MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MINORE

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QUADERNI DEL 1944 CAPITOLO 419


19 ottobre 1944

   Dice Gesù:
   «Ed ora Io ti parlo.
   Non ti ho mostrato che un angelo, un semplice angelo. Non un serafino né un cherubino, non un arcangelo. Un angelo, direi il più piccino, per farti comprendere come egli è un comune fra le schiere tripudianti in Cielo. E tu hai visto come la sua luce, che dà incorporeo corpo alla sua essenza tutta spirito, abbia offuscato la luce di tutti gli astri messi insieme.
   Ho chiamato col desiderio del mio Pensiero un angelo ed egli è venuto dall’Empireo più lontano, e fra il mio chiamarlo ed il suo essermi ai piedi non è passata quella frazione di tempo che voi chiamate secondo di minuto.
   Questo ho voluto per mostrarti come quelli che credono di esser dotti perché sanno i non sempre esatti e i non mai completi dogmi della scienza umana e si credono possessori di oceani di luce e verità e bellezza, non ne hanno che una particella, e unita a molte scorie.
   Hai detto: “Quanti misteri quassù!”.
   Sì, piccola stellina del tuo Maestro. La vita non sosta in questo creato. Non sosta in nessuna parte di esso. Non sosterà sinché Io non dirò: “Basta”. E muterò, come è nel mio Pensiero, gli aspetti e le leggi che da millenni di secoli ho dato alla Vita.
   Vita è quella dell’etere che, con la sua leggera solidità, facilita e sostiene corsa e peso degli astri, e che con la sua composizione e gelidità ne permette la sempre maggiore perfezione verso quel massimo che Io ho segnato per ogni vita. Qui si ubbidisce al mio volere.
   Vita è quella degli astri e pianeti che da nebulose, chiamiamole feti di astri formantisi nel grande seno dell’aria eterea, si solidificano lentamente, si nutrono come bocche voraci di infanti, rapendo alle vite già formate gas e metalli come un infante rapisce cibo e bevanda dalla mammella della nutrice.
   La stessa corsa insonne di tutte queste vite stellari permette questo fluire di molecole di esse, gas e metalli, le quali accendono le nebulose, e nel fuoco fondono se stesse al nucleo primo, e sempre più si concretano, e poi la fiamma diviene fuoco, il fuoco astro. Sponsali e nascite, nascite e sponsali, e morti di astri longevi che, nel disgregarsi nell’ultima convulsione di vita, fanno nucleo ad altre vite, latenti nel gran fiume di Galatea. Né ve ne è una che non abbia missione d’amore anche per voi, lontani. Lontani per miliardi di chilometri. Ma più lontani ancora perché non sapete più “vedere” con l’occhio di figli di Dio.
   Ti ho mostrato questa polvere d’astri. Polvere rispetto al fulgore del mio angelo. Ma come dovremo chiamare, piccola figlia a cui alzo veli di mistero per farti dimenticare la Terra e sempre più innamorarti della Patria mia, la polvere, dei solo grandi in orgoglio, che han nome: uomo? Potrei a questi dire: “Guardate”? No. Non vedrebbero. Non crederebbero anche se per un miracolo di potenza li facessi vedere. Hanno masticato il pane e il frutto della superbia e della scienza umana. Li fa folli. Ho dato e do pagine di verità e di santità. Ma cadono per troppi come briciole di paglia meschina al suolo. Gli “uomini” – diamo loro il titolo nobiliare secondo il loro concetto – non le curano queste parole
   “Uomo” dovrebbe dire: “figlio di Dio, fatto a immagine e somiglianza del Padre nei pensieri, negli affetti, negli atti, negli impulsi, nei desideri”. I figli sono così. Invece attualmente “uomo” vuol dire “l’animale più superbo, più vuoto, più crudele, più leggero, più contrario a Dio”. Tutto si crede. Nulla è. Nulla poiché è solamente “uomo” e non più “figlio di Dio”. Dove è lo spirito dell’uomo? Chi lo possiede ancora?
   Lasciamo, figlia, questi infelici alla loro triste sorte, cercando con l’amore di strapparveli. Non c’è che l’amore che possa ciò che nulla altro può. Ma per quanto sia il “potente”, viene reso sovente impotente perché urta contro una superbia che è tetragona ad ogni assalto del Bene. Si credono “dèi” perché hanno sulle labbra il mordente del frutto dell’umano sapere. Adamo non muore. Rinasce con la sua tendenza in ogni uomo. Adamo che si perse638 per volere conoscere, e conoscere per divenire “dio”.
   Vieni. Ai figli della Luce, ai figli di Dio sia dato il pane e il frutto della Verità e della Sapienza che non sono solo per quanto è unicamente inerente a Dio, ma anche, poiché tutto da Dio è venuto, per quanto è nell’universo.
   Anela al Cielo. Qui non più dissonanze fra te e coloro che avrai al fianco. Qui non più contrasto fra il tuo desiderare e il tuo avere. Qui riposerai beata, festante. Qui mi avrai… Se l’avermi fra le costrizioni della tua condizione di vivente sulla Terra ti dà la gioia che ti esalta, pensa che sarà l’avermi senza più limiti.
   La vita passa. Il Cielo viene. Il dolore muore. La beatitudine resta. Quelli che mi hanno amato e servito saranno le eterne stelle quando ogni astro sarà morto nella fine del creato. Le mie stelle…»

[638] si perse, come si narra in Genesi 3, 1-7.