MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME I CAPITOLO 42



XLII. La morte di Giuseppe. Gesù è la pace di chi soffre e di chi muore

   5 febbraio 1944, ore 13,30.

   42.1Prepotentemente, mentre sono dietro a correggere il fascicolo, e precisamente quel dettato sulle pseudo-religioni di ora, entra in me questa visione. La scrivo mentre la vedo.
   Vedo un interno di laboratorio da falegname. Ma sembra che due delle pareti di esso siano formate da pareti di roccia, come se si fosse approfittato di grotte naturali per formare vani di casa. Qui sono precisamente i lati nord e ovest quelli che sono di roccia, mentre le altre due pareti, sud e est, sono di intonaco come le nostre.
   Nel lato nord, in un’insenatura della roccia, è stato ricavato un focolare rudimentale, sul quale è un pentolino con della vernice o colla, non capisco bene. Le legna, bruciate da anni in quel posto, hanno tinto la parete che pare incatramata tanto è nera. Un buco nella parete, sormontato da una specie di grosso tegolone ricurvo, vorrebbe fare da camino aspirante il fumo delle legna. Ma deve aver fatto male il suo compito, perché anche le altre pareti sono molto annerite dal fumo, e una nebbia fumosa è anche in questo momento sparsa nella stanza.

   42.2Gesù lavora ad un tavolone da falegname. Sta piallando delle tavole che poi addossa al muro dietro a Sé. Poi prende una specie di sgabello, stretto a due lati in una morsa, lo libera dalla stessa, guarda se il lavoro è esatto, lo squadra in tutti i sensi, poi va al camino, prende il pentolino e vi fruga dentro con un bastoncino o pennello, non so; io vedo solo la parte che sporge e che è simile a un bastoncino.
   Gesù è vestito di nocciola scuro e ha la tunica piuttosto corta, le maniche rimboccate oltre il gomito e una specie di grembiule davanti, nel quale si sfrega le dita dopo aver toccato il pentolino.
   È solo. Lavora assiduamente ma con pacatezza. Nessuna mossa disordinata, impaziente. È preciso e continuo nel suo lavoro. Non si infastidisce di nulla, né di un nodo nel legno che non si lascia piallare, né di un cacciavite (mi pare) che gli cade due volte dal banco, né del fumo sparso che gli deve andare negli occhi.
   Ogni tanto alza il capo e guarda verso la parete sud, dove è una porta chiusa, come ascoltando. A un dato momento si affaccia, aprendo una porta che è nella parete est e che dà sulla via. Vedo uno squarcio di viuzza polverosa. Sembra che attenda qualcuno. Poi torna al lavoro. Non è triste, ma è serio. Rinchiude l’uscio e torna al lavoro.

   42.3Mentre è occupato a fabbricare qualcosa che mi sembrano pezzi di cerchio di ruota, entra la Mamma. Entra da una porta della parete meridionale. Entra affrettatamente e corre verso Gesù. È vestita di azzurro cupo e senza nulla sul capo. Una semplice tunica, tenuta stretta alla vita da un cordone d’uguale colore. Chiama con affanno il Figlio e gli si appoggia con ambo le mani ad un braccio con mossa di supplica e di dolore. Gesù la carezza passandole il braccio sulla spalla e la conforta, poi si avvia con Essa lasciando subito il lavoro e levandosi il grembiule.
   Penso che lei voglia sapere anche le parole dette. Ben poche da parte di Maria : «Oh! Gesù! Vieni, vieni. Sta male!». Vengono dette con labbra che tremano e con un luccichio di pianto negli occhi arrossati e stanchi. Gesù non dice che: «Mamma!», ma vi è tutto in quella parola.
   Entrano nella stanza accanto, tutta ridente di sole che entra da una porta spalancata su un orticello pieno di luce e di verde, nel quale svolazzano dei colombi fra uno sventolio di panni stesi ad asciugare. La stanza è povera ma ordinata. Vi è un giaciglio basso, coperto di materassini (dico materassini perché sono certe cose alte e morbide, ma non è un letto come il nostro). Su esso, appoggiato a molti cuscini, è Giuseppe. È morente. Lo dice chiaramente il volto di un pallore livido, l’occhio spento, il petto anelante e l’abbandono di tutto il corpo.

