MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 525



DXXV. Profezie di Sabea di Betlechi e giudizio su di lei.

   5 novembre 1946.

   525.1È un ben povero podere quello che alimenta l’accolta eterogenea degli amici di Zaccheo. Specie ora che è inverno, non rallegra certo il cuore. Ma pure essi lo amano e lo mostrano con orgoglio a Gesù. I tre campi a grano, arati e bruni, il frutteto con pochi alberi produttivi e gli altri ancora troppo giovani per sperare che lo siano, qualche striminzito filare di viti, l’ortaglia… una stalletta con una vaccherella e un asino per il bindolo, un recinto con poche galline e cinque coppie di colombi, sei pecore, una stamberga con una cucina e tre camere, una tettoia che fa da legnaia, ripostiglio e fienile, un pozzo dalla bocca sbrecciata e una cisterna dall’acqua melmosa. Nulla più.
   «Se ci aiuterà la stagione…», «Se le bestie figlieranno…», «Se gli alberelli attecchiranno…». Tutto è al condizionale… Speranze molto precarie…
   Ma uno si ricorda di ciò che ha sentito dire anni prima — del prodigioso raccolto avuto da Doras per una benedizione data dal Maestro perché Doras fosse umano con i suoi servi contadini — e dice: «E se Tu benedicessi questo luogo… Anche Doras era peccatore…».
   «Hai ragione. Ciò che ho fatto sapendo che non avrebbe mutato quel cuore, lo farò anche per voi dal cuore mutato». E apre le braccia a benedire, dicendo: «Lo faccio subito, perché voglio persuadervi che vi amo».
   Poi proseguono la strada verso il fiume, costeggiando campi arati, dalla grassa terra scura, e frutteti spogliati dalla stagione.

   525.2Ad una curva ecco alcuni scribi farsi avanti. «La pace a Te, Maestro. Ti abbiamo atteso qui per… venerarti».
   «No. Per essere sicuri che non faccio frode. Avete fatto bene. Persuadetevi che non ho avuto modo di vedere la donna né alcuno di quelli che sono con lei. Voi, tu e tu, eravate di guardia alla casa di Zaccheo e avete visto che nessuno di noi è uscito. Voi mi avete preceduto sulla via e avete visto che nessuno di noi è andato avanti. Voi avete in cuore di impormi delle clausole all’incontro con quella donna, ed Io vi dico che le accetto prima ancora che le facciate».
   «Ma… se non le sai…».
   «Non è forse vero che me le volete fare?».
   «È vero».
   «Come dunque so questa vostra intenzione, nota a voi soli, così so ciò che mi direte. Ed Io vi dico che accetto ciò che volete propormi, perché servirà a dar gloria alla Verità. Parlate».
   «Sai come sono le cose?».
   «So che la donna è giudicata da voi indemoniata e che però nessun esorcista poté cacciarle il demonio. E so che però essa non dice parole di demonio. Così dicono quelli che l’han sentita parlare».
   «Puoi giurare che non l’hai mai vista?».
   «Il giusto non giura mai, perché sa che ha diritto di essere creduto sulla sua parola. Io vi dico che non l’ho mai vista e che non sono mai passato dal suo paese, e tutto il paese può confermarlo».
   «Eppure lei pretende di conoscere il tuo volto e la tua voce».
   «La sua anima infatti mi conosce per volere di Dio».
   «Tu dici “per volere di Dio”. Ma come lo puoi asserire?».
   «Mi è stato detto che dice parole ispirate».
   «Anche il demonio parla di Dio».
   «Ma con errori mescolati ad arte, per traviare gli uomini in pensieri di errore».

   525.3«Ebbene… noi vorremmo che Tu ci lasciassi provare la donna».
   «In che modo?».
   «Tu non la conosci proprio?».
   «Vi dico di no».
   «Ecco, allora. Mandiamo avanti qualcuno gridando: “Ecco il Signore” e vediamo se lei saluta chi è con costui come Tu fossi».
   «Povera prova! Ma pure accetto. Scegliete voi, fra quelli che mi accompagnano, coloro da mandare avanti. E Io vi seguirò con gli altri. Però se la donna parlerà voi la dovete lasciar parlare, perché Io giudichi le sue parole».
   «È giusto. Il patto è fatto e lo manterremo lealmente».
   «Così avvenga, e serva a toccarvi il cuore».
   «Maestro, non tutti siamo avversari. Alcuni fra noi sono su posizione di attesa… e con sincera volontà di vedere il vero per seguirti», dice uno scriba.
   «È vero. E costoro saranno amati ancora da Dio».
   Gli scribi esaminano gli apostoli e si stupiscono dell’assenza di molti, e specie dell’Iscariota, e poi scelgono Giuda Taddeo e Giovanni. In più prendono il giovane ladro convertito, che è pallido e magro e con i capelli tendenti al rossiccio. Quelli insomma che, per età e fisionomia, hanno punti uguali col Maestro.
   «Noi andiamo avanti con costoro. Tu resta qui con i nostri compagni e coi tuoi, e seguici fra qualche tempo».
   Così fanno.

