MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 418



CDXVIII. Guarigione del discepolo Giuseppe, ferito al capo e ricoverato nella casetta di Salomon.­

   13 aprile 1946.

   418.1Al paese di Salomon. Gesù vi giunge a notte alta. La luna, per la posizione in cui si trova, fa pensare che siano le due circa antimeridiane. Una bella luna, appena un poco scema, che raggia da mezzo il cielo sereno spandendo pace sulla terra. Pace e rugiade abbondanti, le forti rugiade dei paesi caldi, benefiche alle piante dopo l’arsione diurna del sole.
   I pellegrini devono avere seguito il greto del fiume, che verso le rive è asciutto essendo il fiume più ristretto nel suo alveo per la magra estiva. E risalgono dai canneti sino al bosco che limita le sponde e le sostiene con la rete delle radici piantate nella terra prossima all’acqua.
   «Sostiamo qui, in attesa del mattutino», dice Gesù.

   418.2«Maestro… io sono tutto un dolore…», dice Matteo.
   «Ed io temo di avere la febbre. Non è sano il fiume in estate… Lo sai», rincara Filippo.
   «Peggio sarebbe stato se dal fiume fossimo risaliti ai monti giudei, però. Anche questo si sa», dice lo Zelote che ha pietà di Gesù, al quale tutti dicono le loro piccole paure e lamenti e del quale nessuno comprende lo stato d’animo.
   «Lascia fare, Simone. Hanno ragione. Ma fra poco riposeremo… Vi prego, poco tempo ancora di cammino… E poco d’attesa qui. Vedete come la luna volge il suo corso a occidente. Perché destare quel vecchio e forse Giuseppe ancora malato[122], quando fra poco è giorno?…».
   «È che qui è tutto molle di guazza. Non si sa dove stare…», brontola l’Iscariota.
   «Hai paura di sciuparti la veste? Va’ là, che dopo queste marce da galeotti fra polveri e rugiade non c’è più da pavoneggiarsi di essa! E del resto… così piacerebbe di più all’amabile Elchia. Le tue greche… ah! ah! quelle della balza e delle maniche sono rimaste a brandelli sugli arbusti spinosi del deserto di Giuda, e quella del collo te l’ha distrutta il sudore… Ora sei un perfetto giudeo…», dice sempre allegro Tommaso.
   «Un perfetto sudicio, e ne ho schifo», rimbecca irato l’Iscariota.
   «Ti basti aver mondo il cuore, Giuda», dice pacato Gesù. «Quello ha valore…».
   «Valore! Valore! Siamo estenuati dalla stanchezza, dalla fame… Perdiamo la salute e quella sola ha valore», dice sgarbato Giuda.
   «Io non ti trattengo per forza… Sei tu che vuoi rimanere».
   «Ormai!… Mi conviene farlo. Sono…».
   «Ma dilla pure la parola che ti brucia: “sei compromesso agli occhi del Sinedrio”. Ma puoi sempre riparare… e riacquistare la sua fiducia…».
   «Non voglio riparare… perché ti amo e voglio stare con Te».
   «Veramente lo dici in un modo che più che amore sembra odio…», mastica fra i denti Giuda d’Alfeo.
   «Ebbene… ognuno ha il suo modo di esprimere l’amore».
   «Eh! già! C’è anche chi ama la moglie ma l’ammazza di botte… Non mi piacerebbe questo genere d’amore», dice Giacomo di Zebedeo tentando troncare l’incidente con uno scherzo.
   Ma nessuno ride. Però, grazie a Dio, nessuno ribatte.
   Gesù consiglia: «Andiamo a sederci sulla soglia di casa. La grondaia è larga e ripara dalla guazza, e vi è quella sporgenza a far da base alla casetta…».
   Ubbidiscono senza parlare e, raggiunta la casetta, si siedono in fila ai suoi piedi.
   Ma la semplice osservazione di Tommaso: «Ho fame. Queste camminate notturne mettono fame», ridesta la questione.
   «Macché camminate! È che si vive da giorni con niente!», gli risponde sempre l’Iscariota.
   «Veramente da Niche e da Zaccheo si è mangiato e bene, e Niche ci ha dato tanto che l’abbiamo dovuto dare ai poveri, perché si sarebbe guastato. Il pane non ci è mai mancato. Ci ha dato pane e companatico anche quel carovaniere…», osserva Andrea.
   Giuda, che non può smentirlo, tace.