   42.4Maria si mette alla sua sinistra, gli prende la mano rugosa e livida nelle unghie, la strofina, la carezza, la bacia, gli asciuga con un pannilino il sudore che fa righe lucide alle tempie incavate, la lacrima che si invetra nell’angolo dell’occhio, gli bagna le labbra con un lino intinto in un liquido che pare vino bianco.
   Gesù si mette a destra. Solleva con sveltezza e cura il corpo che si affossa, lo raddrizza sui cuscini che accomoda insieme a Maria. Carezza sulla fronte l’agonizzante e cerca di rianimarlo.
   Maria piange piano, senza rumore, ma piange. I lacrimoni rotolano lungo le guance pallide sino sulla veste azzurro cupo e sembrano zaffiri lucenti.
   Giuseppe si rianima alquanto e guarda fisso Gesù, gli dà la mano come per dirgli qualcosa e per avere, al contatto divino, forza nell’ultima prova. Gesù si china su quella mano e la bacia. Giuseppe sorride. Poi si volge a cercare con lo sguardo Maria e sorride anche a Lei. Maria si inginocchia presso il letto cercando di sorridere. Ma le riesce male e curva il capo. Giuseppe le mette la mano sul capo con una casta carezza che pare una benedizione.
   Non si sente che lo svolazzio e il tubare dei colombi, il frusciare delle foglie, un chioccolio di acqua e, nella stanza, il respiro del morente.
   Gesù gira intorno al letto, prende uno sgabello e fa sedere Maria chiamandola ancora e unicamente: «Mamma». Poi torna al suo posto e riprende nelle sue la mano di Giuseppe. È così vera la scena che io piango per la pena di Maria.

   42.5Poi Gesù, curvandosi sul morente, gli mormora un salmo. So che è un salmo, ma ora non posso dirle quale[88]. Comincia così:
   «“Proteggimi, o Signore, perché in Te ho posto la mia speranza…
   A pro dei santi che sono nella terra di lui ha compiuto mirabilmente tutti i miei desideri…
   Benedirò il Signore che mi dà consiglio…
   Io tengo sempre dinnanzi a me il Signore. Egli mi sta alla destra perché io non vacilli.
   Per questo si rallegra il mio cuore ed esulta la mia lingua, anche il mio corpo riposerà nella speranza.
   Perché Tu non abbandonerai l’anima mia nel soggiorno dei morti, né permetterai che il tuo santo veda la corruzione.
   Mi farai conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia colla tua faccia”».
   Giuseppe si rianima tutto e con uno sguardo più vivo sorride a Gesù e gli stringe le dita.
   Gesù risponde con un sorriso al sorriso e con una carezza alla stretta, e continua dolcemente, curvo sul suo padre putativo:
   «“Quanto sono amabili i tuoi Tabernacoli, o Signore.
   L’anima mia si consuma di desiderio verso gli atrii del Signore.
   Anche il passero si trova una casa e la tortorella un nido per i suoi nati. Io desidero i tuoi altari, Signore.
   Beati coloro che abitano la tua casa… Beato l’uomo che trova in Te la sua forza. Egli ha disposte nel suo cuore le ascensioni dalla valle delle lacrime al luogo eletto.
   O Signore, ascolta la mia preghiera…
   O Dio, volgi il tuo sguardo e mira la faccia del tuo Cri­sto…”».
   Giuseppe con un singhiozzo guarda Gesù e fa il moto di parlare come per benedirlo. Ma non può. Si comprende che capisce, ma ha la parola impedita. È però felice e guarda con vivacità e fiducia il suo Gesù.
   «“O Signore”», continua Gesù. «“Tu sei stato propizio alla tua terra, hai liberato dalla schiavitù Giacobbe…
   Mostraci, o Signore, la tua misericordia e donaci il tuo Salvatore.
   Voglio sentire quel che dice dentro di me il Signore Iddio. Certo Egli parlerà di pace al suo popolo per i suoi santi e per chi di cuore torna a Lui.
   Sì, la tua salute è vicina… e la gloria abiterà sulla Terra… La bontà e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si sono baciate. La verità è spuntata dalla Terra e la giustizia ha guardato dal Cielo.
   Sì, il Signore si mostrerà benigno e la nostra terra darà il suo frutto. La giustizia camminerà dinnanzi a Lui e lascerà nella via le sue impronte”.
   Tu l’hai vista quest’ora, padre, e per essa ti sei affaticato. Tu hai aiutato quest’ora a formarsi, e il Signore te ne darà premio. Io te lo dico», aggiunge Gesù asciugando una lacrima di gioia che scende lenta sulla guancia di Giuseppe.
   Poi riprende:
   «“O Signore, ricordati di Davide e di tutta la sua mansuetudine.
   Come egli giurò al Signore: io non entrerò dentro alla mia casa, non salirò sul letto del mio riposo, non concederò sonno agli occhi miei, non riposo alle mie palpebre, non requie alle mie tempie finché non ho trovato un posto al Signore, una dimora per il Dio di Giacobbe…
   Sorgi, o Signore, e vieni al tuo riposo, Tu e l’Arca della tua santità (Maria comprende e ha uno scoppio di pianto).
   Sian rivestiti di giustizia i tuoi sacerdoti e faccian festa i tuoi santi.
   Per amore di Davide tuo servo non negarci il volto del tuo Cristo.
   Il Signore ha giurato a Davide la promessa e la manterrà: ‘Porrò sul tuo trono il frutto del tuo seno’.
   Il Signore l’ha scelta a sua dimora…
   Io farò fiorire la potenza di Davide preparando una fiaccola accesa per il mio Cristo”.

