MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

LIBRO DI AZARIA CAPITOLO 37


Ultima domenica di ottobre. Festa di Cristo Re e ventesima domenica dopo Pentecoste


27 ottobre 1946

   Festa di Gesù Cristo Re
   Introito: Salmo 72 (71), 1; Apocalisse 1, 6; 5, 12.
   Orazione: O Dio onnipotente ed eterno, che volesti restaurare ogni cosa nel tuo diletto Figliolo, Re dell'universo, concedici nella tua bontà che le famiglie del mondo, disgregate a causa del peccato, si sottomettano al suo soavissimo impero.
   Epistola: Colossesi 1, 12-20.
   Graduale: Salmo 72 (71), 8.11; Daniele 7, 14.
   Tratto: Salmo 89 (88), 27-28.30; Daniele 7, 14; Apocalisse 19, 16.
   Vangelo: Giovanni 18, 33-37.
   Offertorio: Salmo 2, 8.
   Segreta: Ti offriamo, o Signore, l'ostia che riconcilia l'umanità; fa', te ne preghiamo, che Colui che con questi sacrifici t'immoliamo, Egli stesso conceda a tutti i popoli il dono dell'unità e della pace, Gesù Cristo, tuo Figliolo Signor nostro.
   Comunione: Salmo 29 (28), 10-11.
   Dopocomunione: Ricevuto il cibo dell'immortalità, ti preghiamo o Signore che, andando alteri di militare sotto il vessillo di Cristo Re, possiamo regnare perennemente nella gloria celeste con Lui.
   

   Ventesima domenica dopo Pentecoste
   Introito: Salmo 119 (118), 1; Daniele 3, 29.31.35.
   Orazione: Deh! Signore, ai tuoi servi largisci placato il perdono e la pace, affinché purificati da tutte le colpe ti servano con animo tranquillo.
   Epistola: Efesini 5, 15-21.
   Graduale: Salmo 108 (107), 2; 145 (144), 15-16.
   Vangelo: Giovanni 4, 46-53.
   Offertorio: Salmo 137 (136), 1.
   Segreta: Questi misteri, te ne preghiamo o Signore, ci diano la celeste medicina e purifichino dai vizi il nostro cuore.
   Comunione: Salmo 119 (118), 49-50.
   Dopocomunione: Per renderci degni dei doni, te ne preghiamo o Signore, facci sempre ubbidire ai tuoi comandamenti.
  