   418.3Un gallo lontano saluta il primo indizio d’albore.
   «Oh! bene! Fra poco è l’alba!», dice Pietro stirandosi perché s’era quasi addormentato.
   Attendono in silenzio che si avanzi il giorno.
   Un belato in un chiuso… Poi un sonaglio lontano sulla via maestra, ai loro antipodi… Un vicino cru-cru dei colombi di Anania. Una rauca voce d’uomo fra i canneti… È un pescatore che torna con la pesca notturna e impreca perché è poca. Vede Gesù e si arresta. Esita, poi dice: «Se te la do, mi prometti abbondanza in futuro?».
   «Per guadagno o per bisogno?».
   «Per bisogno. Ho sette figli, la donna e la madre della donna».
   «Hai ragione. Sii benefico e ti prometto che non ti mancherà il necessario».
   «Tieni, allora. C’è anche, lì dentro, quel ferito che non si riprende nonostante le cure…».
   «Dio ti rimuneri e ti dia pace», dice Gesù.
   L’uomo saluta e se ne va, lasciando i suoi pesci infilati per la bocca in un rametto di salcio.

   418.4­Ripiomba il silenzio, rotto appena dal frusciare delle canne, da qualche zirlo d’uccello… Poi un cigolio vicino. Il rustico cancelletto che Anania ha costruito gira stridendo e il vecchietto si affaccia sulla via scrutando il cielo. Lo segue la pecora belando…
   «La pace a te, Anania!».
   «Maestro! Ma… da quando lì? Perché non chiamare, non farti aprire?!».
   «Da poco. Non volevo disturbare nessuno… Come sta Giuseppe?».
   «Sai?… Male sta. Gli esce materia da un’orecchia e soffre molto nel capo. Io credo che morirà. Ossia, credevo. Ora ci sei Tu e credo che guarirà. Uscivo a cercare erbe per degli impiastri…».
   «I compagni di Giuseppe sono qui?».
   «In due. Gli altri sono andati avanti. Qui è Salomon e Elia».
   «Vi hanno dato noia i farisei?».
   «Appena partito Tu. Poi più. Volevano sapere dove eri andato. Ho detto: “Da mia nuora, a Masada”. Ho fatto male?».
   «Hai fatto bene».
   «E… ci sei proprio stato?». Il vecchio è trepidante.
   «Sì. Sta bene».
   «Ma… non ti ha ascoltato?…».
   «No. Occorre pregare molto per lei».
   «E per i piccoli figli… Che li allevi al Signore…», dice il vecchio e due lacrimoni scendono a dire ciò che egli tace. Termina: «Li hai visti?».
   «Uno posso dire di averlo visto… Gli altri li ho intravisti. Stanno tutti bene».
   «Offro a Dio rinuncia e perdono… Però… è tanto amaro dire: “Non li vedrò più”…».
   «Vedrai presto tuo figlio e con lui sarai in pace in Cielo».
   «Grazie, Signore.

   418.5Entra…».
   «Sì. Andiamo subito dal ferito. Dove è?».
   «Sul letto migliore».
   Entrano nell’orto ben ordinato e da questo nella cucina e dalla cucina nella cameretta. Gesù si china sul malato, che dorme gemendo. Si china, si china… e gli alita sull’orecchio avvolto in filacce già piene di pus. Si rialza. Arretra senza rumore.
   «Non lo desti?», chiede sottovoce il vecchio.
   «No. Lascialo dormire. Non ha più dolore. Si ristorerà. Andiamo dagli altri».
   Gesù accosta senza rumore la porta e passa nel camerone dove sono i lettucci acquistati l’altra volta. I due discepoli, stanchi, dormono ancora.
   «Vegliano sino a mattutino. Io da mattutino a sera. Sono stanchi, perciò. Sono tanto buoni».
   I due devono dormire a orecchi aperti, perché si destano subito: «Maestro! Il nostro Maestro! In tempo venisti! Giuseppe è…».
   «Guarito. Ho già fatto. Dorme e non sa. Ma non ha più nulla. Non avrà che mondarsi dal marciume e sarà sano come avanti».
   «Oh! Allora mondaci anche noi, perché abbiamo peccato».
   «In che?».
   «Per assistere Giuseppe non siamo stati al Tempio…».
   «La carità fa un tempio in ogni luogo. E nel Tempio della carità è Dio. Se tutti ci amassimo, la Terra sarebbe tutta un Tempio. State in pace. Verrà un giorno che Pentecoste vorrà dire “Amore”. Manifestazione dell’amore. Voi avete fatto, precorrendo i mesi, la Pentecoste futura, poiché avete amato il fratello vostro».
   Dall’altra stanza la voce di Giuseppe chiama: «Anania! Elia! Salomon! Ma io sono guarito!»; e l’uomo appare ricoperto solo dalla tunica corta, smagrito, ancora pallido, ma senza sofferenza. Vede Gesù e dice: «Ah! Tu fosti, Maestro mio!», e corre a baciargli i piedi.
   «Dio ti dia pace, Giuseppe, e perdonami se per Me soffri­sti».
   «Mi glorio di aver versato del sangue per Te come lo versò mio padre. Ti benedico di avermi reso degno di questo!». Il viso popolano di Giuseppe sfavilla nella gioia di queste parole e si fa nobile, di una bellezza che viene da luce interiore.

