MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 219



CCXIX. I diversi frutti della predicazione degli apostoli nella città di Ascalona.

   15 luglio 1945.

   219.1 Ubbidienti all’ordine avuto, i gruppetti degli apostoli vengono uno dopo l’altro presso la porta della città. Ancora Gesù non c’è. Ma presto sopraggiunge da una vietta che costeggia le mura.
   «Il Maestro deve aver avuto buona sorte», dice Matteo.
   «Guardate come sorride».
   Gli vanno incontro ed escono insieme dalla porta riprendendo la via maestra, che è costeggiata dalle ortaglie del sobborgo.
   Gesù li interroga: «Ebbene? Come vi è andata? Che avete fatto?».
   «Molto male», dicono insieme l’Iscariota e Bartolomeo.
   «Perché? Che vi è accaduto?».
   «Che per poco ci lapidano. Abbiamo dovuto scappare. Andiamo via da questo paese di barbari. Torniamo dove ci amano. Io qui non parlo più. Già non volevo parlare. Ma poi mi sono lasciato vincere e Tu non mi hai trattenuto. Eppure Tu le sai le cose…». L’Iscariota è inquieto.

   219.2 «Ma cosa ti è successo?».
   «Eh! ero andato con Matteo, Giacomo e Andrea. Siamo andati nella piazza dei Giudizi, perché là c’è gente fine e che ha tempo da perdere in ascolto di chi parla. Abbiamo deciso che avrebbe parlato Matteo, il più adatto a parlare a pubblicani e a clienti degli stessi. E lui ha incominciato dicendo a due che litigavano per contendersi un campo in una ingarbugliata eredità: “Non odiatevi per quello che perisce e per quello che non potete portarvi dietro nell’altra vita. Ma amatevi per potere godere di beni eterni avuti senza altro contrasto che con le male passioni che si devono vincere per divenire vincitori e possessori del Bene”. Dicevi così, non è vero? E poi continuava, mentre due o tre altri si avvicinavano ad ascoltare. “Ascoltate la Verità che insegna questo al mondo perché il mondo abbia pace. Voi vedete che si soffre per questo. Per questo eccessivo interesse alle cose che muoiono. Ma la Terra non è tutto. Vi è anche il Cielo, e nel Cielo vi è Dio così come in Terra vi è ora il suo Messia, il quale ci manda per annunciarvi che il tempo della Misericordia è venuto e che non c’è peccatore che possa dire: ‘Io non sarò ascoltato’, perché se uno ha vero pentimento ha perdono, è ascoltato, amato e invitato al Regno di Dio”. Molta gente si era ormai affollata e c’era chi ascoltava con rispetto, c’era chi faceva domande, disturbando Matteo. Io già non do mai risposta per non guastare il discorso. Parlo e rispondo ai singoli in fondo. Se lo tengano a mente quello che vogliono dire e tacciano. Ma Matteo voleva rispondere subito!… E anche noi si era interrogati. Ma c’era anche chi sogghignava, dicendo: “Ecco un altro pazzo! Certo viene da quella tana di Israele. Son gramigne che si distendono da per tutto, i giudei! Ecco, ecco le loro eterne fandonie! Loro hanno a compare Iddio. Sentili! È sul filo della loro spada e nell’acido della loro lingua. Ecco, ecco! Ora tirano in ballo il suo Messia. Qualche altro frenetico che ci tormenterà come sempre fu nei secoli. Peste a Lui e alla razza!”. Allora ho perso la pazienza. Ho tira to indietro Matteo, che continuava a parlare sorridendo come se gli facessero degli onori, e ho cominciato a parlare io, prendendo Geremia[110] a base del mio discorso: “Ecco che le acque salgono dal settentrione e diverranno un torrente che inonda…”. “Al loro rumore”, ho detto, “– perché la punizione di Dio su voi, razza malefica, avrà rumore di molte acque, e inve ce saranno armi e armati della Terra e celesti frombolatori dei Cieli, tutti mossi per ordine dei Capi del Popolo di Dio per punirvi della vostra pervicacia – al loro rumore voi perderete il vigore, vi cascheranno superbie, cuori, braccia, affetti, tutto. Sterminati sarete, avanzi dell’isola del peccato, porta dell’Inferno! Avete rimesso boria perché siete stati ricostruiti da Erode? Ma ancor più rasati, fino a farvi calvi senza rimedio, sare te; colpiti da ogni castigo nelle vostre città e villaggi, nelle valli e nelle pianure. La profezia non è morta ancora…”; e volevo continuare, ma ci si sono avventati contro, e solo perché una provvidenziale carovana passava da una via ci siamo potuti salvare, perché già volavano le pietre. Hanno colpito i cammelli e i cammellieri, è successo un parapiglia, e noi ce la siamo filata. Dopo siamo stati quieti in un cortiletto di sobborgo. Ah! io non ci vengo più qui…».

