MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 477



CDLXXVII. A colloquio con la Madre nel bosco di Matatia. Le sofferenze morali di Gesù e di Maria.

   21 agosto 1946.

   477.1Gesù è solo. Solo su un pianoro un poco fatto a conca, che con una lieve e pur continua ondulazione sale per il versante dei colli che cingono certo il lago di Galilea, perché lo vedo in basso, a destra, incupire il suo azzurro bellissimo per il sopraggiungere del tramonto, che ritira da molta parte di lago il folgorante saettare dei raggi solari. Dietro alla conca, a nord, le montagne di Arbela e oltre, più alte, quelle di oltre lago dove sorgono Meieron e Giscala, e a nord est, lontano, ma potente e regale sempre da qualunque parte lo si veda, il Grande Ermon, che il sole al tramonto percuote bizzarramente nel picco maggiore, facendolo di un topazio rosa ad occidente e lasciandolo al suo colore opalino, tendente a quell’indefinibile sfumatura di un niveo azzurrino che ho visto qualche volta sulle vette delle nostre Alpi di confine.
   Io guardo a nord, e questo vedo, come vedo senza fatica a destra, in basso, il lago, a sinistra e più alti i colli che impediscono di vedere la pianura della costa. Ma se mi volgo a mezzogiorno vedo il Tabor oltre dolci colline, che sono certo quelle che cingono Nazaret. Una cittadina è giù, in basso, presso una via di grande transito, dove la gente si affretta per raggiungere i luoghi di tappa.
   Gesù non guarda nulla di ciò che guardo io. Cerca soltanto un posto per sedere e lo elegge ai piedi di un poderosissimo leccio, che con le sue fronde ha riparato le erbe del suolo dal solleone, per cui esse sono ancora fresche e folte come se l’estate non fosse passata bruciando. Gesù ha così di fronte il lago, al fianco il sentiero fra le piante per il quale è salito, all’altro lato le ondulazioni che recingono a nord la conca prativa e boschiva dove si trova, e tutta verde, perché le piante sono per lo più lecci e altre, ossia piante perenni, che l’autunno non tocca. Soltanto qua e là mostrano un punto rosso sangue per una foglia che trascolora prima di cadere, cedendo il posto a quella embrionale che già nasce vicina a quella che muore.
   Gesù, molto stanco, si appoggia al tronco potente e sta qualche tempo ad occhi chiusi, come per riposare. Ma poi prende la sua posa abituale, staccandosi dal tronco, piegandosi un poco in avanti, con i gomiti sui ginocchi, gli avambracci sporti in avanti, le mani unite con le dita intrecciate. E pensa. E prega certo. Ogni tanto, per qualche rumore che avviene vicino a Lui — uccelli che rissano cercando il posto per la notte, qualche animale fra l’erba che fa precipitare un sasso per la china, un ramo che urta contro un altro per un soffio solitario di vento — alza gli occhi e, con uno sguardo assorto che certo non vede, li volge in direzione del rumore, specie se è in direzione della stradina che sale fra i lecci. Poi li riabbassa di nuovo concentrandosi in Se stesso. Due volte guarda con attenzione il lago che ora è già in ombra, e poi volge il capo a guardare ad occidente, dove il sole è scomparso dietro i colli boscosi, e la seconda volta si alza e va proprio sul sentiero e guarda se sale qualcuno, poi torna al suo posto.

