MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 54



LIV. L'incontro con Giuda di Keriot e con Tommaso. Simone Zelote sanato dalla lebbra

   26 ottobre 1944.

   54.1Gesù è insieme ai suoi sei discepoli. Tanto l’altro giorno che oggi non vedo Giuda Taddeo, che pure aveva detto di voler venire a Gerusalemme con Gesù.
   Devono ancora essere le feste pasquali, perché c’è sempre molta folla per la città. È verso sera, e molti si affrettano alle case.
   Anche Gesù va verso la casa dove è ospitato. Non è la casa del Cenacolo. Quella è più nella città, per quanto prossima ai confini di essa. Questa è una vera casa già di campagna, fra folti ulivi. Dal rustico piazzaletto che ha sul davanti si vedono le piante scendere a balzi giù dal colle, fermandosi là dove è un torrentello poco ricco d’acque, che se ne va fra l’insenatura che è fra due colli, poco alti: sulla cima di un colle è il Tempio, sull’altro colle solo ulivi e ulivi. Gesù è alle prime pendici di questo morbido colle, che sale senza asprezza, tutto mite di piante pacifiche.
   «Giovanni, vi sono due uomini che aspettano il tuo amico», dice un uomo anziano, che deve essere il contadino o il proprietario dell’uliveto. Direi che Giovanni lo conosce.
   «Dove sono? Chi sono?».
   «Non so. Uno certo è giudeo. L’altro… non saprei. Non gliel’ho chiesto».
   «Dove sono?».
   «Nella cucina in attesa e… e… sì… ecco… c’è anche uno tutto piaghe… Là l’ho fatto stare, perché… non vorrei fosse lebbroso… Dice che vuole vedere il Profeta che ha parlato al Tempio».
   Gesù, che sino a quel momento aveva taciuto, dice: «Andiamo prima da questo. Di’ agli altri di venire, se vogliono. Parlerò qui, nell’uliveto, con loro». E si dirige verso il punto indicato dall’uomo.
   «E noi? Che facciamo?», chiede Pietro.
   «Venite, se volete».

   54.2Un uomo tutto imbacuccato è addossato al muretto rustico che sostiene un balzo, il più prossimo al limite del podere. Deve esser salito lì da un viottoletto che conduce lì costeggiando il torrentello.
   Quando vede venire verso di lui Gesù, grida: «Indietro, indietro! Ma anche pietà!». E scopre il suo tronco, lasciando cadere la veste. Se il viso è già coperto di croste, il tronco è un ricamo di piaghe. Quali già ridotte a buchi fondi, quali semplicemente come bruciature rosse, quali biancastre e lucide come se sopra avessero un vetrino bianco.
   «Sei lebbroso! Che vuoi da Me?».
   «Non mi maledire! Non mi lapidare! Mi han detto che l’altra sera ti sei manifestato come Voce di Dio e Portatore della Grazia. Mi han detto che Tu hai assicurato che, alzando il tuo segno, sani ogni male. Alzalo su me. Vengo dai sepolcri… là… Ho strisciato come una serpe fra i rovi del torrente per giungere qui non visto. Ho aspettato la sera a farlo, perché nella penombra meno si vede chi sono. Ho osato… ho trovato costui, della casa, abbastanza buono. Non mi ha ucciso. Mi ha detto solo: “Attendi contro il muretto”. Abbi Tu pure pietà», e poiché Gesù si avvicina (Lui solo, perché i sei discepoli e il padrone del luogo, con i due sconosciuti, sono lontani e mostrano chiaramente ribrezzo) dice ancora: «Non più avanti! Non più! Sono infetto!». Ma Gesù procede. Lo guarda con tanta pietà che l’uomo si pone a piangere e si inginocchia col volto quasi a terra, e geme: «Il tuo segno! Il tuo segno!».
   «Sarà alzato nella sua ora. Ma a te dico: alzati! Sii sanato. Lo voglio. E siimi tu segno in questa città che deve conoscermi. Sorgi, dico! E non peccare, per riconoscenza a Dio!».
   L’uomo si alza piano piano. Pare che emerga di fra le erbe alte e fiorite come da un lenzuolo di tomba… ed è guarito. Si guarda all’ultima luce. È guarito. Grida: «Mondo sono! Oh! che devo fare ora per Te?».
   «Ubbidire alla Legge. Vai dal sacerdote. Sii buono in futuro. Va’».
   L’uomo ha un moto per gettarsi ai piedi di Gesù, ma si ricorda d’esser ancora impuro, secondo la Legge, e si trattiene. Ma si bacia le mani e getta il bacio a Gesù e piange. Di gioia.