   219.3 «Ma scusa, li hai offesi! La colpa è tua! Ora si capisce perché sono venuti così ostili a cacciarci!», esclama Natanaele. E continua: «Ascolta, Maestro. Noi, ossia Simone di Giona, io e Filippo, eravamo andati verso la torre che dà sul mare. Là c’erano dei marinai e dei padroni di navigli che caricavano le merci per Cipro, per la Grecia e anche più lontano. E imprecavano al sole, alla polvere, alla fatica. Bestemmiavano la loro sorte di filistei, schiavi, dicevano, dei prepotenti, mentre potevano essere re. E bestemmiavano i Profeti e il Tempio e noi tutti. Io volevo andare via di là, ma Simone non volle, dicendo: “No, anzi! Sono proprio questi peccatori che dobbiamo avvicinare. Il Maestro lo farebbe e lo dobbiamo fare anche noi”.
   “Parla tu, allora”, abbiamo detto io e Filippo. “E se non so fare?”, ha detto Simone. “Allora ti aiuteremo noi”, abbiamo risposto. E Simone allora è andato sorridente verso due che, sudati, si erano seduti su una grossa balla che non ce la facevano a issare sul naviglio, e ha detto: “È pesante, non è vero?”. “Più che pesante, è che siamo stanchi. E bisogna avere ultimato il carico perché il padrone lo vuole. Vuole salpare nell’ora della calmeria, perché questa sera il mare sarà più forte e bisogna avere superato gli scogli per non avere pericolo”. “Scogli in mare?”. “Sì. Là dove l’acqua bolle. Posti brutti”. “Correnti, eh? Già! Il vento del mezzogiorno gira la punta e là si scontra con quella corrente…”. “Sei marinaio?”. “Pescatore. D’acqua dolce. Ma l’acqua è sempre acqua, e il vento vento. Ho bevuto anche io più di una volta e il carico m’è tornato al fondo più di una volta. Bello e brutto mestiere il nostro. Ma in tutte le cose c’è il bello e il brutto, il buono e il malvagio. Nessun posto è tutto di cattivi, né nessuna razza è tutta crudele. Con un poco di buona volontà ci si mette sempre d’accordo e si trova che da per tutto c’è della brava gente. Su! Vi voglio aiutare”; e Simone ha chiamato Filippo dicendo: “Forza! Prendi di lì che io prendo di qui, e questa brava gente ci conduce là, sulla nave, alle stive”. Non volevano, i filistei. Ma poi hanno lasciato fare. Messo a posto il fagotto, e altri ancora che erano sul ponte, Simone si mise a lodare la nave, come lui sa fare, a lodare il mare, la città così bella vista dal mare, a interessarsi di navigazione marina, di città d’altre nazioni. E tutti intorno, tutti a ringraziarlo, a lodarlo… Finché uno chiese: “Ma tu di dove sei? Nilotico?”. “No, del mar di Galilea. Ma come vedete non sono una tigre”. “È vero. Cerchi lavoro?”. “Sì”. “Io ti prendo, se vuoi. Vedo che sei un marinaio capace”, disse il padrone. “Io invece prendo te”. “Me? Ma non hai detto che cerchi lavoro?”. “È vero. Il mio lavoro è portare gli uomini al Messia di Dio. Tu sei un uomo. Sei dunque un lavoro per me”. “Ma io sono filisteo!”. “E che vuol dire?”. “Vuol dire che voi ci odiate, ci perseguitate, dal tempo dei tempi. Lo hanno detto i vostri capi, sempre…”. “I Profeti, eh? Ma ora i Profeti sono voci che non urlano più. Ora c’è il solo, grande, santo Gesù. Egli non urla, ma chiama con voce di amico. Egli non maledice ma benedice. Egli non porta malanni ma li leva. Egli non odia e non vuole che si odi. Ma anzi ama tutti e vuole che noi si ami anche i nemici. Nel suo Regno non ci saranno più vinti e vincitori, non più liberi e schiavi, non più amici e nemici. Non ci saranno più queste distinzioni che fanno male, che sono venute dalla malvagità umana, ma solo ci saranno i suoi seguaci, ossia gente vivente nell’amore, nella libertà, nella vittoria su tutto quanto è peso e dolore. Io ve ne prego. Vogliate credere alle mie parole e avere desiderio di Lui. Le profezie sono state scritte. Ma Egli è più grande ancora dei Profeti; e per chi lo ama sono annullate le profezie. Vedete questa bella vostra città? Più bella ancora la ritrovereste in Cielo se giungeste ad amare il Signor nostro Gesù, il Cristo di Dio”. Così diceva Simone, bonario e ispirato insieme, e tutti lo ascoltavano con attenzione e rispetto. Sì, rispetto. Poi da una via sono sbucati vociando dei cittadini armati di bastoni e pietre, e ci hanno visti e riconosciuti alla veste per forestieri, e forestieri, ora capisco, della tua razza, o Giuda, e ci hanno creduti della tua risma. Se non ci proteggevano quelli del naviglio si stava freschi! Hanno calato una scialuppa e ci hanno portati via per mare, facendoci scendere sulla spiaggia presso i giardini del mezzogiorno, e siamo tornati di là, insieme ai coltivatori dei fiori per i ricchi di qui.