   477.2Infine ecco un rumore di passi e due figure che spuntano: Maria vestita di azzurro cupo e Giovanni carico di sacche. E Giovanni chiama due volte: «Maestro!», e appena Gesù si volge dice: «Ecco tua Madre», e l’aiuta a valicare un piccolo rio e alcuni ciottoloni, messi sul sentiero con l’intenzione di rassodarlo e renderlo comodo a chi sale o scende, in realtà con l’utile di farne dei veri trabocchetti per il piede semiscalzo.
   Gesù si alza subito per venire incontro alla Madre e l’aiuta con Giovanni a salire la macia franata, che dovrebbe trattenere il pianoro. In realtà solo i radiconi dei lecci fanno questo ufficio. Ora Maria è sorretta dal Figlio che l’osserva e le chiede: «Sei stanca?».
   «No, Gesù», e gli sorride.
   «Mi sembra invece che tu lo sia. Mi spiace averti fatta venire. Ma non potevo venire Io…».
   «Oh! non è nulla, Figlio mio. Un poco accaldata sono. Ma qui si sta bene… Tu piuttosto sei tanto stanco e anche il povero Giovanni…».
   Ma Giovanni scuote il capo ridendo e deponendo la sacca, nuova e ben gonfia, di Gesù e la sua sull’erba, ai piedi del leccio, e si ritira dicendo: «Vado giù. Ho visto una fonticella. Mi rinfresco un poco in quell’acqua. Ma sentirò se mi chiamate», e si ritira lasciando liberi i Due.

   477.3Maria si allenta il manto e si leva il velo asciugandosi il sudore che le imperla la fronte. E guarda Gesù e gli sorride e ne beve il sorriso, perché Egli pure le sorride mentre le carezza la mano e se la appoggia sulla guancia per averne la carezza. Così «figlio» in quell’atto che gli ho visto fare altre volte! Maria libera la mano e gli ravvia i capelli, levandone un pezzettino di corteccia d’albero rimasta fra le ciocche, ed ogni mossa delle dita è una carezza tanto è l’amore con cui è fatta. E parla: «Sei tutto sudato, Gesù. Il manto sulle spalle è umido come ti fosse piovuto addosso. Ma ora potrai prenderne un altro. Questo lo ritiro io. È stinto dal sole e dalla polvere. Avevo tutto pronto, e… Aspetta! So che hai appena mangiato e una crosta di vecchio pane con un pugno di ulive, salate tanto da morderti le fauci. Me lo ha detto Giovanni, che non faceva che bere appena arrivato. Ma io ti ho portato pane fresco. L’avevo appena sfornato, e un favo di miele che avevo tolto ieri dall’alveare per darlo ai bambini di Simone. Ma per loro ne ho altri favi. Prendilo, Figlio mio. È della nostra casa…», e si curva ad aprire la sacca che ha, sopra a tutte le cose che contiene, un basso cestino di vimini con delle frutta e, sopra a queste, un favo avvolto in lunghe foglie di vite, e offre tutto al Figlio con del pane fresco e croccante.
   E, mentre Gesù mangia, Ella leva dalla sacca gli indumenti che ha preparato per i mesi invernali, solidi, caldi, atti a riparare dal freddo e dall’acqua, e li mostra a Gesù che le dice: «Quanto lavoro, Mamma! Avevo ancora quelli dello scorso inverno…».
   «Gli uomini, quando stanno lontani dalle donne loro, devono avere tutto di nuovo per non avere bisogno di riparare niente per essere ordinati. Ma non ho sciupato nulla. Questo mio mantello è il tuo accorciato e ritinto. Per me va bene ancora. Ma per Te non andava più. Tu sei Gesù…».
   Dire cosa c’è in questa frase è impossibile. «Tu sei Gesù». Una frase semplice. Ma tutto l’amore della Madre, della discepola, dell’ebrea antica per il Promesso Messia e dell’ebrea del tempo benedetto che possiede Gesù, è in quelle poche parole. Se la Madre si fosse prostrata adorando suo Figlio come Dio, non avrebbe avuto che una forma ancor limitata nella sua forma venerabonda. Ma in queste parole è più di un’adorazione formale delle ginocchia che si piegano, della schiena che si curva, della fronte che tocca il suolo: qui è tutto l’essere di Maria, la sua carne, il suo sangue, la sua mente, il suo cuore, il suo spirito, il suo amore, che adora totalmente, perfettamente il Dio-Uomo.
   Io non ho mai visto cosa più grande, più assoluta, di queste adorazioni di Maria al Verbo di Dio che le è Figlio, ma che Ella sempre ricorda che le è Dio. Nessuna delle creature che, guarite o convertite da Gesù, vedo adorare il loro Salvatore, neppure le più ardenti, neppure quelle inavvertitamente teatrali sotto l’impeto dell’amore, hanno un “che” che assomigli a questo. Esse amano totalmente, ma sempre da creature alle quali manca sempre qualcosa per essere perfette. Maria ama, oso dire, divinamente. Ama più che creatura. Oh! è proprio la Figlia di Dio immune da colpa! Per questo può amare così!… E penso a cosa ha perduto l’uomo col Peccato d’origine… Penso a cosa ci ha rubato Satana col suo travolgere i Progenitori. Ci ha levato questa potenza di amare Dio come lo ha amato Maria… Ci ha levato la potenza di amare bene.

