MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

A A A

LIBRO DI AZARIA CAPITOLO 49


Seconda domenica dopo l'Epifania


19 gennaio 1948

   Introito: Salmo 66 (65), 1-2.4.
   Orazione: O Dio onnipotente ed eterno, che regoli il corso e delle cose celesti e delle terrestri, esaudisci clemente le suppliche del tuo popolo e concedi ai nostri giorni la tua pace.
   Epistola: Romani 12, 6-16.
   Graduale: Salmo 107 (106), 20-21; 148, 2.
   Vangelo: Giovanni 2, 1-11.
   Offertorio: Salmo 66 (65), 1-2.16.
   Segreta: Santifica, Signore, i doni offerti e purificaci dalle macchie dei nostri peccati.
   Comunione: Giovanni 2, 7-11.
   Dopocomunione: Cresca in noi, te ne preghiamo o Signore, l'operazione della tua virtù, affinché, nutriti dei divini sacramenti, per tua grazia siamo preparati a riceverne gli effetti promessi.
  

   Dice Azaria:
   «Grande lezione è nell'Epistola di S. Paolo. Lezione nella quale è resa manifesta la necessità del seguire il decimo Comandamento sin dall'infanzia e nelle cose tutte, per giungere alla giustizia anche nelle cose sante.
   Perché, anima mia, si può essere ingiusti anche in ciò che è giusto. Non perché le cose giuste possano divenire ingiuste per sé stesse, ma perché l'uomo le può disordinatamente volere e praticare. E così delle cose sante. Il furto, o almeno il desiderio smodato, concupiscente, del soprannaturale, è più diffuso di quel che non si creda, ed assume violenze e costanze quali neppur il furto materiale e il desiderio smodato assumono.
   La concupiscenza di essere simile a Dio, non perché tale desiderio venga da conoscenza della vostra sorte e da amore che spinge al raggiungimento di una perfezione che vi fa dèi, ma per orgoglio, è la stessa concupiscenza di Lucifero. E dal Ribelle come ha preso la forma e la violenza, ha preso la tenacia.
   Il Ss. Maestro vostro vi ha detto: "Siate perfetti come il Padre mio". Perciò non è colpa ma ubbidienza tendere a questa perfezione che vi fa simiglianti al Padre vostro. Ma la perfezione seco porta giustizia. E nella giustizia è solo amore. Nella giustizia e nell'amore è sempre umiltà e sapienza. E nella umiltà e sapienza il desiderio di essere simiglianti a Dio non è confuso con l'orgoglio e l'ignoranza di volerlo essere in potenza e in infinità, per fare le cose che Egli fa, e più ancora, superandolo, dominandolo, detronizzandolo, dicendo: "Io sono", come tentò di fare Lucifero e come disse Lucifero, ma resta puro, resta amore, null'altro che amore. Amore che spinge i figli ad imitare il Padre e il Fratello divini, per essere perfetti nella bontà e carità. In queste. Non nella sete di fare le opere stupende che fa Dio Creatore e Signore del Cielo e della Terra.
   Eppure, a fianco degli atei che bestemmiano Dio negandolo, e dei razionalisti che lo bestemmiano diminuendolo, dei molti eretici che lo bestemmiano mutilandolo, degli indifferenti che lo bestemmiano non ricordandolo - categorie di uomini che i cattolici che si credono perfetti, non osservandosi prima di giudicare gli altri per vedere se qualche trave è nella loro pupilla (e se lo facessero vedrebbero che, se non un trave maestro, è nel loro occhio almeno un fuscello, ed è già sufficiente per avere la vista offuscata) giudicano severamente, scandalizzandosi di esse - sono altri peccatori, e proprio del peccato di concupiscenza spirituale. E sono proprio nelle schiere dei cattolici che si credono ferventi, e lo sono a modo loro. Lo sono. Ma con ingiusto fervore, con impuro fervore, con disordinato amore. Al tempo di Gesù Signor Nostro essi sarebbero stati nelle schiere dei farisei. Adesso sono nelle schiere di coloro che sono i disordinati nella religione.