   54.3Gli altri sono di pietra. Gesù volge le spalle al guarito e sorridendo li riscuote. «Amici, non era che una lebbra della carne. Ma voi vedrete cadere la lebbra dai cuori. Siete voi che mi volete?», dice ai due sconosciuti. «Eccomi. Chi siete?».
   «Ti abbiamo udito l’altra sera… nel Tempio. Ti abbiamo cercato per la città. Un che si dice tuo parente ci ha detto che qui stai».
   «Perché mi cercate?».
   «Per seguirti, se ci vuoi, perché Tu hai parole di verità».
   «Seguirmi? Ma sapete dove sono diretto?».
   «No, Maestro, ma certo alla gloria».
   «Sì. Ma ad una gloria non della Terra. Ad una gloria che ha sua sede nel Cielo e che si conquista con virtù e sacrificio. Perché volete seguirmi?», torna a chiedere.
   «Per avere parte della tua gloria».
   «Secondo il Cielo?».
   «Sì, secondo il Cielo».
   «Non tutti possono arrivarvi. Perché Mammona insidia i desiderosi di Cielo più degli altri. E solo chi sa fortemente volere resiste. Perché seguirmi, se seguire Me vuole dire lotta continua con il nemico che è in noi, col mondo nemico, e col Nemico che è Satana?».
   «Perché così vuole il nostro spirito, che è rimasto conquistato da Te. Tu sei santo e potente. Noi vogliamo esser tuoi amici ».
   «Amici!!!». Gesù tace e sospira. Poi guarda fisso quello che ha sempre parlato e che ora ha lasciato cadere il mantello dal capo, apparendo a testa nuda. È Giuda di Keriot. «Chi sei, tu che parli meglio di un popolano?».
   «Giuda sono, di Simone. Di Keriot sono. Ma son del Tempio (o nel Tempio). Attendo e sogno il Re dei giudei. Re ti ho sentito nella parola. Re ti ho visto nel gesto. Prendimi con Te».
   «Prenderti? Ora? Subito? No».
   «Perché, Maestro?».
   «Perché è meglio pesare sé stessi prima di prendere vie molto erte».
   «Non credi alla mia sincerità?».
   «L’hai detto. Credo al tuo impulso. Ma non credo alla tua costanza. Pensaci, Giuda. Io ora andrò via e tornerò per la Pentecoste. Se stai nel Tempio, mi vedrai. Pesa te stesso.

   54.4E tu chi sei?».
   «Un altro che ti vide. Vorrei esser teco. Ma ora ne ho sgomento».
   «No. La presunzione è rovina. Il timore può esser ostacolo, ma se viene da umiltà è aiuto. Non temere. Anche tu pensa, e quando verrò…».
   «Maestro, sei tanto santo! Ho paura di non esser degno. Non d’altro. Perché sul mio amore non temo…».
   «Come ti chiami?».
   «Tommaso, detto Didimo».
   «Ricorderò il tuo nome. Va’ in pace».
   Gesù li congeda e si ritira nella casa ospitale per la cena.

   54.5I sei che sono con Lui vogliono sapere molte cose. «Perché, Maestro, hai fatto differenza fra i due?… Perché una differenza ci fu. Tutti e due avevano lo stesso impulso…», chiede Giovanni.
   «Amico, anche lo stesso impulso può avere diverso succo e fare diverso effetto. Certo che i due hanno lo stesso impulso. Ma uno non è uguale all’altro nel fine. E quello che pare il meno perfetto è il più perfetto, perché non ha fomite di gloria umana. Mi ama perché mi ama».
   «Anche io!».
   «Ed io pure».
   «Ed io».
   «Ed io».
   «Ed io».
   «Ed io».
   «Lo so. Vi conosco per quel che siete».
   «Siamo dunque perfetti?».
   «Oh! no! Ma, come Tommaso, lo diverrete se permarrete nella vostra volontà d’amore. Perfetti?! Oh! amici! E chi perfetto se non Dio?».
   «Tu lo sei!».
   «In verità vi dico che non per Me perfetto sono, se voi credete essere Io un profeta. Niun uomo è perfetto. Ma perfetto Io sono perché Quel che vi parla è il Verbo del Padre. Parte[123] di Dio, il suo Pensiero che si fa Parola, Io ho la Perfezione in Me. E tale credere mi dovete, se credete essere Io il Verbo del Padre. Eppure lo vedete, amici. Io voglio esser chiamato il Figlio dell’uomo[124], perché annichilo Me stesso addossandomi dell’uomo tutte le miserie, per portarle, mio primo patibolo, e annullarle dopo averle portate, ma non avute. Che peso, amici! Ma lo porto con gioia. È la mia gioia il portarlo perché, essendo il Figlio dell’umanità, renderò l’umanità figlia di Dio. Come il primo giorno».
   Gesù parla dolcemente, seduto alla povera mensa con le mani che gestiscono pacatamente sulla tavola, il volto un poco inclinato, illuminato da sotto in su dalla lampadetta ad olio posata sulla tavola. Sorride lievemente, già Maestro nell’imponenza e tanto amico nel tratto. I discepoli lo ascoltano attenti.

   54.6«Maestro… perché tuo cugino, pur sapendo dove Tu abiti, non è venuto?».
   «Pietro mio!… Tu sarai una delle mie pietre, la prima. Ma non tutte le pietre sono facili ad usarsi. Hai visto i marmi del palazzo Pretorio? Strappati a fatica al seno montano, ora sono parte del Pretorio. Guarda invece quei sassi che splendono là, al raggio di luna, fra le acque del Cedron. Da loro sono venuti nell’alveo e, se uno li vuole, ecco, subito si lasciano prendere. Il cugino mio è come le prime pietre di cui parlo… Il seno del monte, la famiglia, lo contende a Me».
   «Ma io voglio essere in tutto come i sassi del torrente. Per Te sono pronto a lasciare tutto: casa, sposa, pesca, fratelli. Tutto, Rabbomi, per Te».
   «Lo so, Pietro. Per questo ti amo. Ma anche Giuda verrà».
   «Chi? Giuda di Keriot? Non ci tengo. È un bel signorino, ma… preferisco… me stesso preferisco…». Ridono tutti del­l’uscita di Pietro. «Non c’è niente da ridere. Voglio dire che preferisco un galileo schietto, rozzo, pescatore, ma senza frode a… ai cittadini che… non so… Ecco, il Maestro capisce ciò che mi intendo».
   «Sì, capisco. Ma non giudicare. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro sulla Terra, e i buoni sono mescolati ai malvagi come i fiori su un campo. La cicuta è a fianco della salutifera malva».

   54.7«Io vorrei chiedere una cosa…».
   «Quale, Andrea?».
   «Giovanni mi ha raccontato del miracolo fatto a Cana… Era in noi tanta speranza che Tu ne facessi uno a Cafarnao… e Tu hai detto che non facevi miracolo se prima non avevi adempito la Legge. Perché allora a Cana? E perché qui e non nella patria tua?».
   «Ogni ubbidienza alla Legge è unione con Dio e perciò aumento della capacità nostra. Il miracolo è la prova dell’unione con Dio, della presenza benevola e consenziente di Dio. Per questo Io ho voluto fare il mio dovere di israelita prima di iniziare la serie dei prodigi».
   «Ma Tu non eri tenuto alla Legge».
   «Perché? Come Figlio di Dio, no. Ma come figlio della Legge, sì. Israele, per ora, non mi conosce che come tale… E, anche dopo, quasi tutto Israele mi conoscerà come tale, anzi come meno ancora. Ma Io non voglio dare scandalo a Israele e ubbidisco alla Legge».
   «Sei santo».
   «La santità non esclude dall’ubbidienza. Anzi la perfeziona. Vi è l’esempio da dare, oltre al resto. Che diresti di un padre, di un maggior fratello, di un maestro, di un sacerdote che non dessero buon esempio?».
   «E Cana, allora?».
   «Cana era la gioia di mia Madre da farsi. Cana è l’anticipo che si deve a mia Madre. Ella è l’Anticipatrice della Grazia. Qui do onore alla Città santa, facendo di essa, pubblicamente, l’iniziatrice del mio potere di Messia. Ma là, a Cana, Io davo onore alla Santa di Dio, alla Tutta Santa. Il mondo mi ha per Essa. È giusto che ad Essa vada il mio primo prodigio nel mondo».

   54.8Bussano alla porta. È Tommaso da capo. Entra e si butta ai piedi di Gesù. «Maestro… io non posso attendere il tuo ritorno. Lasciami con Te. Sono pieno di difetti, ma ho questo amore, solo, grande, vero, il mio tesoro. È tuo, è per Te. Lasciami, Maestro…».
   Gesù gli pone la mano sul capo. «Resta, Didimo. Seguimi. Beati quelli che sono sinceri e tenaci nel volere. Voi benedetti. Più che parenti mi siete, perché mi siete figli e fratelli non secondo il sangue che muore ma secondo il volere di Dio e il vostro volere spirituale. Ora Io dico che non ho più stretto parente di colui che fa la volontà del Padre mio, e voi la fate perché volete il bene».
   La visione ha termine così.

 

   54.9Sono le ore 16 e già cadono su me le ombre del sopore che sento sarà violento, logica conseguenza della penosa ora di ieri…
   Ma anche il 24 ottobre stavo molto male. Tanto che, finita la visione, scritta con un dolore di capo da meningite addirittura, non ho avuto coraggio di aggiungere che ho finalmente visto Gesù vestito come mi appare quando è tutto per me: di una morbida veste di lana bianca appena tendente all’avorio e col mantello uguale. La veste che aveva[125] nella sua prima manifestazione a Gerusalemme come Messia.

[123] Parte, da intendersi non come “porzione”, ma come “appartenenza”. A differenza dell’uomo, che appartiene a Dio non per natura ma per somiglianza (nota in 167.9), Gesù appartiene a Dio per natura, cioè è Dio come il Padre (Egli dirà in 487.4: “Io sono suo, sua parte e un Tutto con Lui”). Sempre per natura Gesù è anche Uomo, essendo Egli l’incarnata Parola del Padre. Perciò, non nell’essere un profeta (come ha detto sopra) sta la sua perfezione, ma nell’essere l’Uomo-Dio, il quale per la parte umana ebbe completezza nel superamento delle tentazioni (come dirà in 80.10 e come risulta alla fine della nota messa in 174.9). Sulle due nature, divina e umana, di Gesù sono fondamentali i discorsi dei capitoli 487 e 506.
[124] Figlio dell’uomo è forse il più ricorrente dei titoli dati a Gesù e che Gesù dà a Se stesso. Il suo significato generico è illustrato in 343.4; ma il suo significato messianico si trova qui e, per esempio, in 126.3 e in 603.1.
[125] veste che aveva, in 53.3.