MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 484



CDLXXXIV. Sosta obbligata presso Efraim e parabola della melagrana.

   31 agosto 1946.

   484.1E Gesù crede infatti di poter superare Efraim nelle prime luci dell’alba, ancora tutta silenziosa e con le vie deserte, senza che nessuno lo veda. Per prudenza gira intorno alla città senza entrarvi, nonostante l’ora più che mattutina.
   Ma quando, dalla vietta che hanno percorso, alle spalle del paese, sboccano sulla via maestra, si trovano di fronte tutto il paese, potrei dire, e col paese altri venuti dagli altri luoghi già superati, i quali indicano a quelli d’Efraim il Signore non appena lo vedono apparire. Fortunatamente sono assolutamente assenti farisei, scribi e simili.
   Quelli di Efraim mandano avanti i notabili del paese, dei quali uno, dopo un solenne saluto, dice per tutti: «Abbiamo saputo che Tu eri fra noi e che non avevi sdegnato di avere pietà di alcuno. Sapevamo già che eri stato pietoso per quelli di Sichem. E ti abbiamo desiderato. Ora Colui che vede i pensieri degli uomini ti ha condotto fra noi. Sosta e parla, ché anche noi siamo figli di Abramo».

   484.2«Sostare non mi è concesso…».
   «Oh! sappiamo che ti cercano. Ma non da questa parte. Questa città è al limite del deserto e delle montagne del Sangue. Essi non ci passano volentieri. E questa volta, poi, dopo i primi non ne vedemmo più uno».
   «Non posso sostare…».
   «Ti attende il Tempio. Lo sappiamo. Ma credi a noi. Ci giudicate come dei proscritti perché non chiniamo la fronte davanti ai pontefici d’Israele. Ma è forse Dio il pontefice? Siamo lontani. Ma non tanto da non sapere che i sacerdoti vostri non sono meno indegni dei nostri. E noi pensiamo che Dio non può più essere con loro. No. Nella nuvola dell’incenso più non si cela l’Altissimo. Potrebbero cessare di arderlo e potrebbero entrare nel Santo dei Santi senza paura di rimanere inceneriti dal fulgore di Dio posato sulla sua gloria. E noi adoriamo Dio sentendolo fuori delle pietre disabitate dei templi vuoti. E non diciamo più vuoto il nostro tempio del vostro, se volete accusarci di avere un tempio idolo. Tu vedi che siamo equanimi. Ma per questo ascoltaci».
   Prende un tono solenne: «Meglio sarebbe che Tu ti fermassi ad adorare il Padre fra quelli che almeno riconoscono di avere uno spirito di religione vuoto di verità come gli altri, che non vogliono riconoscerlo e ci offendono. Soli, sfuggiti come lebbrosi, senza profeti e senza dottori, noi abbiamo almeno saputo essere uniti sentendoci fratelli. E nostra legge è il non tradire, perché è scritto: “Non andare dietro alla turba per fare il male, e nel giudizio non deviare nella verità per stare al parere dei più”. È scritto[110]: “Non far morire l’innocente e il giusto, perché io ho in odio l’empio. Non accettare doni, che accecano anche i sapienti e sovvertono le parole dei giusti. Non essere molesto allo straniero, perché voi lo sapete cosa voglia dire essere stranieri in terra d’altri”. E nelle benedizioni dette proprio dal Garazim, monte caro al Signore se lo ha eletto a monte di benedizione, è promesso ogni bene a chi si attiene alla vera Legge che è nel Pentateuco. Ora, se noi respingiamo come idoli le parole degli uomini ma conserviamo quelle di Dio, possiamo forse esser detti idolatri? La maledizione di Dio è su chi colpisce di nascosto il suo prossimo e accetta mercede per condannare a morte un innocente. Noi non vogliamo essere maledetti da Dio per le nostre azioni. Perché per essere samaritani non saremo maledetti, essendo Dio il Giusto che premia il bene là dove si trova. È questa la nostra fiducia nel Signore».
   Si raccoglie un istante, poi riprende: «Per tutto questo ti diciamo: meglio sarebbe per Te restare fra noi. Il Tempio ti odia e ti cerca per darti dolore. E non quello solo. Sempre troppo starai fra coloro che ti rigettano come un obbrobrio. Non dai giudei ti verrà l’amore».