   525.4Sono già in vista i boschi che costeggiano il fiume. Un sole d’inverno al tramonto indora le vette delle piante e sparge una luce gialla e vivida sulle persone raccolte presso gli alberi.
   «Ecco! Ecco il Messia! Alzatevi! Venitegli incontro!», gridano gli scribi andati avanti, deviando verso un sentiero che termina contro un rovere colossale dalle radici potenti semi scoperte a far da sedile a chi si ricovera presso il suo tronco.
   Il gruppo di persone raccolte là intorno si volge, si alza, si apre e si scioglie per venire incontro a quelli che vengono. E presso il tronco restano soltanto tre scribi, Giovanni d’Efeso e un uomo e una donna anziani, più un’altra donna che sta seduta su una radice sporgente, le spalle al tronco, la testa china sui ginocchi stretti fra le braccia allacciate, tutta coperta da un velo di un viola tanto carico da parere nero. Sembra estranea a tutto. Non si scuote per il gridio.
   Uno scriba la tocca sulla spalla: «È qui il Maestro, Sabea. Sorgi e salutalo».
   La donna non risponde e non si muove.
   I tre scribi si guardano e sorridono ironici, facendo un cenno d’intesa agli altri che vengono avanti. E, posto che quelli che erano in attesa, non vedendo Gesù, si erano zittiti, gridano essi più forte che mai, essi e i compari, perché la donna non si avveda dell’inganno.
   «Donna», dice uno scriba alla vecchia madre che è con la figlia, «almeno tu saluta il Maestro e di’ a tua figlia di farlo».
   La donna si prostra, insieme al marito, davanti al Taddeo e Giovanni e al ladro pentito e poi, alzandosi, dice alla figlia: «Sabea, il tuo Signore è qui. Veneralo».
   La giovane non si muove.
   Il sorriso ironico degli scribi si accentua, e uno, magro e nasuto, dice con voce nasale e strascicata: «Non te l’aspettavi questa prova, non è vero? E il tuo cuore trema. Senti che la tua fama di profetessa è in pericolo e non tenti la sorte… Mi pare che ciò basti a definirti per menzognera…».
   La donna alza la testa di colpo. Getta indietro il velo e guarda con occhi bene aperti mentre dice: «Non mento, scriba. E non ho paura, perché sono nella verità. Dove è il Signore?».
   «Come? Dici che lo conosci e non lo vedi? Lo hai davanti».
   «Nessuno di questi è il Signore. Per questo non mi movevo. Nessuno di questi».
   «Nessuno di questi? Come? Quel galileo biondo non è il Signore? Io non lo conosco, ma so che è biondo e con occhi di cielo».
   «Non è il Signore».
   «Allora quello alto e severo. Guarda che tratti da re. È Lui certo».
   «Non è il Signore. Non è fra questi il Signore», e la donna riabbassa il capo fra le ginocchia come prima.

   525.5Qualche tempo passa. Poi ecco avanzarsi Gesù. Gli scribi hanno imposto silenzio alla poca gente. Perciò il suo venire non è accusato da nessun osanna. Gesù viene avanti fra Pietro e Giacomo suo cugino. Cammina lentamente… Silenziosamente… L’erba folta attutisce ogni fruscio di passi. Mentre la vecchia si asciuga delle lacrime col suo velo e uno scriba ferisce dicendo: «Vostra figlia è folle e mentitrice», mentre il padre sospira e anche rimprovera la figlia, Gesù giunge ai limiti del sentiero e si ferma.
   La giovane, che non ha potuto sentire niente, che non ha potuto vedere nulla, balza in piedi, getta il velo, scopre così tutto il capo, stende le braccia con un grido potente: «Eccolo che a me viene il mio Signore! Questo è il Messia, o uomini che mi volete ingannare e avvilire. Io vedo su Lui la luce di Dio che me lo indica, e lo onoro!», e si getta a terra ma rimanendo al suo posto, a un due metri circa da Gesù. Volto a terra, fra l’erba, ella grida: «Io ti saluto[64], o Re dei popoli, o Ammirabile, o Principe di pace, Padre del secolo senza fine, Duce del popolo nuovo di Dio!», e resta prostrata sotto il suo ampio mantello scuro, di un viola quasi nero come il velo.
   Ma nel momento che si è alzata in piedi contro il tronco nero — e dopo aver gettato il velo è rimasta con le braccia tese in avanti, come una statua — ho potuto notare che sotto il manto è vestita di una veste di pesante lana di un bianco avoriato, stretta semplicemente da un cordone al collo e alla cintura. E soprattutto ho potuto ammirare la sua bellezza di donna matura. Avrà un trent’anni. E trent’anni in Palestina equivalgono almeno a quaranta dei nostri, generalmente, ché se per Maria Ss. questa regola ha un’eccezione, per le altre donne la maturità viene presto, e specie per quelle brune di capelli e di viso e formose come questa. Essa è il tipo classico della donna ebrea. Io credo che così saranno state Rachele e Rut e Giuditta, celebri per la loro bellezza. Alta, formosa eppure slanciata, dalla pelle liscia e di un pallore brunetto, bocca piccola e dalle labbra un poco tumide e vivamente rosse, naso diritto, lungo, sottile, due occhi profondi, scuri, vellutati fra un arco di ciglia lunghe e folte, fronte alta, liscia, regale, un ovale piuttosto allungato e delle chiome d’ebano splendide come un serto d’onice. Non un gioiello, ma un corpo statuario e un’imponenza da regina.