   418.6Gesù lo carezza e parla a Salomon: «La tua casa serve a fare molto bene».
   «Oh! perché è tua, adesso. Prima non serviva che ai sonni pesanti del traghettatore. Ma sono contento che ti abbia servito e abbia servito a questo giusto. Ora avremo qualche giorno buono, qui con Te».
   «No, amico. Voi partirete subito. Non ci è più concesso ristoro. Questo tempo sarà proprio di prova, e solo le forti volontà resteranno fedeli. Ora spezzeremo insieme il pane, poi partirete, subito, lungo il fiume, precedendomi di mezza giornata».
   «Sì, Maestro. Anche Giuseppe?».
   «Anche. A meno che egli tema nuova ferita…».
   «Oh! Maestro! Volesse Iddio che avessi a precederti nella morte dando il mio sangue per Te!».
   Escono nell’orto rugiadoso, brillante al primo sole. E Anania fa gli onori di casa cogliendo i fichi primaticci dai rami più propizi alla maturazione, e si scusa di non poter offrire un piccioncino perché le due nidiate sono state usate per il malato. Ma ci sono i pesci, e svelti svelti si danno a preparare il cibo.
   Gesù passeggia fra Elia e Giuseppe, che raccontano l’avventura passata e la forza di Salomon che ha portato a spalla il ferito per degli interi chilometri, fatti un po’ per volta, di notte…
   «Ma tu, Giuseppe, perdoni, non è vero?, a chi ti ha ferito?».
   «Non ho mai avuto rancore per quegli infelici. Ho offerto il perdono e la sofferenza per la loro redenzione».
   «Così va fatto, discepolo buono! E Ogla?».
   «Ogla è andato con Timoneo. Non so se continuerà a seguirlo o se si fermerà all’Ermon. Parlava sempre di volere andare al Libano».
   «Già. Dio lo guidi per il meglio».

   418.7­Ora un grande cinguettio di uccelli fa coro nelle fronde, e belati, voci di bimbi, di donne, ragli, carrucole che cigolano nei pozzi, denotano che il paese è desto.
   Nell’orto stesso vengono spezzati i pani e distribuiti i pesci, e poi si consuma il pasto e subito dopo, benedetti da Gesù, i tre discepoli lasciano la casa, percorrendo svelti la via sino al fiume e immergendosi nei canneti freschi e ombrosi… Non si vedono più…
   «Ed ora riposiamo fino a sera e poi seguiamoli noi pure», ordina Gesù.
   E chi sui lettucci, chi su un mucchio di reti che Anania ha intrecciate, dicendo che così non sta in ozio e guadagna il suo pane quotidiano, si stendono nella ricerca di un buon sonno ristoratore.
   Anania intanto, raccolte le vesti sudate, esce senza far rumore, chiude porta e cancello e scende al fiume a detergerle, perché siano fresche e asciutte per la sera…
   

   418.8­Dice Gesù:
   «E qui metterete la visione: “Gesù in un paesello della Decapoli” del 2-10-44, e poi l’altra: “L’indemoniato della Decapoli” del 29-9-1944».

[122] Giuseppe ancora malato è il discepolo ex-pastore, percosso e ferito come si è visto in 404.5.