MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME X CAPITOLO 643



DCXLIII. Maria Ss. con Giovanni nei luoghi della Passione.

   8 settembre 1951.

   643.1È l’alba. Una chiara alba d’estate. Maria, insieme al fido Giovanni, esce dalla casetta del Getsemani e cammina sollecita per l’uliveto silenzioso e deserto. Solo qualche canto d’uccello e il pigolio dei nidiaci rompono il grande silenzio del luogo.
   Maria si dirige sicura al masso dell’Agonia. Vi si inginocchia contro, bacia là dove certe crepe sottili del masso mostrano ancora delle tracce rosso ruggine del Sangue di Gesù, penetrato nelle fessure e ivi rappresosi, le carezza come accarezzasse ancora il Figlio o parte di Lui. Giovanni, in piedi dietro di Lei, l’osserva e piange senza rumore, asciugandosi rapidamente gli occhi quando Maria fa l’atto di alzarsi, anzi l’aiuta a farlo, e lo fa con tanto amore, venerazione e pietà.

   643.2Maria ora scende verso lo spiazzo dove fu catturato Gesù. Anche lì si inginocchia e si curva a baciare la terra, dopo aver chiesto a Giovanni: «È proprio questo il punto del bacio orrendo e infame, che ha contaminato questo luogo più ancora che non insozzasse il Paradiso terrestre il sozzo e corruttore colloquio del Serpente con Eva?».
   Poi si alza dicendo: «Ma io non sono Eva. Io sono la Donna dell’ Ave. Ho capovolto le cose. Eva gettò nel fango sozzo ciò che era cosa di Cielo. Io ho accettato tutto: incomprensioni, critiche, sospetti, dolori — quanti dolori e di quante specie, prima del dolore supremo — per levare dal fango sozzo ciò che Eva e Adamo vi avevano gettato, e rialzarlo verso il Cielo. A me non poté parlare il demonio, benché lo tentasse, come lo tentò con il Figlio mio, per distruggere definitivamente il disegno redentivo. Con me non poté parlare, perché chiusi le orecchie e gli occhi alla sua vista e alla sua voce, e soprattutto chiusi il mio cuore e il mio spirito contro ogni assalto di ciò che non è santo e puro. Il mio io limpido, ma non scalfibile, come puro diamante, si aperse solo all’Angelo annunziatore. Le mie orecchie ascoltarono solo quella, di voce spirituale, e così ho riparato, riedificato ciò che Eva aveva lesionato e distrutto. Sono la Donna dell’ Ave e del Fiat. Ho ristabilito l’ordine sconvolto da Eva. E ora posso levare e lavare col mio bacio e il mio pianto l’impronta di quel bacio maledetto e di quella contaminazione. La più grande di tutte, perché fatta non da creatura a creatura, ma da creatura al suo Maestro e Amico, al suo Creatore e Dio».

   643.3Poi si dirige al cancello, che Giovanni apre. Escono insieme dal Getsemani, scendono al Cedron, valicano il ponticello, e anche là Maria si inginocchia per baciare la rustica spalletta del ponte, nel punto dove vi cadde contro il Figlio. Dice: «M’è sacro ogni luogo dove Egli patì i supremi dolori e oltraggi. Vorrei aver tutto nella mia casetta. Ma non tutto si può avere!». Sospira, poi aggiunge: «Andiamo svelti. Prima che la gente si muova». E insieme a Giovanni riprende il cammino.

   643.4Non entra in città. Costeggia la valle di Hinnon e le caverne dove vivono i lebbrosi. Alza gli occhi verso quegli antri di dolore. Fa un cenno a Giovanni, il quale dispone subito su di un masso delle cibarie che aveva in una borsa, gettando nel contempo un grido di richiamo. Dei lebbrosi si affacciano e vengono verso il masso, ringraziando. Ma nessuno chiede guarigione. Maria lo nota e dice: «Sanno che Egli non c’è più e, scossi come sono rimasti per la sua Morte orrenda, non sanno più aver fede in Lui e nei suoi discepoli. Due volte infelici! Due volte lebbrosi! Due? No, anzi totalmente infelici, lebbrosi, morti! E sulla Terra e nell’altro mondo».
   «Vuoi che provi a parlar loro, o Madre?».
   «È inutile! Ci si provarono Pietro, Giuda d’Alfeo, Simone Zelote… E li derisero. Venne Maria di Lazzaro, che sempre li soccorre in memoria di Gesù, e fu derisa lei pure. Anche Lazzaro ci andò, e con Giuseppe e Nicodemo, per persuaderli che Egli era il Cristo, col narrargli la sua risurrezione, per opera di Gesù, dopo quattro giorni di sepolcro e quella dell’Uomo Dio, per suo proprio potere, e l’Ascensione sua. Fu tutto inutile. Risposero: “Sono menzogne. Coloro che sanno la verità le dicon tali”».
   «E costoro sono certo i farisei e i sacerdoti. Sono loro che lavorano per abbattere la fede in Lui. Ne sono sicuro che sono loro!».
   «Può essere, Giovanni. Il certo è che i lebbrosi che non si convertirono prima, neppure davanti ai miracoli di Gesù, non si convertiranno più. Mai più. Segno e simbolo di tutti coloro che, nei secoli, non si convertiranno al Cristo, e saranno, per libera volontà, lebbrosi di peccato, morti alla Grazia che è Vita, simbolo di tutti coloro per i quali inutilmente Egli morì… E in quel modo!…», e piange quietamente, senza singhiozzi, ma con un vero profluvio di lacrime.