   Dice Azaria:
   «Sarà un doppio lavoro. Ma il ciclo liturgico deve essere compiuto e non deve passare inosservata la solennità d'oggi. Contempliamo dunque le luci della S. Messa di Gesù Cristo Re.
   Ha inizio con una frase che è chiave per capire come si diventa gloriosi. Dice: "L'Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere la potenza, la divinità, la sapienza, la fortezza e l'onore. A Lui gloria e impero nei secoli dei secoli".
   Chi è l'Agnello? È il Figlio di Dio e di Maria Immacolata. Dal Padre ha avuto in eterno vita, dalla Madre ha avuto, nel giusto tempo, l'umanità, ed è divenuto Gesù Cristo. Ha forse cessato, essendo Gesù Cristo, di essere Dio? No, non ha cessato di esserlo, ma ha assunto anche la natura umana, divenendo vero Uomo per potere essere il Salvatore, ossia Jeos(c)iuà1.
   I dotti spiegano che ciò vuol dire Salvatore. Ma, anima mia, vuol anche dire una ben più potente cosa! Contempla e paragona il Nome di Dio, quale lo dicevano gli ebrei, e il nome del Figlio di Maria. Hanno la stessa radice, a significare la stessa origine e natura. Gesù vuol dunque dire Dio, ancora Dio. E vuol dire salvezza con la finale os(c)iuà. Ma la discendenza, anzi il procedere dal Padre Iddio, è confermata dalla radice del nome.
   Essendo Dio, poteva Colui che è detto l'Agnello non essere degno di ricevere potenza, divinità, sapienza, fortezza e onore? Non solo poteva queste cose, ma le aveva per sua propria natura divina. È allora un errore dire che l'Agnello è degno di riceverle? Non è un errore. Dal momento che il Verbo si fece carne e divenne l'Agnello di Dio per la grande Pasqua redentrice, Egli, alla perfezione propria di Dio, unì la natura di Uomo, e come tutti gli uomini ebbe una libera volontà, delle passioni, dei sentimenti, dei sensi.
   Il Padre Ss. non esercitò nessuna coercizione sul Figlio incarnato e lo trattò alla stregua di ogni altro uomo perché la sua santità di Uomo fosse reale e perfetta, e pari alla sua Santità di Dio. Se il Padre avesse legato o attutito la libertà, e i sensi, e sentimenti del Figlio; se - e lo poteva fare - avesse interdetto al demonio, al mondo e alla carne di avere voce per il Figlio incarnato, l'umanità del Figlio e la sua santità di uomo sarebbero state una parvenza soltanto. Ma il Padre volle la piena e perfetta santità del Figlio fattosi Carne perché la Vittima fosse realmente l'Agnello senza macchia, ostia immacolata e immolata pro omnibus.
   Il Figlio di Dio fu tentato non una, ma mille e mille volte nella sua umanità - perché unicamente in essa poteva esserlo - e dalla sua stessa umanità e dal mondo e dal demonio. E rimase santo e fedele di sua libera volontà alla Legge, alla Giustizia e perciò anche alla sua Missione. E perciò anche fedele al Sacrificio per compiere il quale aveva preso Carne.
   Ed ecco allora che per questo Colui che essendo Dio si fece Uomo, si fece Vittima, si fece Agnello, è degno di ricevere, anche come Uomo, ciò che già possedeva come Dio, e la gloria e l'impero nei secoli dei secoli.
   Se non si fosse sacrificato - ecco la chiave - non avrebbe avuto. È per il suo amore al sacrificio, che è la forma più alta dell'amore, che all'Agnello viene dato lo scettro di Re dei Re e Signore dei Signori.
   Chi vuole avere la gloria vera ami il sacrificio, imitando l'Agnello, e con l'Agnello dividerà la gloria beatifica.
   L'Orazione canta: "O Dio onnipotente ed eterno che volesti restaurare ogni cosa nel tuo diletto Figlio, Re dell'Universo". Vedete, o anime, il desiderio di Dio e la sua generosità d'amore? Non c'era che un Dio che potesse placare Dio e restituire l'Ordine, turbato nell'Eden, alla primitiva perfezione. L'Ordine era che coloro che sono stati creati ad immagine e somiglianza di Dio potessero godere di Dio ed essere dèi nel bel Paradiso.
