MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 112



CXII. Giuda Iscariota sorpreso a Gerico. A Betania da Lazzaro, che presenta Marta.

   19 febbraio 1945.

   112.1 La piazza del mercato di Gerico, coi suoi alberi e i suoi venditori vocianti. In un angolo il gabelliere Zaccheo intento alle sue… estorsioni legali e illegali. Deve fare anche un poco il compra e vendi di preziosi, perché vedo che pesa e giudica monili e oggetti di metallo nobile, non so se dati in cambio di monete per impossibilità di pagare le gabelle altrimenti o se venduti per altre necessità.
   Ora è la volta di una snella donna tutta coperta da un mantellone di un colore fra ruggine e bigio. Ha anche il viso coperto da un telo di bisso molto fitto e giallognolo che non permette di vederla in viso. Non si nota che la snellezza del corpo, che tale appare anche e nonostante tutto quel paludamento bigiognolo che l’avviluppa. Deve esser giovane, almeno a giudicare da quel minimo che si vede, ossia una mano che esce per un momento dal mantello e porge un braccialetto d’oro, e dai piedi calzati di sandali non tanto semplici, ma già muniti di tomaia e di un intreccio di strisce di cuoio per cui si vedono solo le dita, lisce e giovanili, ed un poco della caviglia snella e bianchissima. Tende il suo bracciale senza dire parola, riceve il denaro senza fare obbiezioni e si volta per andarsene.
   Mi accorgo ora che ha alle spalle l’Iscariota che la osserva attentamente e, quando lei sta per andarsene, le dice una parola che non afferro bene. Ma lei, come fosse muta, non risponde e se ne va lesta nel suo fagotto di panni.
   Giuda interroga Zaccheo: «Chi è?».
   «Non chiedo il nome ai miei clienti, specie quando sono mansueti come quella».
   «Giovane, vero?».
   «Pare».
   «Ma è giudea?».
   «E chi lo sa?! L’oro è giallo in tutti i paesi».
   «Fammi vedere quel braccialetto».
   «Lo vuoi comperare?».
   «No».
   «E allora niente. Che credi? Che si metta a parlare per lei?».
   «Volevo vedere se capivo chi era…».
   «Tanto ti preme? Sei negromante che indovini o cane da segugio che sente l’odore? Va’ là, dàtti pace. Se è così, o è onesta e infelice o è lebbrosa. Perciò… niente da fare».
   «Non ho fame di donna», risponde sprezzante Giuda.
   «Sarà… Ma con quel viso ci credo poco. Bene, se non vuoi altro scansati. Ho altri da servire».
   Giuda se ne va stizzito e chiede ad un venditore di pane e ad uno di frutta se conoscono la donna che prima aveva comperato pane e mele da loro, e se sanno dove abita.
   Non lo sanno. Rispondono: «Viene da qualche tempo, ogni due o tre giorni. Ma dove sta non sappiamo».
   «Ma come parla?», incalza Giuda.
   I due ridono e uno risponde: «Con la lingua».
   Giuda li insolentisce e se ne va…

   112.2 a cascare proprio in mezzo al gruppo di Gesù e i suoi, che vengono a comperare pane e companatico per il loro pasto giornaliero. La sorpresa è reciproca e… non molto entusiasta.
   Gesù dice solo: «Qui sei?»; e mentre Giuda farfuglia qualcosa, Pietro dà in una fragorosa risata e dice: «Ecco, io sono cieco e miscredente. Non vedo le vigne. E non credo al miracolo».
   «Ma che dici?», chiedono due o tre discepoli.
   «Dico il vero. Qui non ci sono vigne. E non posso credere che Giuda qui, fra questa polvere, vendemmi solo perché è discepolo del Rabbi».
   «La vendemmia è finita da un pezzo», risponde duro Giuda.
   «E di molte miglia è lontana Keriot», finisce Pietro.
   «Tu mi attacchi subito. Mi sei nemico».
   «No. Sono meno gonzo di quello che tu vorresti».
   «Basta», impone Gesù. Ma è severo. Si rivolge a Giuda: «Non pensavo vederti qui. Ti pensavo quanto meno a Gerusalemme per i Tabernacoli».
   «Ci vado domani. Ero qui in attesa di un amico di famiglia che…».
   «Ti prego: basta».
   «Non mi credi, Maestro? Ti giuro che io…».
   «Non ti ho chiesto nulla e ti prego di non dire nulla. Sei qui.
   Basta così. Conti venire con noi o hai ancora affari da fare? Rispondi senza riguardi».
   «No… ho finito. Tanto quel tale non viene ed io vado per la festa a Gerusalemme. E Tu dove vai?».
   «A Gerusalemme».
   «Oggi stesso?».
   «Questa sera sono a Betania».
   «Da Lazzaro?».
   «Da Lazzaro».
   «Vengo anche io, allora».
   «Vieni pure fino a Betania. Poi Andrea con Giacomo di Zebedeo e Tommaso andranno al Get Semni a preparare e ad attendere noi tutti, e tu andrai con loro». Gesù marca talmente le parole che quello non reagisce.
   «E noi?», chiede Pietro.
   «Tu con i cugini miei e con Matteo andrete dove vi manderò per tornare a sera. Giovanni, Bartolomeo, Simone e Filippo resteranno con Me, ossia andranno per Betania ad annunciare che il Rabbi è venuto e parlerà loro all’ora di nona».

   112.3 Vanno solleciti per le campagne spoglie. C’è aria di burrasca, non nel cielo sereno ma nei cuori, e tutti lo sentono e procedono in silenzio.
   Quando giungono a Betania – e venendo da Gerico per quella via la casa di Lazzaro si incontra fra le prime – Gesù congeda il gruppo che deve andare a Gerusalemme, poi l’altro che manda verso Betlem dicendo: «Andate sicuri. Troverete a mezza via Isacco, Elia e gli altri. Dite che sarò a Gerusalemme per molti giorni e che li attendo per benedirli».
   Intanto Simone ha bussato al cancello e si è fatto aprire. I servi dànno l’avviso e accorre Lazzaro.
   Giuda Iscariota, che si era già dilungato di qualche metro, torna indietro con la scusa di dire a Gesù: «Ti ho spiaciuto, Maestro. L’ho capito. Perdonami», e intanto sbircia dal cancellone aperto nel giardino e verso la casa.
   «Sì. Va bene. Vai. Vai. Non fare attendere i compagni». Giuda deve pure andarsene.
   Pietro mormora: «Sperava che ci fosse un cambio di ordine».
   «Questo mai, Pietro. So quello che faccio. Ma tu compatiscilo quell’uomo…».
   «Cercherò. Ma non prometto… Addio, Maestro. Vieni, Matteo, e voi due. Andiamo presto».
   «La mia pace con voi, sempre».

   112.4 Gesù entra con i quattro rimasti e, dopo il bacio con Lazzaro, presenta Giovanni, Filippo e Bartolommeo, e poi li congeda rimanendo solo con Lazzaro.
   Vanno verso casa. Questa volta sotto il bel porticato è una donna. È Marta. Non alta come la sorella – ma sempre alta, bruna mentre l’altra è bionda e rosea – è però una bella giovane dal corpo armonicamente grassoccio e ben modellato e dalla testolina morata, sotto cui è la fronte brunetta e liscia e due dolci e mansueti occhi neri, lunghi, vellutati fra le ciglia scure. Ha il naso lievemente curvo verso il basso e una piccola bocca molto rossa fra il color brunetto delle gote. Sorride e mostra dei denti forti e candidissimi.
   Veste di lana azzurro cupo con galloni in rosso e verde cupo al collo e ai limiti delle ampie maniche corte fino al gomito, da cui escono altre maniche di lino finissimo e bianco, strette al polso da un cordoncino che le arriccia. Anche al sommo del petto, alla radice del collo, sporge questa camicetta finissima e bianca, tenuta stretta da un cordone. Ha per cintura una sciarpa azzurra, rossa e verde di stoffa molto fina, che le serra il sommo delle anche e le ricade con un fiocco di frange sul lato sinistro. Un abito ricco e casto.
   «Ho una sorella, Maestro. Eccola. È Marta, buona e pia. Il conforto e l’onore della famiglia e la gioia del povero Lazzaro. Prima era la prima ed unica gioia mia. Ora è la seconda, perché la prima sei Tu».
   Marta si prostra fino a terra e bacia l’orlo della veste di Gesù.
   «Pace alla sorella buona e alla donna casta. Alzati».
   Marta si alza ed entra in casa con Gesù e Lazzaro. Poi chiede di assentarsi per le cure di casa.
   «È la mia pace…», mormora Lazzaro e guarda Gesù. Uno sguardo scrutatore. Ma Gesù mostra di non vederlo.

   112.5 Lazzaro chiede: «E Giona?».
   «È morto».
   «Morto? Allora…».
   «L’ho avuto in fin di vita. Ma è morto libero e felice in casa mia, a Nazaret, fra Me e mia Madre».
   «Doras te lo ha finito prima di dartelo!».
   «Di fatica, sì, e anche di percosse…».
   «È un demonio e ti odia. Odia tutto il mondo quella iena…
   A Te non ha detto che ti odia?…».
   «Me lo ha detto».
   «Diffida, Gesù, di lui. È capace di tutto. Signore… che ti ha detto Doras? Non ti ha detto di sfuggirmi? Non ti ha messo in luce obbrobriosa il povero Lazzaro?».
   «Credo che tu mi conosca a sufficienza per capire che da Me giudico e con giustizia e che, quando amo, amo senza pesare se questo amore può farmi bene o male secondo le luci del mondo».
   «Ma quell’uomo è feroce, è atroce nel ferire e nel nuocere…
   Mi ha tormentato anche giorni fa. Mi è venuto qui e mi ha detto… Oh! che ho già tanto tormento! Perché volermi levare anche Te?».
   «Io sono il conforto dei tormentati e il compagno degli abbandonati. Sono venuto a te anche per questo».
   «Ah! Tu allora sai?… Oh! mia vergogna!».
   «No. Perché tua? So. E che perciò? Avrò anatema per te che soffri? Io sono Misericordia, Pace, Perdono, Amore per tutti; e che sarò per gli innocenti? Tu non hai il peccato per cui soffri.
   Dovrei infierire su te se ho pietà anche di lei?…».
   «L’hai vista?».
   «L’ho vista. Non piangere».
   Ma Lazzaro, col capo abbandonato sulle braccia conserte su un tavolo, piange con singhiozzi penosi.
   Marta si affaccia e guarda. Gesù le fa cenno di stare zitta. E Marta se ne va con dei lacrimoni che scendono senza rumore.
   Lazzaro si calma poco a poco e si umilia per la sua debolezza. Gesù lo conforta e, poi che l’amico desidera ritirarsi un momento, esce nel giardino e passeggia fra le aiuole dove resiste ancora qualche rosa porpurea.

   112.6 Marta lo raggiunge dopo poco. «Maestro… Lazzaro ha parlato?».
   «Sì, Marta».
   «Lazzaro non sa darsi pace da quando sa che Tu sai e che l’hai vista…».
   «Come lo sa?».
   «Prima quell’uomo che era con Te e che si dice tuo discepolo, quello giovane, alto, bruno e senza barba… poi Doras. Ci ha frustati col suo disprezzo, questo. L’altro ha detto solo che l’avete vista sul lago… coi suoi amanti…».
   «Ma non piangete per questo! Credete che Io ignorassi la vostra ferita? La sapevo da quando ero nel Padre… Non ti accasciare, Marta. Solleva cuore e fronte».
   «Prega per lei, Maestro. Io prego… ma non so perdonare del tutto, e forse l’Eterno respinge l’orazione».
   «Bene hai detto: perdonare bisogna per essere perdonati e ascoltati. Io prego già per lei. Ma dàmmi il tuo perdono e quello di Lazzaro. Tu, sorella buona, puoi parlare e ottenere ancora più di Me. La sua ferita è troppo aperta e bruciante perché anche la mia mano la sfiori. Tu puoi farlo. Datemi il vostro perdono pieno, santo, ed Io farò…».
   «Perdonare… Non potremo. La madre nostra è morta di dolore per le sue maleazioni e… erano ancora lievi rispetto a quelle di ora. Io vedo le torture della madre… le ho sempre presenti. E vedo ciò che soffre Lazzaro».
   «È una malata, Marta, una folle. Perdonate».
   «È una indemoniata, Maestro».
   «E che è la possessione diabolica se non una malattia dello spirito contagiato da Satana al punto di snaturarsi in un essere spirituale diabolico? Come spiegare altrimenti certe perversioni negli umani? Perversioni che rendono l’uomo molto peggiore delle belve in ferocia, più libidinoso delle scimmie in lussuria, e così via, e ne fanno un ibrido in cui sono fusi l’uomo, l’animale e il demonio? Questa è la spiegazione di ciò che ci stupisce come una mostruosità inspiegabile in tante creature. Non piangere. Perdona. Io vedo. Perché Io ho una vista più alta di quella dell’occhio e del cuore. Ho vista di Dio. Vedo. Ti dico: perdona perché è malata».
   «E guariscila, allora!».
   «La guarirò. Abbi fede. Ti farò felice. Ma tu perdona e di’ a Lazzaro che lo faccia. Perdona. Amala ancora. Avvicinala. Parlale come fosse una come te. Parlale di Me…».
   «Come vuoi che capisca Te, Santo?».
   «Sembrerà che non comprenda. Ma anche solo il mio Nome è salvezza. Fa’ che mi pensi e mi nomini. Oh! Satana fugge quando il mio Nome viene pensato da un cuore. Sorridi, Marta, a questa speranza. Guarda questa rosa. La pioggia dei giorni scorsi l’aveva mortificata, ma il sole di oggi, guarda, l’ha schiusa, ed essa è ancor più bella perché la pioggia che permane fra petalo e petalo l’ingemma di diamanti. Così sarà la vostra casa… Pianto e dolore ora, e poi… gioia e gloria. Va’. Dillo a Lazzaro mentre Io, nella pace del tuo giardino, prego il Padre per Maria e per voi…».
   Tutto ha fine così.