MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 10


22 maggio 1943

   Io mi so spiegare male, probabilmente perché sono un fiore selvaggio nato, fiorito, cresciuto unicamente per volontà di Gesù e non so di vocaboli mistici, non conosco le sfumature dell’ascetica. Nulla. Amo perché amo. Vivo come Dio vuole. Gioisco o subisco quello che Dio mi manda o mi permette. Ma non so dire i “nomi” di questa o quella cosa che io provo.
   Lei mi fa delle domande alle quali non so rispondere e, siccome non voglio trarre in errore nessuno dando di me un concetto che non risponde al vero, umilmente le dico quello che so, come lo so, e non altro. Forse lei leggendo, e parlando con me, capirà meglio di me a che punto sono.
   Poco fa mi ha chiesto se io sono mai stata assorbita in Dio al punto da non avvertire più altro. Ecco, non so se ho capito bene il suo pensiero.
   Se lei dice dell’estasi, così come si intende di solito, non l’ho di certo mai avuta. Se invece parla di quel senso estatico in cui non è soppressa la vitalità umana, ma tutta la vitalità è concentrata in un punto, polarizzata in esso, di modo che ogni altra cosa perde valore e si vive fra le cose di ogni ora come circondati da una veste che ce ne isola e protegge, facendoci intorno come un velo di fuoco dentro al quale noi ci muoviamo e agiamo unicamente guardando il fulcro che ci attrae, allora sì, l’ho avuto molte volte. Tutto il mondo, che ci urge intorno, perde forma e valore al punto di apparirci (per attimi) come un “che” di chimerico, mentre la realtà vera è quello che le potenze dell’anima nostra adorano, assorbono, vivono. Non so se mi sono spiegata.
   Credo che se ciò durasse ucciderebbe in breve tempo. Credo però anche che chi ha vissuto, anche una volta sola, tale esperienza mistica, ne rimane segnato per tutta la vita. È come un accrescimento della nostra vitalità spirituale, un passaggio da una età minore ad una età maggiore per cui, dopo ogni immersione in questa esperienza mistica, noi ci troviamo cresciuti in grazia e in sapienza soprannaturale. E tali restiamo per sempre, se sappiamo esserne degni.
   Non solo, credo anzi che, anche se per debolezza umana facciamo qualche volta un ruzzolone, ma non mettendoci la malizia, la grazia conseguita avanti non si annulla: resta intorpidita, questo sì, di modo che si ritarda l’evento di una nuova immersione nella “gioia del gustare e vedere l’essenza di Dio” (io credo che ciò che si prova sia questo), ma non si perde il beneficio conseguito. Solo agendo con persistente, cosciente mali­zia, lo si perde.
   Bisogna pensare che questa “gioia”, che ci astrae dal sensibile umano per immergerci in un soprasensibile divino, ci viene donata da Dio e perciò da un Essere che non sciupa i suoi doni donandoli con improvvida prodigalità. Si suppone perciò che Egli, insieme al dono, dia altre forze atte a renderci capaci di difendere il suo dono in noi, contro i nemici che sono in noi stessi: la carne, le passioni, ecc. ecc.; e perciò solo una voluta, sacrilega malizia può far sì che noi ci si renda incapaci di conservare il dono di Dio in noi.
   Mi fossi almeno spiegata bene! Ma ripeto: sono una analfabeta nella scienza mistica e perciò dico con parole umane quello che è sopraumano.
   Oggi mi era venuta sulle labbra una domanda [su una cosa] che mi brucia sapere: “Ha sentito le mie preghiere in questi giorni? Hanno conseguito lo scopo per cui le facevo?”. Non le ho chiesto nulla, mettendo anche questo piccolo sacrificio nel rogo dove ardo per tante cose, in tanti modi. Sembrano sciocchezze queste. Ma delle volte costano una vera fatica. Si suda a compierle…
   Oh! Padre, come è martirizzante l’amore! L’amore quando pre­cipita con tutta la sua violenza in un cuore che è troppo piccolo per contenerlo!
   Oh! Padre, come capisco il desiderio, il bisogno degli innamorati di Cristo di mettere la solitudine intorno ai loro ardori! Come desidero la notte, che mi dà modo di essere sola, quando l’amore mi inebria, mi tortura, mi dà lacrime e risa.
   Se le potessi far vedere quello che provo! Capisco, in certi momenti, come si possa morire d’amore. Pure, per nessuna cosa al mondo vorrei essere risparmiata da questa soavissima stretta che è agonia per la carne, che non ne può sopportare la forza senza sentirsene spezzare, e che è beatitudine per lo spirito.
   Penso ad una frase[20] del Cantico dei cantici, il cui ricordo mi aleggia nella mente: “Stendetemi sui fiori, appoggiatemi ai pomi, perché languo d’amore”. Mi pare dica così… e dice tanto bene poiché realmente ci si sente languire distrutti dall’amore.

[20] frase che è in Cantico dei cantici 2, 5.