   477.4Intanto che io considero queste cose guardando la Coppia perfetta, Gesù, finito il suo pasto, è scivolato a sedere sull’erba ai piedi della Madre, posandole il capo sui ginocchi come un fanciullo stanco e anche triste che si rifugia dall’unica che lo può confortare. E Maria lo carezza sui capelli, sfiora la fronte liscia del suo Gesù. Sembra che voglia fugare tutte le stanchezze e tutte le pene che sono in quel suo Figlio, con quella carezza. Gesù chiude gli occhi e Maria sospende la carezza, rimanendo con la mano posata sui capelli, guardando davanti a Lei, pensosa, immobile. Crede forse che Gesù si addormenti. È tanto stanco…
   Ma Gesù riapre gli occhi quasi subito, vede che la sera viene, vede che non è concesso prolungare quell’ora di conforto e allora alza il capo, rimanendo seduto dove è, e parla.
   «Lo sai, Mamma, da dove vengo?».
   «Lo so. Me lo ha detto Giovanni. Due anime che tornano a Dio. Una gioia per Te e per me».
   «Sì. Scendo a Gerusalemme con questa gioia».
   «A conforto della delusione che hai avuta lo stesso giorno che ci siamo lasciati».
   «Come lo sai? Te lo ha detto Giovanni? Egli solo sa…».
   «No. Io gliene ho chiesto. Ma Giovanni ha risposto: “Madre, fra poco tu lo vedrai. Chiedine a Lui”».
   Gesù sorride dicendo: «Giovanni è fedele sino allo scrupo­lo».