   484.3«Non posso sostare. Ma ricorderò le vostre parole. Vi dico intanto di perseverare nell’osservanza delle leggi di giustizia che avete ricordate e che scaturiscono dal precetto dell’amore del prossimo. Il precetto che, con quello dell’amore a Dio, forma il comandamento principale della Religione antica e della mia. A chi vive da giusto non è lontana la via del Cielo. Un sol passo porterà coloro che sono sul sentiero vicino, separati soltanto da un puntiglio, ormai, più che da una convinzione, nella via del Regno di Dio».
   «Il tuo!».
   «Il mio. Ma non il regno quale lo immaginano gli uomini, regno di potere temporale, giusto e magari violento per essere potente. Bensì il Regno che ha inizio dentro il cuore degli uomini, ai quali il Re spirituale dà un codice spirituale e darà un premio spirituale. Darà il Regno. Questo Regno nel quale non saranno esclusivamente giudei, o galilei, o samaritani, ma saranno tutti coloro che sulla Terra ebbero una unica fede: la mia, ed in Cielo porteranno un unico nome: santi. Le razze e le divisioni fra razza e razza restano sulla Terra, limitate ad essa. Nel mio Regno non saranno razze diverse, ma unicamente quella dei figli di Dio. I figli di Un Solo non possono che essere di un’unica stirpe.

   484.4Ora lasciatemi andare. Ancora lunga è la via che devo compiere prima di notte».
   «Vai a Gerusalemme?».
   «A Ensemes».
   «Allora noi ti indicheremo una via che soltanto noi conosciamo per andare al guado senza sosta e senza offesa. Tu non hai carichi né carri, e la puoi fare. A nona sarai al luogo. E conoscere quel sentiero ti sarà buona cosa. Ma riposa fra noi un’ora e accetta il pane e il sale e dacci in cambio la tua paro­la».
   «Sia fatto come volete. Ma rimaniamo qui dove siamo. È tanto dolce il giorno e bello questo luogo».
   Infatti sono in una conca tutta a frutteti, al centro della quale scorre un torrentello che le prime piogge hanno alimentato e che scorre via garrulo e lucente al sole, scendendo fra pietroni che lo rompono in spume madreperlacee verso il Giordano. Gli arbusti, che hanno resistito all’estate, sembrano godere sulle due rive della polvere minuta delle acque rotte in spuma e brillano tutti fremendo dolcemente ad un vento temperato, che sa di mele mature e di mosti che fermentano.
   Gesù va proprio presso il torrente e si siede su un masso, avendo sul capo l’ombra leggera di un salice e al fianco le acque ridarelle che scendono a valle. La gente si accomoda sull’erba rinascente sulle due sponde.
   Portano intanto dal paese pane, latte appena munto, formaggi, frutta e miele, e le offrono a Gesù perché se ne cibi con i suoi. E lo guardano mangiare, dopo aver offerto e benedetto il cibo, così semplice come un mortale, così sovranamente bello e spiritualmente imponente come un dio. Ha una veste di lana bianca un poco avoriata, come è il colore della lana filata in casa, e il manto azzurro cupo gettato sulle spalle. Il sole, filtrando dal salice, accende i suoi capelli di scintille d’oro, continuamente spostate a seconda che si spostano le foglioline leggere del salice. E un raggio riesce a carezzargli la gota sinistra facendo del ricciolo molle, nel quale finisce la ciocca ricadente lungo la guancia, una matassa di oro filato, che ripete più pallidamente il suo colore nella barba morbida e non eccessiva che copre il mento e il basso del viso. La pelle, di un color avorio antico, nella luce del sole mostra il delicato ricamo delle vene sulle guance e sulle tempie, e una traversa, dal naso ai capelli, la fronte liscia e alta…
   Io penso che proprio da quella vena ho visto cadere tanto sangue per una spina che la trafiggeva durante la Passione… Sempre, quando vedo Gesù così bello e ordinato nella sua virile accuratezza, io ricordo come lo ridussero i patimenti e gli insulti degli uomini…

   484.5Gesù mangia e sorride a dei fanciulli che gli si sono stretti ai ginocchi abbandonando il capo su di essi, oppure guardandolo mangiare come vedessero chissà che. E Gesù, giunto alle frutta e al miele, ne dà a loro, imboccando i più piccini di chicchi d’uva o di molliche intinte nel filante miele, come fossero tanti nidiaci.
   Un bambino — certo piacciono a lui e spera di averne — corre via fra la gente andando verso ad un frutteto e torna con le braccia strette al piccolo petto, a fare di esso e delle braccia un vivo cestello, dove riposano tre melagranate di una grossezza e bellezza meravigliose, e le offre insistendo a Gesù.
   Gesù prende i frutti e ne apre due facendone tante parti quanti sono i suoi piccoli amici e le distribuisce. Poi, prendendo in mano la terza, si alza in piedi e inizia a parlare tenendo sulla palma sinistra, bene in vista, la splendida melagranata.