   525.6Ecco che si alza puntando le mani lunghe, brunette, bellissime, congiunte al braccio da un polso sottile. Eccola di nuovo in piedi, contro il tronco scuro. Guarda in silenzio, ora, il Maestro, e scrolla il capo perché degli scribi le dicono: «Ti sbagli, o Sabea. Non è Lui il Messia, ma è quello che hai visto prima senza riconoscere». Ella scrolla il capo ferma, severa, e non toglie gli occhi dal Signore. E poi il suo viso si trasfigura in un’espressione che non so dire se di gioia fervida o di sonnolenza estatica. Ha dell’una e dell’altra cosa, perché pare trascolorare come in chi è prossimo a svenire, mentre tutta la vita si concentra negli occhi che si fanno luminosi di una luce di gioia, di trionfo, d’amore… Non so. Ridono quegli occhi? No, non ridono, come non ride la bocca severa. Eppure è una luce di gioia in loro, e sempre più quegli occhi acquistano una potenza di intensità che colpisce.
   Gesù la guarda con il suo sguardo mite, un poco mesto. «Lo vedi che è una folle?», gli sussurra uno scriba. Gesù non ribatte parola. La mano sinistra pendente lungo il fianco, la destra a tenersi raccolto il mantello sul petto, guarda e tace.
   E la donna apre la bocca e stende le braccia come prima. Sembra un’enorme farfalla dalle ali viola e il corpo d’avorio vecchio. E un nuovo grido esce dalle sue labbra: «O Adonai, Tu sei grande! Tu solo sei grande, o Adonai! Grande Tu sei e in Cielo e in Terra, e nel tempo e nei secoli dei secoli, e oltre il tempo, da sempre e per sempre, o Signore, Figlio del Signore. Sotto ai tuoi piedi sono i tuoi nemici, e regge il tuo trono l’amore di quelli che ti amano».
   La voce si fa sempre più sicura e forte, mentre gli occhi si staccano dal volto di Gesù e guardano in un punto lontano, un poco al disopra delle teste che le stanno intorno attente e che ella, stando ritta contro il tronco del rovere, che è su un rialzo del suolo come fosse su un basso argine, domina senza fatica.
   Dopo una pausa riprende: «Il trono del mio Signore è ornato[65] delle dodici pietre delle dodici tribù dei giusti. Nella grande perla che è il trono, il bianco prezioso trono splendente del santissimo Agnello, sono incastonati topazi con ametiste, smeraldi con zaffiri, e rubini con sardonici, e agate e crisoliti e berilli, onici, diaspri, opali. Quelli che credono, quelli che sperano, quelli che amano, quelli che si pentono, quelli che vivono e muoiono nella giustizia, quelli che soffrono, quelli che lasciano l’errore per la Verità, quelli che erano duri di cuore e miti si sono fatti in suo Nome, gli innocenti, i pentiti, quelli che si spogliano di ogni cosa per essere agili a seguire il Signore, i vergini dallo spirito splendente di luce simile ad un’alba del Cielo di Dio… Gloria al Signore! Gloria a Adonai! Gloria al Re assiso sul suo trono!».
   La voce è uno squillo. La gente è scossa da un fremito. La donna sembra veramente vedere quello che dice, quasi che la nube dorata, che naviga in un cielo sereno e che ella sembra seguire con lo sguardo rapito, le fosse lente per vedere le glorie celesti.

   525.7Si riposa come stanca ma senza cambiare attitudine. Soltanto il suo viso si fa ancor più trasfigurato in pallore di epidermide e in fulgore di occhi. E poi riprende a parlare abbassando lo sguardo su Gesù, che l’ascolta attento fra una cerchia di scribi, che crollano il capo scettici e schernitori, e di apostoli e seguaci pallidi di emozione sacra. Riprende a parlare a voce distinta ma meno alta: «Io vedo! Io vedo nell’Uomo ciò che si cela nell’Uomo. Santo è l’Uomo, ma il mio ginocchio si piega davanti al Santo dei Santi chiuso nell’Uomo».
   La voce torna forte, imperiosa come un comando: «Guarda il tuo Re, o popolo di Dio! Conosci il suo Volto! La Bellezza di Dio ti è davanti. La Sapienza di Dio ha preso una bocca per istruirti. Non sono più i profeti, o popolo d’Israele, quelli che ti parlano dell’Innominabile. È Lui stesso. Lui, che conosce il Mistero che è Dio, che ti parla di Dio. Lui, che conosce il Pensiero di Dio, che ti accosta al suo seno, o popolo ancor pargolo dopo tanti secoli, e ti nutre col latte della Sapienza di Dio per farti adulto in Dio. Per fare questo si è incarnato in un seno. In un seno di donna d’Israele, grande più al cospetto di Dio e degli uomini di ogni altra donna. Ella ha rapito il cuore di Dio con uno solo dei suoi palpiti di colomba. La bellezza del suo spirito ha sedotto l’Altissimo ed Egli di Lei ha fatto il suo trono. Maria d’Aronne peccò perché in lei era il peccato. Debora giudicò ciò che era da farsi, ma non operò con le sue mani. Giaele fu forte, ma si sporcò di sangue. Giuditta era giusta e temeva il Signore, e Dio fu nelle sue parole e le permise l’atto perché fosse salvato Israele, ma per amor di patria usò astuzia omicida. Ma la Donna che lo ha generato supera queste donne, perché è l’Ancella perfetta di Dio e lo serve senza peccare. Tutta pura, innocente e bella, è il bell’Astro di Dio, dal suo sorgere al suo tramontare. Tutta bella, splendente e pura per essere Stella e Luna, Luce agli uomini per trovare il Signore. Non precede e non segue l’Arca santa come Maria d’Aronne, perché Arca è Ella stessa. Sulla torbida onda della Terra, coperta dal diluvio delle colpe, Ella scorre e salva, perché chi entra in Lei trova il Signore. Colomba senza macchia, esce e porta l’ulivo[66], l’ulivo di pace agli uomini, perché Ella è Uliva speciosa. Tace, e nel suo silenzio parla e opera più di Debora, Giaele e Giuditta, e non consiglia battaglia, non incita a stragi, non sparge altro sangue che il suo più eletto, quello col quale ha fatto il suo Figlio. Misera Madre! Madre sublime!… Temeva Giuditta il Signore, ma di un uomo era stato il suo fiore. Questa il suo fiore inviolato ha dato all’Altissimo, e il Fuoco di Dio è sceso nel calice del giglio soave, e un seno di donna ha contenuto e portato la Potenza, la Sapienza e l’Amore di Dio. Gloria alla Donna! Cantate, o donne d’Israele, le lodi di Lei!».