   643.5Giovanni la prende per un braccio quando Maria, per nascondere il suo pianto a dei passanti che l’osservano, si copre il volto col suo velo. Giovanni, mentre amorosamente la guida, le dice: «Non può il tuo pianto, il tuo pregare, il tuo, anzi, il vostro amore per tutti gli uomini — vostro perché il tuo è attivo come attivo, perfettamente attivo, è quello di Gesù glorioso in Cielo — e il vostro dolore, il tuo per la sordità degli uomini, il suo per il peccare ostinato di troppi, non dare frutto. Spera, o Madre! Molto dolore ti dettero e ti daranno ancora gli uomini, ma anche amore e gioia. Chi non ti amerà quando saprà di te? Ora sei qui, ignorata, sconosciuta al mondo. Ma quando la Terra saprà, perché fatta cristiana, quanto amore verrà a te! Ne sono sicuro, o Madre santa».

   643.6Il Golgota è ormai vicino, e più vicino ancora è l’orto di Giuseppe. Quando raggiungono quest’ultimo, Maria non vi entra. Va prima al Golgota. E nei punti che ebbero particolari episodi durante la Passione, ossia nei luoghi delle cadute, dell’incontro con Niche e con Lei stessa, s’inginocchia e bacia il suolo.
   Giunta alla vetta, i suoi baci si infittiscono sul luogo della Crocifissione. Baci e lacrime, i primi quasi convulsi, le seconde calme, ma fitte come una pioggia, cadono sulla terra giallastra, bagnandola, quest’ultime, e facendo più scuro il suo colore giallognolo.
   Una pianticella è nata proprio là dove la terra fu smossa per piantarvi la Croce, un’umile pianticella di prato, dalle foglie a forma di cuore, dai fiorellini rossi come rubini. Maria la guarda, pensa, poi delicatamente la leva dal suolo insieme ad un poco di terriccio, la depone in un lembo del suo manto, dicendo a Giovanni: «La metterò in un vaso. Pare sangue di Lui, ed è nata sulla terra fatta rossa dal suo Sangue. Certo è un seme portato dal turbine di quel giorno, venuto chissà da dove, caduto lì chissà perché, a metter radici nella polvere fecondata da quel Sangue. Fosse così per tutte le anime! Perché il più gran numero di esse è più restio dell’arida e maledetta terra del Golgota, luogo di supplizio per ladroni e omicidi, e del deicidio di tutto un popolo? Maledetta? No. Egli l’ha santificata questa polvere. Maledetti da Dio sono coloro che fecero di questo colle il luogo del più orrendo, ingiusto, sacrilego delitto che mai avrà la Terra». Ora i singhiozzi si uniscono alle lacrime.
   Giovanni le cinge con un braccio le spalle, per farle sentire tutto il suo amore, e la persuade a lasciare quel luogo, troppo doloroso per Lei.

   643.7Scendono di nuovo ai piedi del colle. Entrano nell’orto di Giuseppe. Il Sepolcro mostra il suo interno dall’ampia bocca, non più chiusa dalla pietra, che giace ancora, ribaltata al suolo, tra l’erba. L’interno è vuoto. Sparita ogni traccia della Deposizione e della Risurrezione. Sembra un sepolcro mai usato.
   Maria bacia la pietra dell’Unzione, carezza con lo sguardo le pareti. Poi chiede a Giovanni: «Ripetimi un’altra volta come trovasti le cose qui, quando con Pietro venisti in questo luogo all’aurora della Risurrezione».
   E Giovanni torna a descrivere, spostandosi qua e là, fuori e dentro il Sepolcro, come erano le cose, e che fecero lui e Pietro, terminando col dire: «Avremmo dovuto ritirare i lini. Ma eravamo così scossi da tutti gli avvenimenti di quei giorni che non ci pensammo. Quando tornammo qui, i lini non c’erano più».
   «Li avranno presi, per profanarli, quelli del Tempio», lo interrompe piangendo Maria. E conclude: «Neppure Maria di Magdala pensò che era bene levarli per darmeli. Era anche lei troppo turbata».
   «Il Tempio? No. Io penso che li abbia presi Giuseppe».
   «Me lo avrebbe detto… Oh! per un ultimo spregio li avranno presi i nemici di Gesù!», geme Maria.
   «Non piangere, non soffrire più. Egli ormai è nella gloria. Nell’amore perfetto e infinito. L’odio e gli spregi non possono colpirlo più».
   «È vero. Ma quei lini…».
   «Ti darebbero dolore, come te lo dà la prima sindone, che non hai forza di spiegare perché, oltre le tracce del suo Sangue, porta quelle delle cose immonde gettate su quel Corpo Ss.».
   «Quella sì. Ma questi no. Assorbirono quanto gemeva da Lui dopo che non soffriva più… Oh! tu non puoi capire!».
   «Capisco, Madre. Ma credevo che tu, che certo non sei separata da Lui Dio, come noi lo siamo e più ancora come lo sono i semplici credenti in Lui, non sentissi così forte il desiderio, anzi il bisogno di avere qualcosa di Lui, Uomo torturato. Perdona la mia stoltezza. Vieni… Torneremo ancora qui. Ora andiamo, perché il sole s’alza sempre più ed è forte, e lunga è la via per noi che dobbiamo evitare la città».

   643.8Escono dal Sepolcro e poi dall’orto e, per la stessa via presa nel venire, tornano al Getsemani. Maria cammina svelta e silenziosa, tutta raccolta nel suo manto. Ha solo un moto di ribrezzo e di orrore quando passa presso l’uliveto dove s’impiccò Giuda e presso la casa di campagna di Caifa, e mormora: «Qui egli compì la sua dannazione di impenitente disperato, e là compì l’orrendo mercato».