   477.5Una sosta. Poi Gesù chiede: «Chi dunque te ne ha parlato?».
   «Non a me. Sono venuti dei… degli uomini da Giuseppe tuo fratello. E… egli è venuto da me. Era ancora un poco… Sì, Figlio mio. È sempre meglio dire la verità. Un poco inquieto dopo il tuo incontro con lui a Cafarnao, e specialmente dopo il discorso che fu tra Giuseppe e Giuda e Giacomo. Si sono visti in tua assenza e anche Giacomo, anzi, soprattutto Giacomo fu severo… Molto… Direi troppo. Però l’Eterno, sempre buono, ha tratto da questo dissapore un bene. Certo perché è stato un dissapore venuto da due fonti d’amore. Diverse, è vero, ma sempre amore. Imperfette, è vero. Perché, se fossero perfette, se almeno una fosse perfetta, non sarebbe trascesa all’ira… Dire ira forse è troppo forte per dare un nome allo stato d’animo di Giacomo, ma certo egli fu molto, molto severo… Tu lo avresti certamente richiamato alla carità. Io… non ho approvato, ma ho compatito perché ho compreso ciò che rendeva così inquieto il sempre paziente Giacomo. Non si può pretendere che sia perfetto… È un uomo. È ancora molto uomo lui pure. Oh! ce ne è della via da percorrere ancora perché Giacomo giunga ad essere un giusto come era il mio Giuseppe! Egli… sapeva dominarsi sempre… ed essere sempre buono…
   Ma io divago! Dicevo che l’amore imperfetto dei due per Te — perché ti amano, oh! tanto. Anche Giuseppe, benché non sembri a prima vista. Ma è proprio amore per Te tutte le cure che si prende anche per questa povera donna. Ed è amore per Te il suo modo di pensare, da vecchio israelita fisso nelle sue idee come suo padre. Cosa darebbe per vederti amato da tutti! A modo suo… Certo… —. Ma, venendo al fatto, ti devo dire che Giuseppe, al quale non ha fatto male il contegno sicuro di Giacomo, si è messo a venire da me ogni giorno, e sai perché? Perché gli spieghi le Scritture, “come tu e tuo Figlio le capite” ha detto. Spiegare le Scritture alla luce della Verità!… È difficile quando chi ci ascolta è un Giuseppe d’Alfeo, ossia uno che crede fermamente al regno temporale del Messia, alla sua nascita regale e a tante altre cose!
   Ma a fargli accettare l’idea che il Re d’Israele deve essere di stirpe regale, di Davide sì, ma non occorre che sia nato in una reggia, mi ha servito l’orgoglio suo stesso. Egli… oh! come ci tiene ad esser della stirpe di Davide! Gli ho detto dolcemente tante cose… e questa idea l’ho raddrizzata in lui. Egli ammette, ora, per concordanza con le profezie, che Tu sei il profetizzato. Ma non sarei riuscita, oh! non sarei, a farlo convinto che Tu, che la tua grandezza vera è proprio nell’essere Re nello spirito, unica cosa che ti possa fare Re universale ed eterno, se non fosse venuta in due riprese della gente a cercarlo… I primi, ancora quelli di Cafarnao e altri con loro, dopo averlo nuovamente sedotto con abbacinanti promesse di grandezza per tutta la casa, vedendolo meno propenso a cedere in loro favore — essi pretendevano che egli ti forzasse e mi forzasse a farti accettare una corona — si sono traditi passando a minacce… Le solite velate minacce che essi usano. Coltelli taglienti avvolti in morbida lana per farli parere innocui… E Giuseppe ha reagito dicendo: “Io sono il più vecchio, ma Egli è maggiorenne e nella nostra famiglia non mi risulta siano mai stati degli stolti o dei pazzi. Come maggiorenne già da quattro lustri, Egli sa ciò che si fa. Andate dunque e interrogatelo, e se Egli ricusa lasciatelo stare. È responsabile delle sue azioni”.
   Ma poi, e proprio la vigilia del sabato, sono venuti dei tuoi discepoli… Mi guardi, Figlio? Lascia che io non ti dica il loro nome, ma lascia che ti dica di perdonarli… Un figlio che avesse alzato le mani sulla canizie del padre, un levita che avesse profanato l’altare e temesse l’ira di Jeové, non sarebbero come essi erano… Venivano da Cafarnao dove ti avevano cercato… Avevano fatto le vie del lago da Cafarnao a Magdala e poi a Tiberiade sperando trovarti. E si erano incontrati con Erma e Stefano, che scendevano con altri a Gerusalemme dopo essere stati ospiti di Gamaliele qualche giorno. Io non voglio dire ciò che essi hanno detto, ciò che ti vogliono dire, e ardono di dirtelo. Ma le loro parole avevano aumentato ancor più il dolore dei discepoli che furono traviati tanto da unirsi a chi ti voleva tradire con una bugiarda unzione. Quando vennero era da me Giuseppe. E bene fu. Oh! Giuseppe non è ancora giunto alla Luce, ma è già nel crepuscolo della sua aurora. Giuseppe ha capito l’insidia e… ti ama molto, ora, Giuseppe nostro. Ti ama, non oso dire giustamente, ma almeno da parente anziano che soffre del tuo soffrire, che veglia sulla tua incolumità, che conosce i tuoi nemici…
   Ecco perché so cosa ti hanno fatto, Figlio mio. Un dolore… E una gioia, perché in più di uno ti ha riconosciuto per ciò che sei. Per Te e per me, questo dolore e questa gioia. E perdoniamo a tutti, non è vero? Io ho già perdonato i pentiti, per quanto mi era concesso».
   «Mamma, potevi dare ogni perdono anche per Me. Perché Io avevo già perdonato vedendo il loro cuore. Sono uomini… Hai detto bene tu!…

   477.6Ma Io ho anche la gioia di vedere Giuseppe procedere verso l’aurora della vera Luce…».
   «Sì. Egli sperava vederti. Era bene che lo vedessi. Oggi era assente sino al tramonto. E avrà dolore a non vederti. Ma lo potrà fare a Gerusalemme».
   «No, Madre. Io non starò a Gerusalemme in modo da esser visto. Ho bisogno di evangelizzare la città e i posti ad essa vicini, e ne sarei subito cacciato se mi scoprissero. Dovrò dunque agire come uno che fa il male, mentre voglio fare solo del bene… Ma così è».
   «Allora non vedrai Giuseppe? Egli parte domani per i Tabernacoli. Potevate fare il viaggio insieme…».
   «Non posso…».
   «Tanto ti perseguitano già, Figlio mio?». Che affanno è nella voce della Madre!
   «No, Madre. No. Non più di prima. Rassicurati. Anzi… Spiriti buoni vengono a Me. Altri, che buoni non sono, si arrestano meditando mentre prima colpivano senza ragione, i discepoli aumentano, quelli anziani sempre più si formano, gli apostoli si perfezionano. Non dico di Giovanni, egli è stato sempre una grazia che il Padre mi ha fatta; ma dico di Simone di Giona e degli altri. Simone, che posso dire giorno per giorno si muta da uomo qual era in apostolo, e tu sai ciò che voglio dire. E mi dà tanta gioia. E Natanaele e Filippo che si sciolgono dai legami delle loro idee. E Tommaso e… Ma che dico! Tutti. Sì, credilo. Tutti in quest’ora sono buoni: la mia gioia. Tu devi stare quieta sapendomi con loro: amici, consolatori, difensori del tuo Figlio. Fossi tu così difesa e amata!».
   «Oh! io ho Maria, ho le mogli di Giuseppe e Simone e loro stessi e i bambini. Ho il buon Alfeo. E poi chi non vuol bene a Maria di Nazaret, a Nazaret? Tu devi stare tranquillo… Un intero paese ama la tua Mamma».
   «Ma non mi ama ancora, meno pochi. Lo so, e so che il loro amore per te è intriso della compassione che si ha per la madre di un folle e di un vagabondo. Ma tu sai che non lo sono e che ti amo.

   477.7Tu sai che il separarmi da te è l’ubbidienza, non dico più grande, ma più amorosamente dolorosa che il Padre mi chiede…».
   «Sì, Figlio mio! Sì. Lo so. Io non mi rammarico di nulla. Certo vorrei essere, preferirei essere con Te, fra il fango, nel vento, all’addiaccio, perseguitata, stanca, senza tetto e fuoco, senza pane, come Te tante volte, anziché nella mia casa, mentre Tu sei lontano e non so come sei mentre ti penso. Tu con me, e io con Te, soffriresti meno, ed io meno soffrirei… Perché sei mio Figlio e ti potrei sempre tenere fra le braccia e difenderti dal freddo, dal duro delle pietre e soprattutto dal duro dei cuori col mio amore, col mio petto, con le mie braccia. Sei mio Figlio. Ti ho tenuto tanto sul cuore nella grotta, nel viaggio in Egitto e al ritorno, sempre, quando le insidie della stagione e degli uomini potevano nuocerti. Perché non potrei farlo ora? Non sono forse più tua Madre perché ora Tu sei l’Uomo? Non può dunque più una madre essere tutto per il figlio perché egli non è più piccino? Io penso che se sarò con Te non potranno farti male… perché nessuno… No. Sono stolta… Tu sei il Redentore… e gli uomini, l’ho visto, non hanno pietà neppure della loro stessa madre… Ma lasciami venirti vicino. Tutto è meglio per me ad esserti lontana».
   «Se gli uomini fossero più buoni sarei tornato a Nazaret ancora. Ma anche Nazaret… Non importa. Verranno a Me. Per ora Io vado ad altri… E non posso portarti con Me. Non tornerò qui che quando essi sapranno chi sono.