   525.8La donna tace come fosse spossata la sua voce. Infatti non so come faccia a tenere quel timbro così forte.
   Gli scribi dicono: «È pazza! È pazza! Falla tacere. Pazza o posseduta. Imponi allo spirito che la tiene che se ne vada».
   «Non posso. Non c’è che spirito di Dio, e Dio non scaccia Se stesso».
   «Non lo fai perché ella loda Te e la Madre tua, e ciò solletica il tuo orgoglio».
   «Scriba, rifletti a ciò che sai di Me e vedrai che Io non conosco l’orgoglio».
   «Eppure solo un demonio può parlare in lei per celebrare così una donna!… La donna! E che è in Israele e per Israele la donna? E che, se non peccato agli occhi di Dio? La sedotta e seduttrice! Se non fosse fede, si stenterebbe a pensare un’anima nella femmina. Le è interdetto di accostarsi al Santo per la sua immondezza. E costei dice che Dio scese in lei!…», dice un altro scriba, scandalizzato, e i suoi compari gli fanno bordone.
   Gesù dice senza guardare nessuno in volto, pare che parli a Se stesso: «“La Donna schiaccerà la testa del Serpente… La Vergine concepirà e partorirà un Figlio che sarà chiamato Emmanuele… Un germoglio spunterà dalla radice di Jesse, un fiore verrà da questa radice e su Lui si riposerà lo Spirito del Signore”. Questa Donna. Mia Madre. Scriba, per onore del tuo sapere, ricorda e comprendi le parole del Libro».
   Gli scribi non sanno che rispondere. Quelle parole[67] sono state mille volte lette da loro e dette vere. Possono ora negarlo? Tac­ciono.

   525.9Uno ordina di accendere dei fuochi, perché il freddo si fa sen­tire presso le rive dove scorre il vento della sera. Ubbidiscono e dei falò di frasche fiammeggiano a corona intorno al gruppo serrato.
   La luce danzante del fuoco pare riscuotere la donna, che si era azzittita e che stava ad occhi chiusi come raccolta in se stessa. Riapre gli occhi, si scuote. Guarda di nuovo Gesù e grida di nuovo: «Adonai! Adonai, Tu sei grande! Cantiamo al Divino un cantico nuovo! Shalem! Shalem! Malchich!!… (scrivo così, ma l’ h è aspirata come quasi un c detto da toscani). Pace! Pace! o Re al quale nulla resiste!…».
   La donna tace di colpo. Gira gli occhi, per la prima volta da quando parla, su quelli che circondano Gesù, e fissa gli scribi come li vedesse per la prima volta, e senza un motivo apparente delle lacrime si formano nei suoi grandi occhi e il viso si fa triste e senza splendore.
   Parla lentamente, ora, e con voce profonda come chi parla di cose di dolore: «No. Vi è chi ti resiste! O popolo, ascolta! Da dopo il mio dolore, o popolo di Betlechi, mi hai sentito parlare. Dopo anni di silenzio e di dolore ho sentito e ho detto ciò che sentivo. Ora non sono più fra i verdi boschi di Betlechi, vergine vedova che trova nel Signore la sua unica pace. Non ho intorno soltanto i miei concittadini ai quali dire: “Temiamo il Signore perché l’ora è giunta di esser pronti alla sua chiamata. Facciamo bella la veste del cuore per non essere indegni al suo cospetto. Cingiamoci di fortezza perché l’ora del Cristo è ora di prova. Purifichiamoci come ostie per l’altare perché si possa essere accolti da Colui che lo manda. Chi è buono si faccia più buono. Chi è superbo si faccia umile. Chi patisce lussuria si cavi la carne per potere seguire l’Agnello. L’avaro diventi benefattore perché Dio ci benefica nel suo Messia, e ognuno pratichi giustizia per poter appartenere al Popolo del Benedetto che viene”. Ora io parlo davanti a Lui e davanti a chi crede in Lui, e anche davanti a chi non crede e deride il Santo e quelli che parlano e credono nel suo Nome e in Lui. Ma non ho paura. Voi dite che io sono folle, voi dite che in me parla un demonio. Io so che potreste farmi lapidare come bestemmiatrice. So che ciò che dirò vi parrà insulto e bestemmia, e mi odierete. Ma non ho paura. Ultima, forse, delle voci che parlano di Lui prima della sua Manifestazione, avrò forse la sorte di molte altre voci, e non ho paura. Troppo lungo è l’esilio nel freddo e nella solitudine della Terra, per chi pensa al seno d’Abramo, al Regno di Dio che il Cristo ci apre, più santo del santo seno di Abramo. Sabea di Carmel della stirpe di Aronne non teme la morte. Ma teme il Signore. E parla quando Egli la fa parlare per non disubbidire al suo volere. E dice il vero perché parla di Dio con le parole che Dio le dà. Non temo la morte. Anche se mi direte demonio e mi lapiderete come bestemmiatrice, anche se il padre e la madre e i fratelli miei per questo disonore moriranno, io non tremerò di paura e di pena. So che il demonio non è in me perché in me tace ogni fomite, e tutta Betlechi lo sa. So che le pietre non potranno che mettere una sosta più breve di un respiro al mio canto, e dopo al mio canto sarà dato più ampio respiro nella libertà d’oltre Terra. So che il dolore di quelli del mio sangue Dio lo conforterà, e sarà breve, mentre eterno sarà poi il loro gaudio di parenti martiri di una martire. Non temo la vostra morte, ma quella che mi verrebbe da Dio se non l’ubbidissi. E parlo. E dico ciò che mi vien detto. O popolo ascolta, e ascoltate voi, scribi d’Israele».