   42.6Grazie, padre mio, per Me e per la Madre. Tu mi sei stato padre giusto, e te ha posto l’Eterno a custodia del suo Cristo e della sua Arca. Tu fosti la fiaccola accesa per Lui, e per il Frutto del seno santo hai avuto viscere di carità. Va’ in pace, padre. La Vedova non sarà senza aiuto. Il Signore ha predisposto perché sola non sia. Vai sereno al tuo riposo. Io te lo dico».
   Maria piange col volto curvo sulle coperte (sembrano mantelli) stese sul corpo di Giuseppe, che si raffredda. Gesù affretta i suoi conforti, perché l’anelito si fa più affannoso e lo sguardo torna a velarsi.
   «“Felice l’uomo che teme il Signore e pone nei suoi comandamenti ogni diletto…
   La giustizia di lui rimane nei secoli dei secoli.
   Fra gli uomini retti sorge fra le tenebre come luce il misericordioso, il benigno, il giusto…
   Il giusto sarà ricordato in eterno… La sua giustizia è eterna, la sua potenza si alzerà fino alla gloria…”.
   Tu l’avrai questa gloria, padre. Presto verrò a trarti, coi Patriarchi che ti hanno preceduto, alla gloria che ti attende. Esulti il tuo spirito nella mia parola.
   “Chi riposa nell’aiuto dell’Altissimo vive sotto la protezione del Dio del Cielo”.
   Tu vi sei, padre mio.
   “Egli mi liberò dal laccio dei cacciatori e dalle aspre parole.
   Ti coprirà colle sue ali e sotto alle sue penne troverai rifugio.
   La sua verità ti circonderà come scudo, non temerai i notturni spaventi…
   Non si avvicinerà a te il male… perché ai suoi angeli ha dato l’ordine di custodirti in tutte le tue vie.
   Ti porteranno sulle loro palme, affinché il tuo piede non urti nei sassi.
   Camminerai sopra l’aspide e il basilisco e calpesterai il dragone e il leone.
   Perché hai sperato nel Signore, Egli ti dice, o padre, che ti libererà e ti proteggerà.
   Perché hai alzato a Lui la tua voce ti esaudirà, sarà teco nella tribolazione ultima, ti glorificherà dopo questa vita, facendoti vedere già da questa la sua Salvezza”, e nell’altra facendoti entrare, per la Salvezza che ora ti conforta e che presto, oh!, presto verrà, te lo ripeto, a cingerti di un abbraccio divino e a portarti Seco, alla testa di tutti i Patriarchi, là dove è preparata la dimora del Giusto di Dio che mi fu padre benedetto.
   Precedimi per dire ai Patriarchi che la Salvezza è nel mondo e il Regno dei Cieli presto sarà a loro aperto. Va’, padre. La mia benedizione ti accompagni».