   E sono tanti. Sono tutti quelli che - soltanto perché non lasciano passare giorno senza recarsi alla chiesa, e rispettano l'astinenza e il digiuno ad ogni costo, anche a quello di trascurare il marito o la moglie o la prole e favorire così in essi libertà che dovrebbe essere cura di un buon cattolico di impedire che sorgano, o mancando alla carità verso un malato, dimentichi che l'assistenza a chi è infermo è, per la misericordia praticata, rito di onore e di amore a Dio che è nascosto nel malato stesso - e sono quelli che, perché fanno questo, per la loro anima, hanno una religione disordinata. Disordinata perché egoista. Disordinata perché sitibonda di lodi dagli uomini che vedono il loro fervore (esterno), la loro giornaliera preghiera (esterna). Ma Dio vede anche l'interno, dei cuori e delle cose. Vede il movente vero di tante pratiche. E vede le conseguenze di queste pratiche tutte esterne. E non approva. Perché Dio è Amore e Ordine, e vuole ordine e amore in tutte le cose.
   Quando il Maestro Divino fu interrogato dallo Scriba qual fosse il più grande precetto, rispose: "Amare Dio con tutte le proprie forze, coll'anima, il cuore e l'intelletto, e amare il prossimo come noi stessi", e insegnando disse ai discepoli che ai giudicati nel Giudizio finale che gli chiederanno quando mai lo videro affamato, sitibondo, pellegrino, ignudo, infermo o carcerato, Egli risponderà: "Ciò che non faceste ad uno di questi non lo avete fatto a Me".
   La Sapienza vuole l'amore in tutte le cose e nella pratica di tutte le cose. Non chiede l'esteriorità dell'atto ma l'anima dell'atto. Andare per le chiese, trascurando il dovere di sposo o sposa, padre o madre, figlio o fratello, e portando l'uomo o la donna alla bestemmia e all'ira, il figlio o il fratello alla dissipazione, la figlia a libertà di amicizie e contatti dannosi, non è onorare Dio. Il tempo, quando lo si sappia usare, basta a tutte le cose, se si congiunge a vero spirito di carità e di sacrificio. E Dio, che è giusto, ha messo obblighi giusti per il culto, appunto per temperare le necessità e gli stimoli delle creature e delle anime. La Chiesa ha avuto la stessa giusta misura. Tutto il resto è un soprappiù che va usato quando e come le circostanze lo permettono, evitando che un merito proprio provochi un danno ad altre anime. Ché se così fosse, il merito sarebbe annullato dalla responsabilità dell'ira o del peccato sorto in altri cuori.
   Siate giusti, o cattolici, se volete essere perfetti. Siate giusti, se volete veramente essere di Dio. Amate con perfezione. Amando, per amare il Padre vostro, onorandolo per amore, non per l'utile che ve ne può venire. Altrimenti, se deste onore per averne utile, "sareste simili ai Gentili e ai peccatori". Se foste ferventi solo per avere alla vostra morte subito premio, io ve lo dico che lungamente espiereste il vostro egoismo nel Purgatorio.
   Orbene, siccome il disordine genera confusione, così fra questi cattolici che umanizzano, dirò così, lo spirituale culto che ha nome religione, e che è amore, e ne deviano perciò la rettezza e ne alterano la natura e bellezza, sono proprio i concupiscenti spirituali dei quali parlavo in principio, così numerosi fra i cattolici, così fuori dalla giustizia, dall'umiltà, dall'amore vero. In loro è colpa verso il decimo comandamento, e colpa di superbia, avarizia, invidia. Sorge in loro l'abito a questi vizi capitali, perché non spezzano subito la mala erba della concupiscenza spirituale che è nata in loro per un disordinato amore.
   A questi si indirizza particolarmente l'Apostolo come a malati che devono essere avvisati della loro malattia e curati denudando la piaga, e anche si indirizza a quelli che, non essendo ancora malati, possono cadere in malattia, o a chi, sanissimo, anzi già rivestito delle ricchezze salutari di Dio, può cadere in peccato di avarizia e superbia, e perciò ammalarsi e morire.