   525.10Alza di nuovo la voce accorata e dice: «Una voce, una voce viene dall’alto e grida nel mio cuore. E dice: “L’antico Popolo di Dio non può cantare il nuovo cantico perché non ama il suo Salvatore. Canteranno il cantico nuovo i salvati di ogni nazione, quelli del Popolo nuovo del Cristo Signore, non quelli che odiano il mio Verbo”… Orrore! (dà veramente un urlo che fa rabbrividire). La voce dà luce, la luce dà vista! Orrore! Io vedo!».
   L’urlo è quasi un ululo. Ella si torce come fosse tenuta fissa davanti ad uno spettacolo tremendo che le torturasse il cuore e cercasse di porvi termine con la fuga. Il mantello le scivola dalle spalle ed ella rimane nella sua veste bianca contro il gran tronco nero. Nella luce, che si riduce lentamente nel riflesso verde del bosco e in quello rossastro e danzante delle fiamme, il suo viso acquista una tragicità potente. Delle ombre si formano sotto gli occhi, intorno alle narici, sotto il labbro. Pare un volto scavato dal dolore. Si torce le mani ripetendo più piano: «Io vedo! Io vedo!», e beve le sue lacrime mentre continua: «Io vedo i delitti di questo mio popolo. E sono impotente a fermarli. Io vedo il cuore dei miei compatrioti e non lo posso mutare. Orrore! Orrore! Satan ha lasciato i suoi luoghi ed è venuto a prender dimora nel cuore di questi».
   «Falla tacere!», ordinano gli scribi a Gesù.
   «Avete promesso di lasciarla parlare…», risponde Gesù.
   La donna continua: «Volto a terra, nel fango, o Israele che ancora sai amare il Signore. Copriti di cenere, vestiti di cilicio. Per te! Per loro! Gerusalemme! Gerusalemme, salvati! Io vedo una città che tumultua chiedendo un delitto. Io sento, io sento l’urlo di quelli che invocano con odio un sangue su loro. Io vedo innalzare la Vittima nella Pasqua di Sangue e fluire quel Sangue, e gridare quel Sangue più del sangue d’Abele, mentre si aprono i cieli e la terra si scuote e il sole si oscura. E quel Sangue non grida vendetta, ma prega pietà per il suo Popolo uccisore, pietà per noi! Gerusalemme!!! Convertiti! Quel Sangue! Quel Sangue! Un fiume! Un fiume che lava il mondo guarendo ogni male, cancellando ogni colpa… Ma per noi, per noi d’Israele, quel Sangue è fuoco, per noi è scalpello che scrive sui figli di Giacobbe il nome di deicidi e la maledizione di Dio. Gerusalemme! Abbi pietà di te stessa e di noi!…».

   525.11«Ma falla tacere, ti ordiniamo!», urlano gli scribi mentre la donna singhiozza coprendosi il volto.
   «Non posso imporre alla Verità di tacere».
   «Verità! Verità! È una folle che delira! Che Maestro sei, se prendi per verità le parole di una delirante?».
   «E che Messia sei se non sai far tacere una donna?».
   «E che Profeta sei se non sai porre in fuga il demonio? Eppure altre volte lo hai fatto!».
   «Lo ha fatto, sì. Ma ora non gli conviene. È tutto un ben congegnato giuoco per intimorire le turbe!».
   «E avrei scelto quest’ora, questo luogo e questo pugno d’uomini per farlo, quando potevo farlo in Gerico, quando ho avuto cinque e più di cinque mila persone che mi hanno seguito e circondato più volte, quando il recinto del Tempio è stato ristretto per accogliere tutti quelli che mi volevano sentire? E può forse il demonio dire parole di sapienza? Chi di voi, in coscienza, può dire che un errore è uscito da quelle labbra? Non risuonano sulle sue labbra, con voce di donna, le terribili parole dei profeti? Non sentite l’ululo di Geremia e il pianto di Isaia e degli altri profeti? Non sentite la voce di Dio attraverso alla creatura, la Voce che cerca di farsi accogliere per vostro bene? Me, non mi ascoltate. Parlo, potete pensarlo, in mio favore. Ma costei, che mi è ignota, quale favore spera da queste parole? Che ne avrà, se non il vostro disprezzo, le vostre minacce, forse la vostra vendetta? No, che non le impongo silenzio! Anzi, perché questi pochi la sentano, e voi pure sentiate e possiate ravvedervi, le ordino: “Parla! Parla, ti dico, in nome del Signore!”».
   Ora è Gesù che è imponente, è il Cristo potente delle ore di miracolo, dai grandi occhi magnetici nel loro splendore di stella azzurra, che la fiamma di un falò, acceso fra la donna e Lui, avviva ancor di più. La donna, invece, oppressa dal dolore, è meno regale e sta a capo chino col viso velato dalle mani e dai capelli neri, che si sono disciolti e le piovono sulle spalle e in avanti, come un velo di lutto sulla veste bianca.
   «Parla, ti dico. Non sono senza frutto le tue dolorose parole. Sabea, della stirpe d’Aronne, parla!».