   477.8Ora vado in Giudea… Salgo al Tempio… Poi resterò per quelle contrade… Percorrerò ancora una volta la Samaria. Lavorerò dove c’è più da lavorare. Per questo, o Madre, ti consiglio a prepararti a raggiungermi al principio di primavera e a stabilirti presso Gerusalemme. Ci vedremo con più facilità. Io risalirò sino alla Decapoli ancora qualche volta e ci vedremo ancora… Lo spero. Ma generalmente resterò in Giudea. Gerusalemme è la pecora più bisognosa di cure, perché in verità è più cocciuta di un vecchio montone e più rissosa di un capro inselvatichito. Vado ad effondervi la Parola come rugiada che non si stanca di cadere sulla sua aridità…».
   Gesù si alza in piedi, si arresta, guarda sua Madre che lo fissa attenta. Apre la bocca, poi scuote il capo dicendo: «C’è ancor questo da dire prima dell’ultima cosa… Madre, se Giuseppe vuole parlarmi, sia verso l’alba di dopodomani sulla strada che da Nazaret per il Tabor va a Jezrael. Vi sarò solo o con Giovanni».
   «Lo dirò, Figlio mio».

   477.9Un silenzio, un alto silenzio, perché gli uccelli hanno finito di rissare fra le fronde e anche il vento tace mentre il crepuscolo infittisce. Poi Gesù, che pare avere cercato a fatica le parole da dire per ultime, dice: «Mamma, la sosta è finita… Un bacio, Mamma. E la tua benedizione».
   Si baciano e benedicono a vicenda.
   Poi Gesù, chinandosi a raccogliere il velo di sua Madre e chiamando Giovanni come per rendere meno gravi le parole, dice: «Quando verrai in Giudea portami la mia veste più bella. Quella che mi hai tessuta per le feste solenni. A Gerusalemme devo essere “Maestro” nel senso più vasto, e anche più sensibilmente umano, poiché quegli spiriti chiusi e ipocriti guardano più l’esterno, la veste, che l’interno, la dottrina. E così anche Giuda di Keriot sarà contento… e contento Giuseppe che mi vedrà proprio in veste regale. Oh! sarà un trionfo! E la veste tessuta da te vi contribuirà…», e sorride scuotendo il capo per smorzare la verità tagliente che celano quelle parole.
   Ma Maria non si inganna. Sorge in piedi e si appoggia al braccio di Gesù esclamando: «Figlio!», e con uno strazio che mi fa soffrire.
   Gesù la raccoglie sul cuore ed Ella gli piange sul cuore…
   «Mamma, ti ho voluto parlare in quest’ora di pace per questo… Ti affido il mio segreto e quanto ho di caro quaggiù. Nessuno dei discepoli sa che non torneremo da queste parti altro che quando tutto sarà compiuto. Ma tu… Per te non ci sono segreti… Te lo avevo promesso[87], Mamma. Non piangere. Ancora molte ore abbiamo da stare insieme. Per questo ti dico: “Vieni in Giudea”. L’averti vicina mi compenserà della fatica della più difficile evangelizzazione a quei duri di cuore che fanno ostacolo alla Parola di Dio. Vieni con le discepole galilee. Mi sarete tanto utili. Giovanni provvederà all’asilo per te e per loro. Ora, prima che egli torni, preghiamo insieme. Poi tu tornerai al paese, ed Io pure verrò nella notte…».

   477.10Pregano insieme, e sono alle ultime parole del Pater quando appare Giovanni che alla semiluce, quando è vicino, vede e resta stupito per il segno del pianto sul volto di Maria. Ma non dice nulla in merito. Saluta il Maestro e gli dice: «Sarò all’aurora sulla via fuori Nazaret… Vieni, Madre. Fuori dal bosco c’è ancora luce, e giù la strada è luminosa affatto per le lanterne messe ai carri in cammino…».
   Maria bacia ancora Gesù, piangendo nel suo velo, e poi, sorretta da Giovanni che la tiene per il gomito, scende sul sentiero, e poi giù, verso la valle. Gesù resta solo, a pregare, a pensare, a piangere. Perché piange Gesù guardando scendere sua Madre. E poi torna dove era prima e riprende la posizione di prima, mentre l’ombra e il silenzio si fanno sempre più folti intorno a Lui.
   14 febbraio 1944.
   […]