   42.7La voce di Gesù si è elevata per giungere alla mente di Giuseppe, che sprofonda nelle nebbie della morte. La fine è imminente. Il vecchio ansima a fatica. Maria lo carezza, Gesù si siede sulla sponda del lettuccio e cinge e attira a Sé il morente, che si accascia e si spegne senza sussulti.
   La scena è piena di una pace solenne. Gesù riadagia il Patriarca e abbraccia Maria, che in ultimo si era avvicinata a Gesù nello strazio che la angosciava.
   

   42.8Dice Gesù:
   «A tutte le mogli che un dolore tortura, insegno ad imitare Maria nella sua vedovanza: unirsi a Gesù.
   Quelli che pensano che Maria non abbia sofferto per le pene del cuore, sono in errore. Mia Madre ha sofferto. Sappiatelo. Santamente, perché tutto in Lei era santo, ma acutamente.
   Coloro che pensano che Maria amasse di un amore tiepido lo sposo, poiché le era sposo di spirito e non di carne, sono parimenti in errore. Maria amava intensamente il suo Giuseppe, al quale aveva dedicato sei lustri di vita fedele. Giuseppe le era stato padre, sposo, fratello, amico, protettore.
   Ora Ella si sentiva sola come tralcio di vite al quale viene segato l’albero a cui si reggeva. La sua casa era come colpita dal fulmine. Si divideva. Prima era una unità in cui i membri si sostenevano a vicenda. Ora veniva a mancare il muro maestro, primo dei colpi inferti a quella Famiglia, segnacolo del prossimo abbandono del suo amato Gesù.
   La volontà dell’Eterno, che l’aveva voluta sposa e Madre, ora le imponeva vedovanza e abbandono della sua Creatura. Maria dice fra le lacrime uno dei suoi sublimi “sì”. “Sì, Signore, si faccia di me secondo la tua parola”. E, per aver forza in quell’ora, si stringe a Me.
   Sempre si è stretta a Dio, Maria, nelle ore più gravi della sua vita. Nel Tempio chiamata alle nozze, a Nazareth chiamata alla Maternità, ancora a Nazaret fra le lacrime della vedovanza, a Nazaret nel supplizio del distacco dal Figlio, sul Calvario nella tortura del vedermi morire.

   42.9Imparate, voi che piangete. E imparate voi che morite. Imparate voi, che vivete per morire. Cercate di meritare le parole che dissi a Giuseppe. Saranno la vostra pace nella lotta della morte. Imparate, voi che morite, a meritare d’aver Gesù vicino, a vostro conforto. E, se anche non l’avete meritato, osate ugualmente di chiamarmi vicino. Io verrò. Le mani piene di grazie e di conforti, il cuore pieno di perdono e d’amore, le labbra piene di parole di assoluzione e di incoraggiamento.
   La morte perde ogni asprezza se avviene fra le mie braccia. Credetelo. Non posso abolire la morte, ma la rendo soave a chi muore fidando in Me.
   Il Cristo l’ha detto[89] per tutti voi, sulla sua Croce: “Signore, confido a Te lo spirito mio”. L’ha detto pensando, nella sua, alle vostre agonie, ai vostri terrori, ai vostri errori, ai vostri timori, ai vostri desideri di perdono. L’ha detto col cuore spaccato di strazio, prima che per la lanciata, e strazio spirituale più che fisico, perché le agonie di coloro che muoiono pensando a Lui fossero addolcite dal Signore e lo spirito passasse dalla morte alla Vita, dal dolore al gaudio, in eterno.

   42.10Questa, piccolo Giovanni, la lezione di oggi. Sii buona e non temere. La mia pace rifluirà in te sempre, attraverso la parola e attraverso la contemplazione. Vieni. Fa’ conto d’essere Giuseppe, che ha per guanciale il petto di Gesù ed ha per infermiera Maria. Riposa fra noi come un bambino nella cuna».

[88] non posso dirle quale, ma poi MV annota a matita, sulle stesse pagine autografe, i vari rinvii, che riferiti alla neo-volgata sono: Salmi 16; 84; 85; 91; 112; 132.
[89] ha detto, in: Luca 23, 46 (609.22).