   525.12La donna ubbidisce. Ma parla piano, tanto che tutti si stringono più vicino per sentirla meglio. Pare che parli a se stessa, guardando verso il fiume che scorre frusciando alla sua destra con un ultimo sfaccettio d’acque, nelle ultime luci del giorno. E pare che parli al fiume: «O Giordano, sacro fiume dei padri, che hai l’onda cerula e cresputa come un bisso prezioso, e vi rifletti le pure stelle e la candida luna, e carezzi i salici delle tue rive, e fiume di pace sei, e pur conosci tanto dolore; o Giordano, che nelle ore di tempesta sull’onde gonfie e turbate trasporti le arene di mille torrenti e le loro rapine, e talvolta tronchi un tenero arbusto su cui è un nido e lo trasporti vorticoso verso l’abisso mortale del mar Salato, e non hai pietà della coppia di uccelli che seguono a volo, stridendo di dolore, il loro nido distrutto dalla tua rapina; così vedrai, o sacro Giordano, percosso dall’ira divina, strappato alle case e all’altare, andare alla rovina, perendo nella morte più grande, andare il popolo che non volle il Messia.

   525.13Popolo mio, salvati! Credi nel tuo Signore! Segui il tuo Messia! Riconoscilo per ciò che è. Non re di popoli e milizie. Re delle anime, delle tue anime, di tutte le anime è. Disceso a raccogliere le anime giuste, risalirà per condurle nel Regno eterno. O voi che ancora potete amare, stringetevi al Santo! O voi che avete a cuore le sorti della Patria, unitevi al Salvatore! Che tutto non muoia il seme d’Abramo! Fuggite i falsi profeti dalle bocche di menzogna e i cuori di rapina che vogliono strapparvi alla Salvezza. Uscite dalle tenebre che vi innalzano intorno. Ascoltate la voce di Dio! I grandi che oggi temete sono già polvere, nel decreto di Dio. Uno solo è il Vivente. I luoghi nei quali regnano e dai quali opprimono sono già rovine. Uno solo dura. Gerusalemme! Dove sono gli orgogliosi figli di Sion dei quali ti vanti? Dove i rabbi e i sacerdoti dei quali ti orni e nei quali ti ammiri? Guardali! Oppressi, in catene, vanno verso l’esilio, fra le macerie dei tuoi palazzi, fra il fetore dei morti di spada e di fame. Su te è il furore di Dio, o Gerusalemme che respingi il tuo Messia e lo colpisci nel volto e nel cuore. Ogni bellezza è in te distrutta. Ogni speranza per te è morta. Profanato è il Tempio e l’altare…».
   «Falla tacere! Bestemmia! Falla tacere, diciamo».
   «…strappato è l’efod. Non serve più…».
   «Sei colpevole se non le imponi silenzio!».
   «…perché non regna più. Vi è un altro, eterno Pontefice, ed è santo, e messo da Dio: Re e Sacerdote in eterno, da Colui che fa sue le offese fatte al Cristo e ne fa le vendette. Un altro Pontefice. Il vero, il santo, unto da Dio e dal suo Sacrificio, al posto di quelli sulla cui fronte è un disdoro la tiara, perché copre pensieri d’orrore!…».
   «Taci, maledetta! Taci, o ti colpiamo!», e gli scribi la malmenano rudemente. Ma lei pare non senta.

   525.14Il popolo tumultua: «Lasciatela parlare, voi che parlate tanto. Dice il vero. Così è. Non c’è più santità fra voi. Uno solo è il Santo e voi lo angariate».
   Gli scribi reputano prudente tacere, e la donna prosegue con la sua voce stanca e dolente: «Era venuto a portarti la pace. E guerra gli hai dato… Salute. E tu lo hai schernito… Amore. E lo hai odiato… Miracolo. E lo hai detto demonio… Le sue mani hanno guarito i tuoi malati. E tu le hai trafitte. Ti portava la Luce. E tu hai coperto di sputi e lordure il suo volto. Ti portava la Vita. E tu gli hai dato la morte. Israele, piangi il tuo fallo e non imprecare al Signore mentre vai verso il tuo esilio, che non avrà termine come quelli di un tempo. Tutta la Terra scorrerai, Israele, ma come popolo vinto e maledetto, inseguito dalla voce di Dio, e con le stesse parole dette a Caino. E qui non potrai tornare a ricostruire un solido nido se non quando riconoscerai con gli altri popoli che questo è Gesù, il Cristo, il Signore Figlio del Signore…».
   La voce della donna è bianca di pena e fatica, stanca come la voce di uno che muore. Ma non tace ancora, anzi si rianima per un ultimo comando: «A terra, popolo che sai ancora amare. Copriti di cenere, vestiti di cilicio. Il furore di Dio è sospeso su noi come nube gravida di grandine e folgori su un campo maledetto».
   La donna crolla in ginocchio, a braccia tese verso Gesù, e grida: «Pace, pace, o Re di giustizia e di pace! Pace, o Adonai grande e potente, al quale neppure il Padre resiste! Impetra per noi pace, per il tuo Nome, o Gesù, Salvatore e Messia, Redentore e Re, e Dio, tre volte santo!», e si abbatte, scossa dai singhiozzi, col viso sull’erba.

