MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME II CAPITOLO 134



CXXXIV. La guarigione di Jerusa a Doco.

   19 marzo 1945. […].

   134.1 Vedo: Gesù, nella prima luce di una stentata mattina d’inverno, entra nella cittadina di Doco e ad un mattiniero passante chiede: «Dove abita Mariamne, la vecchia madre[91] dalla nuora morente?».
    «Mariamne? La vedova di Levi? La suocera di Jerusa, moglie di Giosia?».
    «Lei».
    «Guarda, uomo. In fondo a questa via è una piazza, sull’angolo è una fonte, da lì sono tre strade. Piglia quella che ha al centro una palma e cammina ancora cento passi. Trovi un fosso. Lo segui fino al ponte d’assi. Lo passi e vedi una vietta coperta. La fai. Quando non è più via, né coperta, perché sbocca in una piazza, sei arrivato. La casa di Mariamne è color dell’oro per vecchiezza. E con le spese che hanno non la possono pulire. Non sbagli. Addio. Vieni da lontano?».
    «Non molto».
    «Ma sei galileo?».
    «Sì».
    «E questi? Vieni per la festa?».
    «Sono amici. Addio, uomo. La pace sia con te». Gesù lascia in asso il ciarliero che non ha più fretta. E va per la sua strada. E gli apostoli dietro.
    Giungono alla… piazzetta: uno scampolo di terra molto fangosa con al centro un alto querciolo, che è cresciuto da padrone e che forse d’estate farà comodo. Per ora fa solo malinconia, così folto e cupo sulle povere case alle quali leva luce e sole.
    La casa di Mariamne è la più miserella. Larga e bassa, ma così trascurata! Il portone è pieno di toppe messe sulle scheggiature del legno stravecchio. Una finestrella non ha impannata e mostra il suo buco nero come un’orbita senza più occhio.

   134.2 Gesù bussa al portone. Viene una fanciullina sui dieci anni, pallida, spettinata, con gli occhi rossi. «Sei la nipote di Mariamne? Di’ alla vecchia madre che Gesù è qui».
    La bambina ha un grido e fugge via chiamando a gran voce. Corre la vecchia, seguita da sei bambini oltre la ragazzina di prima. Il più grande pare gemello a questa; gli ultimi, due trappolini scalzi e sparuti, sono attaccati alla veste della vecchia e appena sanno camminare sufficientemente bene.
    «Oh! Sei venuto! Figli, venerate il Messia! Ben giungi alla mia povera casa. La figlia mi è morente… Non piangete, fanciulli, che non senta! Povere creature! Le bambine sono sfinite dalle veglie, perché io faccio tutto, ma vegliare non posso più, casco dal sonno in terra. Sono mesi che non tocco letto. Ora dormo su un sedile, per essere presso lei e alle bambine. Ma esse sono piccole e ne soffrono. I maschi, questi, vanno a fare legna per tenere il fuoco e la vendono anche, per il pane. Si sfiniscono, miseri nipoti! Ma ciò che ci uccide non è la fatica, è il vederla morire… Non piangete. Abbiamo Gesù».
    «Sì, non piangete. La mamma guarirà, il padre tornerà, non avrete più tante spese e non più tanta fame. Questi sono i due ultimi?».
    «Sì, Signore. Quella debole creatura ha sgravato tre volte gemelli… e il petto si è ammalato».
    «A chi troppo e a chi niente», borbotta Pietro fra la barba e poi si prende un piccolino e gli dà una mela per farlo tacere.
    E mentre anche l’altro piccolo gliene chiede una e Pietro lo accontenta,