   Lo spirito, concesso da Dio, emanazione di Dio, germe di Dio, Padre degli uomini, negli uomini non era conveniente che si sperdesse dopo la morte della carne. E neppure era conveniente che un perpetuo esilio tenesse gli spiriti giusti lungi dalla Dimora del Padre in un limbo sempiterno. La prima cosa non era conveniente per la dignità che va data a tutto ciò che viene da Dio, la seconda per la Giustizia di Dio. I giusti dovevano avere un premio. Quale, se non il Paradiso? Ma nel Paradiso non potevano entrare anime lese dalla colpa d'origine, che nessun purgatorio annulla. Ecco allora la necessità di annullare questa Colpa. Ecco la necessità che un Dio ristabilisse l'Ordine e lo sublimasse anche, perché la mondezza dalla Colpa non viene ora unicamente da un'eredità quale sarebbe stata quella data agli uomini2 da un Adamo ed Eva fedeli, ma dal Sacrificio di un Dio-Uomo, dai suoi meriti infiniti, dalla sua Dottrina che, accolta da anime di buona volontà, le fa imitatrici del Figlio di Dio nelle opere e nelle virtù.
   Il sacrificio, l'amore eroico, l'imitazione del Martire divino, la compartecipazione delle povere creature alla Passione di un Dio, con pari meriti e frutti, sempre tenendo presente la differenza che è fra Dio e l'uomo, non sarebbero stati se la colpa di due non avesse provocato la necessità della Incarnazione Ss. e della Redenzione Ss. Quanto sarebbe mancato agli uomini per fare invidia agli angeli se la Bontà di Dio Padre e la Generosità di Dio Figlio, nate e sorrette dall'Amore Infinito, non avesse mandato agli uomini il Salvatore, il Maestro perfetto, nel quale ogni uomo, che vuol divenire "dio", deve rispecchiarsi ed imitare per condividere la gloria di Gesù Ss. nel Cielo!
   Le vostre corone non sono più le ingenue e facili corone che avrebbero avuto nell'Eden i figli dell'uomo, ma le auree, spinose, preziose corone regali dei fratelli di Cristo, del Coronato Re del dolore, del Coronato Re della Gloria, le corone del martirio, di duri rami spinosi imperlati di sangue, le corone di gloria imperlate dei vostri sacrifici che vi attendono in Cielo.
   "Fratelli", esclama l'Apostolo, "ringraziamo Dio Padre che ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella Luce, e liberandoci dall'impero delle tenebre ci ha trasportati nel regno del suo Figlio diletto, nel sangue del quale abbiamo avuto redenzione e remissione dei nostri peccati".
   Un inno di grazie perpetuo dovrebbe sgorgare dal cuore degli uomini per tanto amore. Un inno non di parole vane, ma di palpiti d'amore e di azioni sante, fatte ad imitazione di Cristo. Un inno di riconoscenza e di lode per avervi fatti compartecipi con Cristo della redenzione dei fratelli, per avervi fatti fratelli al suo Verbo, a Gesù, figlio di Dio e di Maria, al Dio Perfettissimo, al Perfettissimo Uomo, al Re eterno che ha portato agli uomini "l'immagine dell'invisibile Dio", al Primogenito vero "perché in Lui tutte le cose si sono fatte in Terra e in Cielo" e "tutto è stato creato per mezzo di Lui: 'Parola', e in vista di Lui", ossia perché il Diletto del Padre potesse divenire Re dei Re dopo aver assunto tutte le regalità: l'Umanità, la Sapienza, il Dolore, la Tiara di Pontefice, l'impero sulla Morte.
   Di tanta Perfezione voi siete fratelli per il Sangue Preziosissimo che al Padre piacque che il Figlio prendesse e versasse, umiliando la pienezza della sua divinità, congiunta alla Carne immacolata, sul patibolo della Croce per riconciliare "le cose della Terra con quelle del Cielo". E, Fratello Perfetto, Egli vi tende la Mano e porge lo scettro perché, come si legge nella storia di Ester, voi lo baciate e non abbiate più a temere il Re grande e terribile che per voi, o voi che lo amate ed imitate, è Fratello del quale non dovete temere.
   Il Padre a Lui dice in perpetuo: "Chiedimi, e Io ti darò in retaggio i popoli...". Ed Egli, il Re sublime, chiede voi, voi che amate, i prediletti, e chiede i peccatori, e a voi si volge perché uniate la vostra supplica alla Sua, il vostro soffrire attuale al suo soffrire di un tempo, e insieme uniti lavoriate con Lui a propagare il suo dominio sino agli ultimi confini della Terra. Siate alteri di questa elezione, e militate eroicamente sotto il vessillo di Cristo Re per poi regnare con Lui nella gloria celeste.
   Militare eroicamente è procedere secondo il codice che Paolo fissa ai suoi cristiani. La vita del cristiano è perpetua milizia, e milizia eroica, perché in lotta continua contro le stesse cose che combatté Gesù Cristo Ss. nei suoi 33 anni di vita terrena per conservarsi Agnello senza macchia.
   La Liturgia di questo tempo che precede l'Avvento già prepara gli animi al tempo del Natale, ricordando, attraverso le epistole, in quali condizioni deve mantenersi il cristiano per fruire del grande dono dell'Incarnazione del Verbo.