   525.15Gli scribi circondano Gesù tirandolo in disparte e allontanando ogni altro con sguardi e parole minacciose, e uno di essi dice: «Il meno che Tu possa fare è di guarirla. Perché, se proprio vuoi dirla libera da un demonio, non puoi negare che sia una malata. Donne!… E donne sacrificate dal destino… La loro vitalità deve bene effondersi da qualche parte… e divagano… e vedono cose irreali… e soprattutto vedono Te che sei giovane e bello… e…».
   «Taci, bocca di serpente! Tu stesso non credi a ciò che dici», scatta Gesù con un impero che tronca le parole sulle labbra dello scriba magro e nasuto, che all’inizio del fatto aveva schernito la donna come falsa profetessa.
   «Non offendiamo il Maestro. Lo abbiamo eletto a giudice di un caso che noi non riusciamo a giudicare…», dice un altro scriba, quello che, andato con gli altri incontro a Gesù sulla via, ha detto a Gesù che non tutti gli scribi gli sono avversi, ma alcuni l’osservano anche per giudicare e con sincera volontà di seguirlo se giudicato Dio.
   «Ma taci, Gioele detto Alamot, figlio di Abia! Solo un mal na­to come te può dire queste parole», lo investono gli altri.
   Lo scriba diventa congestionato sotto l’insulto. Ma si domina e risponde con dignità: «Se natura mi è stata nemica nella persona, ciò non ha reso monco il mio intelletto. Anzi, precludendomi molti piaceri, ha fatto di me l’uomo di sapienza. E se voi foste santi non avvilireste l’uomo, ma rispettereste il sapiente».
   «Bene! Parliamo di ciò che ci preme. Tu hai il dovere di guarirla, Maestro, perché nel suo delirio spaventa la gente e offende il sacerdozio, i farisei e noi».
   «Se vi avesse lodato, mi direste di guarirla?», domanda Gesù dolcemente.
   «No. Perché servirebbe a rendere la gente rispettosa di noi, questo popolo caprino che ci odia nel suo cuore e ci schernisce sol che possa», risponde uno scriba senza avvedersi di cadere in una trappola.
   «Ma non sarebbe ancora una malata? Non avrei dovere di guarirla?», chiede ancora dolcemente Gesù. Sembra uno scolaro che chieda al pedagogo ciò che deve fare.
   E gli scribi, acciecati da superbia, non capiscono che stanno confessando se stessi… «In quel caso, no. Anzi! Lasciarla, lasciarla nel suo delirio! Fare quanto si può perché la gente la creda profetessa. Onorarla! Indicarla…».
   «Ma se fossero cose non vere?!…».
   «Oh! Maestro! Tolto il punto nel quale dice cose contro noi, il resto servirebbe molto a rialzare l’orgoglio d’Israele contro il romano, a tenere basso l’orgoglio del popolo verso di noi!».
   «Ma non si potrebbe dirle: “Parla così, ma non dire questo”», dice fermamente Gesù.
   «E perché?».
   «Perché chi delira parla senza sapere ciò che dice».
   «Oh! con delle monete e qualche minaccia… si otterrebbe tutto. Si regolavano anche i profeti…».
   «Non mi risulta, in verità…».
   «Eh! perché non sai leggere fra le righe e perché non tutto è stato lasciato scritto».
   «Ma lo spirito profetico non conosce imposizioni, o scriba. Esso viene da Dio, e Dio non si compera e non si spaurisce», dice Gesù cambiando tono. È l’inizio del suo contrattacco.
   «Ma costei non è profetessa.

   525.16Non è più tempo di profeti».
   «Non è più tempo di profeti? E perché?».
   «Perché non ce li meritiamo. Siamo troppo corrotti».
   «Veramente? E tu lo dici? Tu che poc’anzi la giudicavi degna di castigo perché diceva la stessa cosa?».
   Lo scriba resta disorientato. Lo aiuta un altro: «Il tempo dei profeti è cessato con Giovanni. Non servono più».
   «E perché mai?».
   «Perché Tu ci sei a dire la Legge e a parlare di Dio».
   «Anche al tempo dei profeti c’era la Legge e la Sapienza parlava di Dio. Eppure essi pure c’erano».
   «Ma che profetizzavano? La tua venuta. Venuto sei. Essi non servono più».
   «Cento e cento volte mi sono sentito chiedere da voi, da sacerdoti e farisei, se ero o non ero il Cristo, e poiché lo affermavo fui detto bestemmiatore e folle, e furono prese pietre per lanciarmele contro. Non sei tu Sadoc, detto lo scriba d’oro?», dice Gesù indicando lo scriba nasuto che ha malmenato la donna dopo averla tentata allo sbaglio.
   «Lo sono. Ebbene?».
   «Ebbene, tu, proprio tu, sei sempre stato il primo, a Giscala come al Tempio, ad iniziare la violenza contro di Me. Ma Io ti perdono. Ti ricordo soltanto che tu lo facevi dicendo che non potevo essere il Cristo, mentre ora lo sostieni. E ti ricordo anche la sfida che ti ho data a Cèdes[68]. Fra poco vedrai compiersi una parte di essa. Quando la luna sarà tornata alla fase con cui ora splende nel cielo, Io te la darò la prova. La prima. L’altra l’avrai quando il grano, che ora dorme nella terra, scuoterà le spighe ancor verdi ai venticelli di nisam.