   134.3 Gesù va con la vecchia oltre l’atrio, nella corte, e sale la scala per entrare in una stanza dove geme una donna giovane ma scheletrita.
    «Il Messia, Jerusa. Ora non soffrirai più. Lo vedi che è proprio venuto? Isacco non mente mai. Lo ha detto. Credi dunque che come è venuto ti possa sanare».
    «Sì, madre buona. Sì, mio Signore. Ma se non mi puoi guarire, fammi almeno morire. Ho i cani nel petto mio. Le bocche dei miei figli, alle quali ho dato dolce latte, mi hanno reso fuoco e amaro. Soffro tanto, Signore! Costo tanto! Il marito lontano per il pane. La vecchia madre che si consuma. Io che muoio… A chi i figli quando io sarò morta di male e lei di fatica e stenti?».
    «Per gli uccelli c’è Dio e così per i piccoli dell’uomo. Ma non morrai. Hai tanto male qui?». Gesù fa l’atto di posare la mano sul seno avvolto in bende.
    «Non mi toccare! Non mi aumentare il dolore!», urla la malata.
    Ma Gesù posa delicatamente la sua lunga mano sulla mammella malata. «Hai realmente il fuoco dentro, povera Jerusa. L’amore materno t’è divenuto fuoco nel seno. Ma tu non hai odio allo sposo e ai bambini, non è vero?».
    «Oh! perché dovrei? Egli è buono e mi ha sempre amata.
    Con saggio amore ci amammo e l’amore fiorì in creature… E loro!… Mi angoscio di lasciarli, ma… Signore! Ma il mio fuoco cessa! Madre! Madre! È come un angelo soffiasse l’aria del Cielo sul mio tormento! Oh! che pace! Non levare, non levare la tua mano, mio Signore. Premila anzi. Oh! che forza, che gioia! I miei figli! Qui i miei figli! Li voglio! Dina! Osia! Anna! Seba! Melchi! David! Giuda! Qui! Qui! La mamma non muore più! Oh!…».
    La giovane si rovescia sui guanciali piangendo di gioia mentre accorrono i figli,

   134.4 e la vecchia in ginocchio, non trovando altro nella sua gioia, intona il cantico di Azaria nella fornace ardente, e lo dice tutto con la sua voce tremula di vecchia e di commossa.
    «Oh! Signore! Ma che ti posso fare? Non ho nulla per farti onore!», dice infine.
    Gesù la rialza e dice: «Lasciami solo sostare per la mia stanchezza. E taci. Il mondo non mi ama. Devo andare via per qualche tempo. Ti chiedo fedeltà a Dio e silenzio. A te, alla sposa, ai piccoli».
    «Oh! non temere! Nessuno viene da chi è misero! Puoi stare qui senza timore d’essere visto. I farisei, eh? Ma… e per mangiare? Io non ho che poco pane…».
    Gesù chiama l’Iscariota: «Prendi del denaro e va’ a comperare quanto occorre. Mangeremo e riposeremo presso queste buone. Fino a sera. Va’ e taci».
    Poi si volge alla guarita: «Levati le bende, alzati, aiuta la madre e giubila. Dio ti ha fatto grazia per pietà della tua virtù di sposa. Spezzeremo il pane insieme, perché oggi il Signore altissimo è nella tua casa e occorre celebrarlo con festa piena».
    E Gesù esce raggiungendo Giuda che sta per uscire. «Prenderai con abbondanza. Che abbiano anche per i giorni futuri. A noi non mancherà nulla da Lazzaro».
    «Sì, Maestro. E, se permetti… ho del denaro mio. Ho fatto voto di offrirlo per la tua salvezza dai nemici. Lo muto in pane. Meglio a questi fratelli in Dio che nelle gole del Tempio. Permetti? L’oro mi è sempre stato serpente. Non voglio avere il suo fascino più. Perché sto tanto bene ora che sono buono. Libero mi sento. E sono felice».
    «Fa’ come vuoi, Giuda. E il Signore ti dia pace».
    Gesù raggiunge i discepoli mentre Giuda esce e tutto ha termine.
    […].

[91] vecchia madre, il cui nome, sull’originale autografo, le prime tre volte si presenta ritoccato e può essere letto Marianna o Mariamna; le altre due volte, invece, è chiaramente Mariamne.