   Vivere con la prudenza a compagna delle proprie azioni, senza perdere del tempo, che non sapete se potete poi ritrovare. Pensare sempre che di molte ore anche i migliori avranno a rendere conto. Ore di tiepidezza, di ciance vane, di sonnolenza pigra, di peccato anche. Fruire perciò di ogni minuto per riparare il male fatto o il bene non fatto. Il domani non è mai sicuro. Usare perciò del presente che è sempre un dono di Dio, per darvi modo di acquistare meriti ai suoi Occhi Ss.
   Essere prudenti, ossia riflettere prima di fare cose che uno stimolo interno vi spinge a fare e che sembrano anche buone. Talora il demonio suscita un impulso, buono in apparenza, ma che crea un successivo procedere errato. Talora anche di una ispirazione o di un dono veramente divini se ne serve il demonio per suggestionare al male o sprezzandoli o esagerandoli, o continuando a dirli esistenti anche quando sono già passati. È la ragione della caduta di molte anime che Dio aveva predilette, e che non hanno saputo essere prudenti, e tanto più vegliare quanto più i doni o le ispirazioni sono sublimi. Prudenza nel pensiero, nell'azione, nell'uso del dono, o nell'eseguire l'ispirazione. Che non ne sorga fumo di superbia o smania di esagerazione, che sciuperebbe tutto.
   Saper tacere e saper ascoltare nel silenzio le reazioni della coscienza alle voci che ode. Ricordare che ciò che viene dall'alto comunica sempre pace e fortezza contro le voci dei sensi e delle seduzioni, mentre ciò che viene dall'invidioso Avversario dà sempre turbamento e favorisce il cedere dell'io a ciò che seduce la parte inferiore con la sensualità, o il pensiero con l'orgoglio e la menzogna. Imparare a leggere la volontà di Dio. In una vita raccolta ciò si ottiene. In una svagata, no.
   Paolo dice: "Non vi ubbriacate col vino, sorgente di lussuria, ma siate ripieni di Spirito Santo". Oh! non è a temersi soltanto il vino tratto dalla vite, ma anche e più ancora il vino della superbia, inebbriante più del succo della vite. La superbia non fa dell'uomo un superuomo ma un pigmeo, ma un animale, unicamente un animale ragionevole - e poco anche questo, perché la superbia offusca la ragione - un animale, e non più un dio, e ciò per l'assenza dello Spirito Santo, che fugge dai superbi e dagli impuri. Del resto la superbia è l'impurità dello spirito. La presenza dello Spirito di Dio divinizza l'uomo, la superbia lo priva di questo Spirito, e l'uomo discende.
   Prudenza nelle parole. Quanto si pecca con le parole! Parole licenziose, parole di mormorazione, parole d'ira, parole vane. Sappiate vegliare sulla lingua, facendola organo di lode a Dio e di edificazione ai fratelli, e non strumento di ferita o di frastuono.
   Prudenza nel dire a sé stessi e agli altri: "Io sono da più, e comando". Quelli che sono realmente da più degli altri siano umili nella loro grandezza, fratelli maggiori e non despoti dei minori. I minori siano umili e aiutino, con la loro ubbidiente umiltà, i maggiori nel disimpegno della loro missione. E tutto avvenga nell'amore di Gesù Ss., che fu umile come nessuno, e per gloria di Dio.
   Gli antichi ebrei potevano, nel loro dolore privo della fratellanza col Cristo Ss., sedersi sulle rive dei fiumi di Babilonia e piangere, ricordandosi del Signore del quale avevano meritato il corruccio. Ma i cristiani, anche se hanno peccato, devono procedere, rialzarsi dopo la caduta, mondarsi nel sangue dell'Agnello, ristorarsi del Pane dei forti, e procedere con fiducia. Essi sanno che a perorare la loro causa ed a placare il Padre vi è l'Ostia pura e immacolata che ha nome Gesù.
   Iddio lo ha promesso per la bocca del suo Verbo che chi spererà in Lui non sarà deluso. Questa parola confermi i buoni, conforti i deboli, spinga i colpevoli ad un umile pentimento, e ogni cristiano trovi in essa una luce di amorosa letizia per procedere verso il Regno di Dio.
  Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo».

 
   1 Jeos(c)iuà, o Jeshua, che è il nome di Gesù in ebraico, significa Jahvè salva

   2 quella data agli uomini è nostra correzione al posto di quella dagli uomini. Infatti riteniamo che la scrittrice, nella immediatezza del suo scrivere di getto, abbia involontariamente contratto nella parola dagli le parole data agli.