   525.17Ma a quelli che dicono che sono inutili i profeti, rispondo: “E chi potrà mettere limiti al Signore altissimo?”. In verità, in verità vi dico che i profeti sempre ci saranno fino a che ci saranno gli uomini. Sono le fiaccole fra le tenebre del mondo. Sono i focolari fra il gelo del mondo. Sono gli squilli di tuba che sveglieranno gli assonnati. Sono le voci che ricordano Dio e le sue verità cadute in dimenticanza e trascuranza col tempo, e portano all’uomo la voce diretta di Dio, suscitando fremiti di emozione nei dimentichi, negli apatici figli dell’uomo. Avranno altri nomi, ma uguale missione e uguale sorte di umano dolore e di sovrumano godere. Guai se non ci fossero questi spiriti che il mondo odierà e Dio sovramerà! Guai se non ci fossero a patire e perdonare, amare e operare in obbedienza al Signore! Il mondo perirebbe fra le tenebre, il gelo, in un sopore di morte, in una ebetudine, in una ignoranza selvaggia e abbrutente. E perciò Dio li susciterà, e sempre ci saranno. E chi potrà imporre a Dio di non farlo? Tu, Sadoc? o tu? o tu? In verità vi dico che neppur gli spiriti di Abramo, Giacobbe e Mosè, di Elia ed Eliseo potrebbero imporre a Dio questa limitazione, e solo Dio sa quanto erano santi e quali luci eterne essi siano».
   «Allora Tu non vuoi guarire la donna e neppure condannarla?».
   «No».
   «E la giudichi profetessa?».
   «Ispirata, sì».
   «Sei un demonio come lei. Andiamo. Non ci conviene perdere altro tempo con dei demoni», dice Sadoc dando un urtone da… facchino a Gesù, per scansarlo.
   Molti lo seguono. Alcuni restano. Fra questi, quello che hanno chiamato Gioele Alamot.
   «E voi non li seguite?», chiede Gesù indicando quelli che se ne vanno.
   «No, Maestro. Andremo via perché è notte. Ma vogliamo dirti che crediamo nel tuo giudizio. Dio può tutto, è vero. E per noi, che cadiamo in molte colpe, può suscitare degli spiriti che ci richiamino alla giustizia», dice uno molto anziano.
   «Hai detto bene. E questa tua umiltà è più grande agli occhi di Dio del tuo sapere».
   «Allora ricordati di me quando sarai nel tuo Regno».
   «Sì, Giacobbe».
   «Come sai il mio nome?».
   Gesù sorride senza rispondere.
   «Maestro, anche di noi ricordati», dicono gli altri tre. E l’ul­timo a parlare, Gioele Alamot, dice anche: «E benediciamo il Signore che ci ha dato quest’ora».
   «Benediciamo il Signore!», risponde Gesù.
   Si salutano. Si separano.

   525.18Gesù si riunisce ai suoi apostoli e va con essi presso la donna, che ha ripreso ancora la posizione che aveva all’inizio: raggomitolata in se stessa sulla radice sporgente.
   La madre e il padre di lei affannosamente chiedono al Maestro: «È dunque un demonio nostra figlia? Essi prima di andarsene lo hanno detto».
   «Non lo è. Abbiate pace. E amatela perché la sua sorte è molto dolorosa. Come tutte le sorti simili alla sua».
   «Ma essi hanno detto che così Tu hai giudicato…».
   «Essi hanno mentito. Io non mento. Abbiate pace».
   Giovanni d’Efeso si fa avanti con Salomon e gli altri discepoli: «Maestro, Sadoc ha minacciato costoro. Io te lo dico».
   «Costoro o costei?».
   «Costoro e costei. Non è vero, voi due?».
   «Sì. Ci hanno detto, a me e alla madre, che se non sapremo far tacere la figlia nostra, guai a noi. E a Sabea hanno detto: “Se parlerai ti denunceremo al Sinedrio”. Giorni cattivi prevediamo per noi!… Ma il cuore è in pace per quello che Tu ci hai detto… e sopporteremo il resto. Ma per lei… Che dobbiamo fare? Consigliaci, Signore».
   Gesù pensa e risponde poi: «Non avete parenti lontani da Betlechi?».
   «No, Maestro».
   … Gesù pensa e poi alza il volto e guarda Giuseppe, Giovanni d’Efeso e Filippo di Arbela. Ordina: «Vi metterete in viaggio con costoro e poi da Betlechi con costei e il corredo di costei andrete ad Aera. Direte alla madre di Timoneo che la custodisca in mio nome. Ella sa cosa è avere un figlio perseguitato».
   «Faremo, Signore. Ben deciso. Aera è lontana e fuori mano», dicono i tre.
   Il padre e la madre di Sabea baciano le mani al Maestro e lo ringraziano e benedicono.
   Gesù si curva sulla donna e la tocca sul capo velato chiamandola con dolcezza: «Sabea, ascoltami!».
   La donna alza il capo e lo guarda e poi scivola in ginocchio.
   Gesù le tiene la mano sul capo: «Ascolta, Sabea. Tu andrai dove ti mando. Da una madre. Avrei voluto mandarti dalla mia. Ma non m’è concesso. E continua a servire il Signore in giustizia e ubbidienza. Io ti benedico, donna. Va’ in pace».
   «Sì, mio Signore e Dio. Ma quando dovrò parlare, po­trò?…».
   «Lo Spirito che ti ama ti guiderà a seconda dell’ora. Non temere del suo amore. Sii umile, casta, semplice e sincera, ed Egli non ti abbandonerà. Va’ in pace!».

   525.19Si riunisce di nuovo agli apostoli ed a Zaccheo coi suoi, che si erano fermati lontano qualche passo trattenendo anche altri curiosi.
   «Andiamo. È notte. Non so come farete a tornare a Gerico, voi che dovete andare là».
   «Piuttosto la donna e i suoi parenti, diciamo. Ma, se Tu lo giudichi buono, noi staremo fuori della casa, e Tu e loro potrete dormire in essa sino al mattino», propone uno degli amici di Zaccheo.
   «Buona proposta. Andate a dire a Sabea di venire con i suoi e con i discepoli. Essi dormiranno. Io starò con voi. Non è notte ventosa. Faremo dei fuochi e attenderemo l’alba così, istruendovi Io, ascoltandomi voi».
   E lentamente si mette in cammino nel primo chiarore di luna…

[64] ti saluto, e lo fa con le parole di: Isaia 9, 5.
[65] ornato, come in: Esodo 28, 15-21; 39, 8-14.
[66] esce e porta l’ulivo, come in: Genesi 8, 8-12. Per le note sulle donne d’Israele qui menzionate rimandiamo all’indice tematico alla fine del volume.
[67] parole, che sono prese da: Genesi 3, 15; Isaia 7, 14; 11, 1-2.
[68] data a Cèdes, in 342.6/7.