A che?», interrogano in molti.
   «A mordere. Ah! Ah! Ah!», ride offensivo Giuda.
   «Allora dovrebbero piacere moltissimo a te», gli ribatte il Taddeo spezzandogli la risata sotto il sottinteso molto esplicito. Ora sono gli altri che ridono della botta ben data.
   Gesù non ride. È anzi pallido e triste. Guarda i suoi dodici, e specie i due antagonisti che si guardano l’uno con ira, l’altro con severità, e risponde a tutti per rispondere all’Iscariota in particolare.
   «Se Dio le ha fatte, segno è che servono. Nulla di inutile, di totalmente nocivo è nel creato. Solo il Male è nettamente e solamente nocivo, e guai a quelli che se ne lasciano mordere. Uno dei frutti del suo morso è l’incapacità di distinguere più il Bene dal Male, è la deviazione della ragione e della coscienza pervertita verso cose non buone, ed è la cecità spirituale per la quale, o Giuda di Simone, non si vede più risplendere la potenza di Dio sulle cose, anche se minute. In questo fiore essa sta scritta per la bellezza, il profumo, la forma così diversa da quella di ogni altro fiore, per questa goccia di rugiada che trema e splende sospesa al ciglio cereo del minuscolo petalo e pare una lacrima di riconoscenza per il Creatore che ha fatto tutto, e tutto bene, tutto utile, tutto variato. Ma è detto che tutto era bello ai progenitori finché non ebbero le cataratte del peccato… E tutto parlava loro di Dio finché sulle cose, meglio, nella loro pupilla non fu istillato l’umore che svisò la loro capacità di vedere Dio… Anche al momento attuale, Dio tanto più si disvela più lo spirito è re in una creatura…».
   «Salomone cantò le meraviglie di Dio e così Davide… e non avevano certo lo spirito re! Maestro, questa volta ti ho colto in fallo».
   «Ma impudente che sei! Come osi dire questo?», scatta Bartolomeo.
   «Lascialo parlare… Non ne tengo conto. Parole che il vento disperde e delle quali non si scandalizzano erbe e piante. Noi, unici che le ascoltiamo, sappiamo dare ad esse il peso che meritano, non è vero? E non le ricordiamo più. La giovinezza è
   spesso irriflessiva, Bartolmai. Compatiscila…

   412.3­Ma qualcuno mi aveva chiesto perché preferisco il giglio delle convalli… Ecco che rispondo: “Per la sua umiltà”. Tutto parla in esso di umiltà… I luoghi che ama… l’attitudine del fiore… Mi fa pensare alla Madre mia… Questo fiore… Così piccino! Eppure, sentite come odora un solo stelo. L’aria intorno se ne profuma… Anche mia Madre umile, schiva, ignota, che chiedeva solo di rimanere ignota… Pure il suo profumo di santità fu tanto forte che mi aspirò dal Cielo…».
   «Ci vedi un simbolo di tua Madre in quel fiore?».
   «Sì, Toma».
   «E pensi che i nostri antichi, lodando il giglio della convalle, presentissero Lei?», chiede Giacomo d’Alfeo.
   «Allora l’hanno anche paragonata ad altre piante e fiori. Alla rosa, all’ulivo e ai più gentili animali: tortore, colombe…», dice quasi con ira l’Iscariota[104].
   «Ognuno le diceva ciò che egli vedeva di più bello nel creato. E del creato Ella realmente è la Tutta Bella. Ma Io la chiamerei[105] Giglio della convalle e pacifico Ulivo se dovessi celebrare le sue lodi», e Gesù si rasserena e illumina pensando a sua Madre, e si dilunga per isolarsi…

   412.4­Il cammino continua, nonostante l’ora calda, perché il fondo valle è un susseguirsi di piante che riparano il sole.
   Pietro, dopo qualche tempo, affretta il passo e raggiunge il Maestro. Lo chiama piano: «Maestro mio!».
   «Mio Pietro!».
   «Ti disturbo se vengo con Te?».
   «No, amico. Che vuoi dirmi di così urgente che ti spinge a venire presso il Maestro tuo?».
   «Una domanda… Maestro, io sono un uomo curioso…».
   «Ebbene?». Gesù sorride nel guardare il suo apostolo.
   «E mi piace sapere tante cose…».
   «Ciò è difetto, Pietro mio».
   «Lo so… Ma non credo che questa volta sia difetto. Volessi sapere delle cose brutte, delle birbonate per poter criticare chi le ha fatte, oh! allora sarebbe difetto. Ma Tu vedi che io non ti ho chiesto se Giuda c’entrava nella chiamata a Bétèr e perché…».
   «Ma ne avevi una grande voglia…».
   «Sì. È vero. Ma anzi ciò è merito più grande, no?».
   «È merito più grande. Come grande merito è dominare se stessi. Questo dimostra, in chi lo fa, una buona, seria evoluzione nello spirituale, un veramente attivo apprendere e assimilare le lezioni del Maestro».
   «Sì, eh?! E Tu ne sei contento?».
   «Oh! Pietro, me lo chiedi? Beato ne sono».
   «Sì? Proprio sì? O Maestro mio! Ma allora il tuo povero Simone è quello che ti fa così felice?».
   «Sì. Ma non lo sapevi già?».
   «Non osavo crederlo. Ma vedendoti tanto felice, ieri ti ho fatto interrogare. Perché pensavo che poteva essere anche Giuda quello che si migliorava… benché non abbia prove di ciò… Ma io posso vedere male. Giovanni mi ha detto che Tu gli hai detto che sei felice perché c’è uno che si fa santo… Poi, poco fa, Tu mi dici che di me sei contento perché mi faccio più buono. Ora so. Quello che ti fa felice e allegro sono io, il povero Simone…

   412.5Però adesso vorrei che i miei sacrifici facessero mutare
   Giuda. Non sono invidioso. Vorrei tutti perfetti per farti perfettamente felice. Ci riuscirò?».
   «Confida, Simone, confida e persevera».
   «Lo farò! Certo che lo farò. Per Te… e anche per lui. Perché non ci deve certo godere ad essere sempre così. In fondo… potrebbe essermi quasi figlio… Uhm! Veramente preferisco essere padre a Marziam! Ma… gli farò da padre lavorando per dargli un’anima degna di Te».
   «E di te, Simone», e Gesù si china e lo bacia sui capelli.
   Pietro è tutto beato… Dopo un po’ chiede: «E non mi dici altro? Non c’è altro di buono, qualche fiore fra le spine che trovi da per tutto?».
   «Sì. Un amico di Giuseppe che viene alla Luce».
   «Davvero? Un sinedrista?».
   «Sì. Ma non bisogna dirlo. Pregare si deve. Soffrire per questo. Non mi chiedi chi è? Non sei curioso?».
   «Molto! Ma non lo chiedo. Un sacrificio per questo sconosciuto».
   «Te benedetto, Simone! Oggi mi fai proprio felice. Continua così e ti amerò sempre più e sempre più ti amerà Dio. Ora fermiamoci attendendo gli altri…».

[104] dice quasi con ira l’Iscariota è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta insieme con la parola anche di due righe più sopra.
[105] la chiamerei, come in: Cantico dei cantici 2, 1-2Siracide 24, 14.