   484.6«A cosa paragonerò Io il mondo in generale e in particolare la Palestina, un tempo, e nel pensiero di Dio, unita in un’unica nazione e poi scissa da un errore e da un cocciuto odio fra fratelli? A che paragonerò Israele, così come si è ridotto per sua volontà? Lo paragonerò a questa melagranata. E in verità vi dico che i dissapori, che sono fra giudei e samaritani, si ripetono in forma e misura diversa, ma con un’unica sostanza di odio, fra tutte le nazioni del mondo e talora fra province di una stessa nazione. E si dicono insuperabili come fossero cose create da Dio stesso. No. Il Creatore non ha fatto tanti Adami e tante Eve per quante sono le razze l’una all’altra avversa, per quante sono le tribù, per quante sono le famiglie che si sono l’una contro l’altra erette nemiche. Ha fatto un solo Adamo ed una sola Eva, e da essi sono venuti gli uomini tutti, sparsisi poi a popolare la Terra, come fosse una sola casa che sempre più si arricchisce di stanze mano a mano che crescono i figli e si sposano procreando i nipoti ai padri loro. Perché allora tanto odio fra gli uomini, tante barriere, tante incomprensioni? Avete detto: “Sappiamo essere uniti sentendoci fratelli”. Non basta. Dovete amare anche quelli che non sono samaritani.
   Guardate questo frutto. Voi ne conoscete il sapore oltre che la bellezza. Chiuso come è, già vi promette il succo dolce del suo interno. Aperto, rallegra anche la vista con le sue file serrate di acini, simili a tanti rubini chiusi in un forziere. Ma guai all’incauto che lo morde senza averlo privato delle separazioni amarissime poste fra famiglia e famiglia di acini. Si attossicherebbe le labbra e le viscere, e respingerebbe il frutto dicendo: “È veleno”. Ugualmente, le separazioni e gli odi fra popolo e popolo, tribù e tribù, fanno “veleno” ciò che era stato creato per essere dolcezza. Sono inutili, non fanno, come in questo frutto, che creare dei limiti che levano spazio e dànno compressione e dolore. Sono amari e a chi addenta, ossia a chi morde il vicino che non ama per dargli offesa e dolore, dànno un’amarezza che avvelena lo spirito.
   Sono incancellabili? No. La buona volontà li annulla, così come anche la mano di un fanciullo leva queste pareti di amarezza nel dolce frutto che il Creatore fece per delizia dei suoi figli. E la buona volontà l’ha, per primo fra tutti, lo stesso unico Signore, che è Dio dei giudei come dei galilei e dei samaritani come dei batanei. E lo dimostra mandando l’unico Salvatore, che salverà questi e quelli senza chiedere altro che la fede nella sua Natura e Dottrina. Il Salvatore che vi parla passerà abbattendo le inutili barriere, cancellando il passato che vi ha divisi, per sostituirlo con un presente che vi affratella nel suo Nome. Voi tutti di qui e di oltre confine non avete che assecondarlo, e l’odio cadrà, e cadrà l’avvilimento che suscita rancore, e cadrà orgoglio che suscita ingiustizia.
   Il mio comandamento è questo: che gli uomini si amino da fratelli quali sono. Si amino come il Padre dei Cieli li ama e come li ama il Figlio dell’uomo, che per la natura umana che ha assunto si sente fratello degli uomini, e che per la sua Paternità si sa padrone di vincere il Male con tutte le sue conseguenze. Avete detto: “È nostra legge non tradire”. Allora per prima cosa non tradite le vostre anime privandole del Cielo. Amatevi gli uni e gli altri, amatevi in Me e la pace verrà agli spiriti degli uomini, come è stato promesso. E verrà il Regno di Dio, che è regno di pace e di amore per tutti coloro che hanno retta volontà di servire il Signore Dio loro.

   484.7Io vi lascio. La Luce di Dio illumini i vostri cuori… Andiamo…».
   Si ravvolge nel mantello, si mette a tracolla la sua sacca e si avvia per il primo, avendo al fianco Pietro da una parte e il notabile, che ha parlato all’inizio, dall’altra. Dietro gli apostoli e, dietro ancora, perché in gruppo non è possibile procedere sulla vietta lungo il torrente, dei giovani di Efraim…

[110] è scritto, in: Esodo 22, 20; 23, 2-3.7-9; Deuteronomio 16, 19; benedizioni, che sono in: Deuteronomio 28, 1-14; maledizione, che è in: Deuteronomio 27, 24-25 .