   "Avendo noi doni differenti secondo la grazia che ci è stata data...". Ecco. Ognuno faccia ciò che Dio ha dato a lui da fare, e lo faccia "con ilarità" di spirito e carità grande. Perché se avrà carità avrà anche ilare il cuore, essendo unicamente l'odio che dà tristezza di spirito perché genera il peccato e separa da Dio.
   Perciò nessuno invidi chi ha la profezia e [nessuno] appetisca ad essa e, pur di apparire "voce", simuli o accolga le voci tenebrose, sempre pronte a prestarsi per accarezzare l'orgoglio dell'uomo e contentarlo per portarlo alla perdizione. Non faccia mai ciò il cristiano, perché simulazione e commercio con Satana sono peccati orrendi agli occhi di Dio.
   E chi ha missione di "voce" non insuperbisca o non sia avaro ai fratelli dei tesori di Dio, ma insegni e distribuisca con prudenza e semplicità. Ci sono mille modi di farlo senza mancare alla carità e alla prudenza e al rispetto alla S. Chiesa docente.
  L'esempio, anzitutto, sia la parola delle "voci". Esempio in ogni virtù. Poscia sia la parola che sa ripetere a tempo e a luogo le sapienze ricevute, "offrendo, rendendo grazie" del pane e dei pesci da spezzare e distribuire "a questo popolo che non ha da mangiare e del quale si sente pietà". Distribuire l'anima delle parole avute, il succo di esse a chi langue perché, stanco del solito cibo o troppo languido per assimilare il cibo eccessivamente speziato o eccessivamente sciapito che il rigorismo o la tiepidezza di troppi pastori idoli spezza alle turbe, non si accosta alle mense sapienziali, non è peccare contro la prudenza e l'ubbidienza a Dio e alla Chiesa. Pecca forse una donna che offre la mammella alla bocca del poppante? Non pecca. Ma se facesse lo stesso atto verso un adulto, per riceverne lussurioso amplesso, ecco che peccherebbe. Ugualmente è in questo caso. Chi dicesse: "Venite, prendete da me, perché io sono forziere di Dio e ho per tutti. Venite, lodatemi per la mia gloria", offenderebbe la giustizia. Ma chi come acqua nascosta, che sale da una sorgente segreta e umilmente trasuda i suoi umori a ristorare le piante vicine che bevono la vita senza neppur conoscerne lo strumento, dà a questo il succo che corrobora, all'altro quello che placa, all'altro quello che illummia, all'altro quello che guida, oh! non pecca già, e Dio benedice la sua fatica perché essa è data a "provvedere ai bisogni dei santi" e a "praticare l'ospitalità" ai fratelli. Quella misericordia dalle molte facce che vi incoronerà con la corona degli spiriti da voi salvati e vi farà dire dal Giudice:
   "Venite alla mia destra e prendete possesso del mio Regno che è preparato per voi sin dalla fondazione del mondo".
   E infine, o voi che soffrite per essere servi della giustizia, "benedite quelli che vi perseguitano". Sono, già ve l'ho detto altra volta, i principali autori del vostro trionfo eterno. Amateli dunque perché, volendo spogliarvi della veste del vostro ministero terreno, vi tessono la veste incorruttibile degli eletti di Dio in eterno.
   Amate sempre: i nemici - che per i cristiani non sono nemici ma semplicemente poveri folli che vanno compassionati perché non sanno ciò che fanno -, i felici e gli infelici, rallegrandovi con chi gioisce, piangendo con chi piange, come se gioia o dolore altrui fosse vostra gioia o vostro dolore.
   E, tornando al tema iniziale, siate tutti spogli della concupiscenza spirituale, "non aspirando alle cose alte, ma adattandovi alle umili", sempre contenti della vostra missione, quale che sia, godendo che altri abbia più di voi, benedicendo Dio per ciò che vi dà, umilmente pregandolo, se è cosa eccelsa, di saperla degnamente usare per la sua gloria e per la salute del prossimo vostro.
   Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo».