MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 133



CXXXIII. Andrea modello ideale del sacerdote. Una lettera della Madre. Gesù costretto a lasciare l'Acqua Speciosa.

   18 marzo 1945.

   133.1 L’Acqua Speciosa è senza pellegrini. E pare strano vederla così, senza bivacchi di chi sosta una notte o almeno consuma il suo pasto sull’aia o sotto la tettoia. Non vi è che nitore e ordine oggi, senza nessuna di quelle tracce che un affollamento lascia di sé.
    I discepoli occupano il loro tempo in lavori manuali, chi intrecciando vimini per farne nuove trappole ai pesci, e chi lavorando intorno a piccoli lavori di sterro e di incanalamento delle acque dei tetti perché non stagnino sull’aia. Gesù è ritto in mezzo ad un prato e sbriciola del pane ai passerotti. A perdita d’occhio non un vivente, nonostante la giornata sia serena.
    Viene verso Gesù Andrea, di ritorno da qualche incombenza: «Pace a Te, Maestro».
    «E a te, Andrea. Vieni qui un poco con Me. Tu puoi stare vicino agli uccellini. Sei come loro. Ma vedi? Quando essi sanno che chi li avvicina li ama, non temono più. Guarda come sono fiduciosi, sicuri, lieti. Prima erano quasi ai miei piedi. Ora ci sei tu e stanno all’erta… Ma guarda, guarda… Ecco quel passero più audace che viene avanti. Ha capito che non c’è nessun pericolo. E dietro lui gli altri. Vedi come si satollano? Non è uguale di noi, figli del Padre? Egli ci satolla del suo amore. E quando siamo sicuri di essere amati e di essere invitati alla sua amicizia, perché temere di Lui e di noi? La sua amicizia deve farci audaci anche presso gli uomini. Credi: solo il malvivente deve avere paura del suo simile. Non il giusto come tu sei».
    Andrea è rosso e non parla.
    Gesù lo attira a Sé e dice ridendo: «Bisognerebbe unire te e Simone in un solo filtro, sciogliervi e poi riformarvi. Sareste perfetti. Eppure… Se ti dico che, tanto dissimile in principio, sarai perfettamente uguale a Pietro alla fine della tua missione, lo crederesti?».
    «Tu lo dici e certo è. Non mi chiedo neppure come ciò possa essere. Perché tutto quello che Tu dici è vero. E sarò contento di essere come Simone, fratello mio, perché lui è un giusto e ti fa felice. È bravo Simone! Io sono tanto contento che egli sia bravo. Coraggioso, forte. Ma anche gli altri!…».
    «E tu no?».
    «Oh! io!… Solo Tu puoi essere contento di me…».
    «E accorgermi che lavori senza rumore e più profondamente degli altri.

   133.2 Perché nei dodici c’è chi fa tanto rumore per quanto lavora. C’è chi fa molto più rumore di quanto non faccia lavoro, e c’è chi non fa altro che lavoro. Un lavoro umile, attivo, ignorato… Gli altri possono credere che egli non faccia nulla. Ma Colui che vede sa. Queste differenze sono perché ancora non siete perfetti. E ci saranno sempre fra i futuri discepoli, fra quelli che verranno dopo di voi, sino al momento che l’angelo tuonerà: “Il tempo non è più”. Sempre ci saranno i ministri del Cristo che saranno pari nell’opera e nell’attirare su di loro lo sguardo del mondo: i maestri. E vi saranno, purtroppo, quelli che saranno solo rumore e gesto esteriori, solo esteriori, i falsi pastori dalle pose istrioniche… Sacerdoti? No: mimi. Nulla di più. Non è il gesto che fa il sacerdote e non lo è l’abito. Non è la sua mondana cultura né le relazioni mondane e potenti che fanno il sacerdote. È la sua anima. Un’anima tanto grande da annullare la carne. Tutto spirito il mio sacerdote… Così lo sogno. Così saranno i miei santi sacerdoti. Lo spirito non ha voce né ha pose da tragedo. È inconsistente perché spirituale, e perciò non può mettere pepli e maschere. È ciò che è: spirito, fiamma, luce, amore. Parla agli spiriti. Parla con la castità degli sguardi, degli atti, delle parole, delle opere. L’uomo guarda. E vede un suo simile. Ma oltre e sopra la carne che vede? Qualcosa che lo fa arrestare dal suo andare frettoloso, meditare e concludere: “Quest’uomo, a me simile, ha di uomo solo l’aspetto. L’anima è di angelo”. E, se miscredente, conclude: “Per lui credo che ci sia un Dio e un Cielo”. E, se lussurioso, dice: “Questo mio uguale ha occhi di Cielo. Freno il mio senso per non profanarli”. E se è un avaro decide: “Per l’esempio di costui che non ha attacco alle ricchezze, io cesso di essere avaro”. E se è un iracondo, un feroce, davanti al mite si muta in più pacato essere. Tanto può fare un sacerdote santo. E, credilo, sempre ci saranno fra i sacerdoti santi quelli che sapranno anche morire per amore di Dio e di prossimo, e sapranno farlo così pianamente, dopo avere esercitato la perfezione per tutta la vita ugualmente pianamente, che il mondo neppure si accorgerà di loro. Ma se il mondo non diverrà tutto un lupanare e una idolatria, sarà per questi: gli eroi del silenzio e della operosità fedele. E avranno il tuo sorriso: puro e timido. Perché ci saranno sempre degli Andrea. Per grazia di Dio e per fortuna del mondo ci saranno!».
    «Io non credevo di meritare queste parole… Non avevo fatto nulla per suscitarle…».
    «Mi hai aiutato ad attirare a Dio un cuore. Ed è il secondo che tu conduci verso la Luce».
    «Oh! perché ha parlato? Mi aveva promesso…».
    «Nessuno ha parlato. Ma Io so. Quando i compagni riposano stanchi, tre sono gli insonni all’Acqua Speciosa. L’apostolo dal silenzioso e attivo amore verso i fratelli peccatori. La creatura che l’anima pungola verso la salvezza. E il Salvatore che prega e veglia, che attende e spera… La mia speranza: che un’anima trovi la sua salute… Grazie, Andrea. Continua e siine benedetto».
    «Oh! Maestro!… Ma non dire nulla agli altri… Da solo a sola, parlando ad una lebbrosa in una spiaggia deserta, parlando qui ad una di cui non vedo il volto, io ancora so fare un pochino. Ma se gli altri lo sanno, Simone più di tutti, e vuole venire… io non so fare più nulla… Non venire neppure Te… Perché di parlare davanti a Te mi vergogno».
    «Non verrò. Gesù non verrà. Ma lo Spirito di Dio è sempre venuto con te. Andiamo a casa. Ci chiamano per il pasto».
    E tutto ha fine fra Gesù e il mite discepolo.

   133.3 Stanno ancora mangiando e già hanno acceso le lampade, perché la sera scende rapidissima e anche la sizza consiglia a tenere chiusa la porta, quando viene bussato all’uscio e la voce allegra di Giovanni si fa sentire.
    «Ben tornati!».
    «Avete fatto presto!».
    «Che c’è, dunque?».
    «Come siete carichi!».
    Tutti parlano insieme, aiutando i tre a liberarsi dalle pesantissime sacche che hanno sulle spalle.
    «Adagio!».
    «Lasciateci salutare il Maestro».
    «Ma un momento!».
    Vi è un tumulto allegro, famigliare, per la gioia di essere insieme.
    «Vi saluto, amici. Dio vi ha dato giornate serene».
    «Sì, Maestro. Ma non serene notizie. Lo prevedevo», dice l’Iscariota.
    «Che c’è? Che c’è…». La curiosità è desta.
    «Fate che prima siano rifocillati», dice Gesù.
    «No, Maestro. Prima ti diamo quanto abbiamo per Te e per gli altri. E per primo… Giovanni, dài la lettera».
    «L’ha Simone. Io temevo di sciuparla nel carico».
    Lo Zelote, che è stato in lotta fino allora con Tommaso che lo voleva servire di acqua per i suoi piedi stanchi, accorre dicendo: «L’ho qui, nella borsa della cintura», e apre questa tasca interna della sua alta cintura di cuoio rosso estraendone un rotolo ormai divenuto piatto.
    «È tua Madre. Quando siamo stati presso Betania, abbiamo incontrato Gionata che andava da Lazzaro con la lettera e molte altre cose. Gionata va a Gerusalemme perché Cusa mette in ordine il suo palazzo… Forse Erode va a Tiberiade… e Cusa non vuole la moglie presso Erodiade», spiega l’Iscariota mentre Gesù scioglie i nodi del rotolo e svolge lo stesso.
    Gli apostoli bisbigliano mentre Gesù legge con un sorriso beato le parole della Mamma.

   133.4 «Udite», dice poi. «Vi è anche per i galilei qualche cosa. Mia Madre scrive: “A Gesù, mio dolce Figlio e Signore, pace e benedizione. Gionata, servo del suo Signore, mi ha portato doni gentili da parte di Giovanna che chiede benedizioni al suo Salvatore su lei, lo sposo e tutta la sua casa. Gionata mi dice che egli per ordine di Cusa va a Gerusalemme, avendo l’ordine di riaprire il palazzo in Sionne. Io benedico Iddio di questa cosa, perché posso così farti avere le mie parole e le mie benedizioni. Anche Maria d’Alfeo e Salome mandano ai figli baci e benedizioni. E, poiché Gionata fu buono oltre misura, vi sono anche i saluti della moglie di Pietro al marito lontano, e così i famigliari di Filippo e Natanaele mandano i loro. Tutte le vostre donne, o cari uomini lontani, coll’ago o col telaio, e col lavoro dell’orto, vi mandano vesti per questi mesi d’inverno, e dolce miele, raccomandandovi di prenderlo con acqua ben calda nelle umide sere. Abbiatevi cura. Questo mi dicono le madri e le spose di dirvi ed io lo dico. Anche al Figlio mio. Non ci siamo sacrificate per nulla, credetelo. Godete degli umili doni che noi, discepole dei discepoli di Cristo, diamo ai servi del Signore, e solo dateci la gioia di sapervi sani.
    Ora, amato Figlio mio, io penso che da quasi un anno Tu non sei più tutto mio. E mi sembra di essere ritornata al tempo in cui sapevo che Tu c’eri già, perché sentivo il tuo piccolo cuore battere nel mio seno, ma potevo anche dire che non c’eri ancora, perché mi eri separato da una barriera che mi impediva di carezzare il tuo corpo diletto e solo potevo adorarti lo spirito, o mio caro Figlio e adorabile Iddio. Anche ora so che ci sei e che il tuo cuore batte col mio, mai diviso da me anche se diviso, ma non ti posso accarezzare, udire, servire, venerare, Messia del Signore e della sua povera serva.
    Giovanna voleva andassi da lei perché non rimanessi sola nella festa dei Lumi. Io però ho preferito rimanere qui, con Maria, ad accendere i lumi. Per me e per Te. Ma fossi anche la più grande regina della Terra e potessi accendere mille e diecimila lumi, sarei al buio perché Tu non sei qui. Mentre ero nella perfetta luce, in quella scura grotta quando ti ebbi sul cuore, mia Luce e Luce del mondo. Sarà la prima volta che io mi dico: ‘ Il mio Bambino oggi ha un anno di più ’ e non ho il mio Bambino. E sarà più triste del tuo primo genetliaco in Matarea. Ma Tu fai la tua missione ed io la mia. Ed ambedue facciamo la volontà del Padre e operiamo per la gloria di Dio. Questo asciuga ogni lacrima.
    Caro Figlio, comprendo quanto fai da quanto mi viene detto. Come le onde da un aperto mare portano la voce del largo sino dentro ad un solitario e chiuso golfo, così l’eco del tuo santo lavoro per la gloria del Signore giunge nella quieta casetta nostra, alla tua Mamma che ne giubila e ne trema, perché se tutti parlano di Te non tutti ne parlano con uguale cuore. Vengono amici e beneficati a dirmi: ‘ Sia benedetto il Figlio del tuo seno ’, e vengono nemici tuoi a ferire il mio cuore dicendo: ‘ Anatema a Lui! ’. Ma per questi io prego perché sono degli infelici, ancora più dei pagani che vengono a chiedermi: ‘ Dove è il mago, il divino? ’ e non sanno di dire una grande verità, nel loro errore, perché veramente Tu sei sacerdote e grande come per l’antica lingua ha senso quella parola, e divino sei, o mio Gesù. Ed io te li mando dicendo: ‘ Egli è a Betania ’. Perché così so dover dire fino a che Tu non ordini in altro modo. E prego per questi che vengono a cercare salute per ciò che muore, acciò trovino salute per lo spirito eterno. E, te ne prego. Non ti affliggere del mio dolore. È compensato da tanta gioia per le parole dei sanati di anima e di carne.
    Ma Maria ne ebbe e ne ha un dolore ancora più forte del mio; non a me soltanto si parla. Giuseppe d’Alfeo vuole che Tu sappia che egli, in un recente suo viaggio per affari a Gerusalemme, fu fermato e minacciato per causa di Te. Erano uomini del Gran Consiglio. Io penso che egli fu loro segnalato da qualche grande di qui. Perché altrimenti chi poteva conoscere Giuseppe come capo[88] di famiglia e fratello tuo? Io ti dico questo per ubbidienza di donna. Ma per me ti dico: vorrei esserti vicino. Per darti conforto. Ma poi fa’ Tu, Sapienza del Padre, senza tenere conto del mio pianto. Simone, tuo fratello, voleva quasi venire, dopo questo fatto. E con me. Ma la stagione lo ha trattenuto e più la tema di non trovarti, perché ci fu detto, e come una minaccia, che Tu dove sei non puoi rimanere.
    Figlio! Figlio mio! Adorato e santo Figlio mio! Sto con le braccia alzate come Mosè sul monte, per pregare per Te in battaglia contro i nemici di Dio e i nemici tuoi, mio Gesù che il mondo non ama.
    Qui è morta Lia di Isacco. E ne ho avuto pena perché mi fu sempre buona amica. Ma la pena maggiore sei Tu, lontano e non amato.
    Io ti benedico, Figlio mio, e come io ti do pace e benedizione, ti prego darla Tu alla tua Mamma”».