   477.11Dice Gesù[88]:
   «Anche questo non ho dimenticato dei dolori di Maria, mia Madre. L’avere dovuto straziarla con l’attesa del mio soffrire, l’avere dovuto vederla piangere. È per questo che non le nego nulla. Ella mi ha dato tutto. Io le do tutto. Ella ha sofferto tutto il dolore. Io le do tutta la gioia.
   Vorrei che, quando pensate a Maria, meditaste questa sua agonia durata trentatré anni e culminata ai piedi della Croce. Ella l’ha sofferta per voi. Per voi le derisioni della folla che la giudicava madre di un pazzo. Per voi i rimproveri dei parenti e delle persone d’importanza. Per voi la mia apparente sconfessione[89]: “Mia Madre ed i miei fratelli sono coloro che fanno la volontà di Dio”. E chi più di Lei la faceva, ed una Volontà tremenda, che le imponeva la tortura di vedere suppliziare il Figlio?
   Per voi le fatiche di raggiungermi qua e là. Per voi i sacrifici, da quello di lasciare la sua casetta e mescolarsi alle folle, a quello di lasciare la sua piccola patria per il tumulto di Gerusalemme. Per voi il dovere essere a contatto con colui che covava in cuore il tradimento. Per voi il dolore di sentirmi accusato di possessione diabolica, di eresia. Tutto, tutto per voi.

   477.12Voi non sapete quanto l’ho amata la Madre mia. Voi non riflettete come il cuore del Figlio di Maria fosse sensibile agli affetti. E credete che la mia tortura sia stata puramente fisica, al massimo vi aggiungete la tortura spirituale dell’abbandono finale del Padre.
   No, figli. Anche le passioni dell’uomo Io le ho provate. Ho sofferto di veder soffrire mia Madre, di doverla condurre, come agnella mansueta, al supplizio, di doverla straziare coi successivi addii, a Nazareth prima dell’evangelizzazione, in questo che vi ho mostrato e che precede la mia imminente Passione, in quello — quando già essa è in atto col tradimento dell’Iscariota — prima della Cena, in quello atroce sul Calvario.
   Ho sofferto di vedermi schernito, odiato, calunniato, circuito da curiosità malsane che non evolvevano in bene ma anzi in male. Ho sofferto di tutte le menzogne che ho dovuto udire o vedere agenti al mio fianco. Quelle dei farisei ipocriti, che mi chiamavano maestro e mi facevano domande non per fede nella mia intelligenza ma per tendermi tranelli; quelle dei beneficati da Me e che mi si volsero in accusatori nel Sinedrio e nel Pretorio; quella, quella premeditata, lunga, sottile di Giuda, che m’ha venduto ed ha continuato a fingersi discepolo, che m’ha indicato ai carnefici col segno dell’amore. Ho sofferto della menzogna di Pietro, preso da paura umana.
   Quanta menzogna, e tanto rivoltante per Me che sono Verità! Quanta, anche ora, ve ne è rispetto a Me! Dite di amarmi, ma non mi amate. Avete il mio Nome sulle labbra, e in cuore adorate Satana e seguite una legge contraria alla mia.
   Ho sofferto pensando che davanti al valore infinito del mio Sacrificio — il Sacrificio di un Dio — troppo pochi si sarebbero salvati. Tutti, dico: tutti coloro che nei secoli dei secoli della Terra avrebbero preferito la morte alla vita eterna, rendendo vano il mio Sacrificio, Io li ho avuti presenti. E con questa cognizione sono andato incontro alla morte.

   477.13Vedi, piccolo Giovanni, che il tuo Gesù e la Madre sua hanno sofferto acutamente nel loro io morale. E lungamente. Pazienza, dunque, se dovrai soffrire. “Nessun discepolo è da più del Maestro”. Io l’ho detto[90].
   Domani parlerò dei dolori dello spirito. Ora riposa. La pace sia con te».

[87] promesso in 460.10.
[88] Dice Gesù… segue ad un episodio scritto in base ad una “visione” del 14 febbraio 1944 e che è riportato nel volume “I quaderni del 1944”. Lo stesso episodio, riscritto più estesamente in base alla “visione” del 21 agosto 1946, è quello che precede qui.
[89] apparente sconfessione, che è in 269.12.
[90] l’ho detto, in 265.11.