   133.5 «Arrivano fino in quella casa quegli spudorati!», urla Pietro.
    E Giuda Taddeo esclama: «Giuseppe… se la poteva tenere per sé la notizia. Ma… non gli è sembrato vero di poterla dare!».
    «Voce di iena non spaventa i vivi», sentenzia Filippo.
    «Il male è che non sono iene, sono tigri. Cercano preda viva», dice l’Iscariota. E volgendosi allo Zelote: «Di’ tu quanto abbiamo saputo».
    «Sì, Maestro. Giuda aveva ragione di temere. Siamo andati da Giuseppe d’Arimatea e da Lazzaro. E lì come aperti amici tuoi. E poi io e Giuda, come se io fossi un suo amico d’infanzia, da alcuni suoi amici di Sionne… E… Giuseppe e Lazzaro ti dicono di venire via subito durante queste feste. Non insistere, Maestro. È per tuo bene. Gli amici di Giuda, poi, hanno detto: “Guarda che è già deciso di venire a sorprenderlo per accusarlo. Proprio in questi giorni di feste in cui non c’è popolo. Si ritiri per qualche tempo. Per deludere queste vipere. La morte di Doras ha aizzato il loro veleno e la loro paura. Perché hanno paura oltre che odio. E la paura fa loro vedere ciò che non c’è, e l’odio fa dire anche la menzogna”».
    «Tutto[89], ma tutto sanno di noi! È una cosa odiosa! E tutto alterano! E tutto esagerano. E quando pare loro che non ci sia ancora abbastanza per maledire, inventano. Io sono nauseato e accasciato. Mi viene volontà di esulare, di andare… non so… lontano. Ma via da questo Israele che è tutto un peccato…». L’Iscariota è depresso.
    «Giuda, Giuda! Una donna per dare al mondo un uomo lavora nove lune. Tu per dare al mondo la conoscenza di Dio vorresti fare più presto? Non nove lune. Ma millenni di lune ci vorranno. E come la luna nasce e muore ad ogni lunazione, apparendoci neonata, poi piena e poi scema, così sempre nel mondo, finché sarà, ci saranno fasi crescenti, piene e decrescenti di religione. Ma, anche quando sembrerà morta, essa viva sarà, così come la luna che c’è anche quando pare sia finita. E chi avrà lavorato a questa religione ne avrà merito pieno anche se solo una minoranza esigua rimarrà, sulla Terra, di anime fedeli. Su, su! Non facili entusiasmi nei trionfi e non facili depressioni nelle sconfitte».
    «Ma però… vieni via. Non siamo, noi, forti ancora. E sentiamo che davanti al Sinedrio avremmo paura. Io almeno… Gli altri non so… Ma credo imprudenza tentarlo. Non abbiamo il cuore dei tre fanciulli[90] della corte di Nabucodonosor».
    «Sì, Maestro. È meglio».
    «È prudente».
    «Giuda ha ragione».
    «Vedi che anche tua Madre e i parenti…».
    «E Lazzaro e Giuseppe».
    «Facciamoli venire per niente».
    Gesù apre le braccia e dice: «Sia fatto come volete. Ma poi si ritorna qui. Voi vedete quanti vengono. Io non forzo e non tento l’anima vostra. Non la sento pronta infatti…

   133.6 Ma vediamo i lavori delle donne».
    Però, mentre tutti con occhi lieti e voci di gioia estraggono dalle bisacce i pacchi con le vesti, i sandali e le cibarie delle madri e delle mogli, e tentano interessare Gesù ad ammirare tanta grazia di Dio, Egli resta mesto e distratto. Legge e rilegge la lettera materna. Si è rincantucciato con una lucernetta nell’angolo più lontano dal tavolo su cui sono vesti, e mele, e vasetti di metallo, e formaggelle, e con una mano a far visiera agli occhi pare meditare. Ma soffre.
    «Ma guarda, Maestro, la mia sposa, poverina, che bella veste e che mantello col cappuccio mi ha fatto. Chissà quanto ha faticato, perché non è esperta come tua Madre», dice Pietro che gongola con le braccia cariche dei suoi tesori.
    «Belli, sì, belli. È una brava moglie», dice cortese Gesù. Ma con l’occhio lontano dalle cose mostrate.
    «A noi la mamma ha fatto due vesti tessute doppie. Povera mamma! Ti piacciono, Gesù? E un bel colore, non è vero?», dice Giacomo di Zebedeo.
    «Molto bello, Giacomo. Ti starà bene».
    «Guarda. Scommetto che queste cinture le ha fatte tua Madre. È Lei che ricama così. E anche questo velo doppio per riparo dal sole io dico lo ha fatto Maria. È uguale al tuo. La veste no. È certo la mamma nostra che l’ha tessuta. Povera mamma! Dopo il tanto piangere fatto nell’estate, ci vede più poco e spesso le si spezza il filo. Cara!». E Giuda di Alfeo bacia la pesante veste di un rosso marrone.

   133.7 «Non sei allegro, Maestro», osserva finalmente Bartolomeo.
    «Non guardi neppure le cose mandate a Te».
    «Non può esserlo», ribatte Simone Zelote.
    «Penso… Ma… Rifate i pacchi. Mettete tutto a posto. Non è l’ora d’esser presi e non lo saremo. A notte alta, al chiaro di luna, andremo verso Doco. Poi a Betania».
    «Perché a Doco?».
    «Perché vi è una donna che muore e attende da Me la guarigione».
    «Non passiamo dal fattore?».
    «No, Andrea. Da nessuno. Così nessuno ha bisogno di mentire dicendo che non sa dove siamo. Se a voi preme non essere perseguitati, a Me preme non dare noie a Lazzaro».
    «Ma Lazzaro ti aspetta».
    «E da lui andiamo. O meglio… Simone, mi ospiti nella casa del tuo vecchio servo?».
    «Con gioia, Maestro. Tu sai tutto, ormai. Perciò ti posso dire per Lazzaro, per me e per chi in essa casa è: essa è tua».
    «Andiamo. Fate presto. Per essere a Betania prima del sabato».
    E mentre tutti si spargono con lucerne a fare quanto è necessario per l’improvvisa partenza, Gesù resta solo.
    Rientra Andrea, va vicino al suo Gesù e dice: «E quella donna? Mi spiace abbandonarla ora che pareva prossima a venire… È prudente… l’hai visto…».
    «Vai a dirle che torneremo fra qualche tempo e che intanto ricordi le tue parole…».
    «Le tue, Signore. Io ho detto solo le tue».
    «Va’. Fa’ presto. E bada che nessuno ti veda. Invero in questo mondo di cattivi devono prendere aspetto di perfidi coloro che sono innocenti…».
    Tutto mi cessa qui, su questa grande verità.

[88] capo è corretto in uno dei capi da MV su una copia dattiloscritta. Dei quattro figli di Alfeo, Simone diventa capo famiglia alla morte del padre (105.3) essendo il maggiore (105.4 e 246.11). Tuttavia egli apparirà sempre sottomesso al fratello Giuseppe, più forte di carattere e chiamato capo, primo, anziano, il maggiore (come qui e, per esempio, in: 437.1 - 440.7.8 - 441.5 - 460.7 - 477.5 - 478.11 491.9 - 562.4 - 614.11). Giuseppe e Simone sono detti i due maggiori dal fratello Giuda in 56.3. Giacomo e Giuda, a loro volta, sono detti di poco più grandi di Gesù in 38.8 e in 130.1.
[89] menzogna”». «Tutto: tra le due parole, sul manoscritto originale, MV mette un segno e l’annotazione tra parentesi Qui a capo perché parla l’Iscariota.
[90] tre fanciulli, di cui si narra in: Daniele 3, 13-97, che include il cantico di Azaria, menzionato al capitolo seguente (in 134.4) e altre volte nell’opera (come in 176.3).