   219.4 Ma tu, Giuda, rovini tutto! È quella la maniera di insolentire?».
   «È verità».
   «Va saputa usare. Anche Pietro non ha detto bugie, ma ha saputo parlare!», ribatte Natanaele.
   «Oh! io! Ho cercato di mettermi nel Maestro, pensando:
   “ Lui sarebbe dolce così. Io pure allora…”», dice semplicemente Pietro.
   «Io amo la maniera forte. È più regale».
   «La tua solita idea! Hai torto, Giuda. È un anno che il Maestro ti va correggendo da questa idea. Ma non ti presti alle correzioni. Sei tu pure ostinato nell’errore come questi filistei su cui ti avventi», rimprovera Simone lo Zelote.
   «Quando mai mi ha corretto per questo? E poi ognuno ha il suo modo e lo usa».
   Simone Zelote ha persino un sussulto sentendo queste parole e guarda Gesù che tace e che, a quello sguardo che ricorda, risponde con un lieve sorriso d’intesa.
   «Non è una ragione questa», dice calmo Giacomo d’Alfeo e continua: «Noi siamo qui per correggerci prima di correggere. Il Maestro è stato prima il maestro di noi. Non lo sarebbe stato se non avesse voluto che noi mutassimo le nostre abitudini e idee».
   «Era Maestro per la sapienza…».
   «Era? È», dice serio il Taddeo.
   «Quanti cavilli! È, sì, è».
   «È anche per il resto Maestro. Non solo per la sapienza. Il suo ammaestramento va a tutto quanto è in noi. Egli è perfetto, noi imperfetti. Sforziamoci dunque a diventarlo», consiglia dolcemente Giacomo d’Alfeo.
   «Non vedo di avere fatto colpa. È perché è una razza maledetta. Tutti perversi».
   «No. Non lo puoi dire», prorompe Tommaso.

   219.5 «Giovanni è andato fra gli infimi: i pescatori che portavano i pesci ai mercati. E guarda questo sacco umido. È pesce prelibato. Si sono levati il guadagno per darcelo. Per paura che non fosse fresco a sera quello del mattino, sono tornati in mare e ci hanno voluti con loro. Pareva di essere sul lago di Galilea e ti assicuro che, se il luogo lo ricordava, se lo ricordavano le barche colme di visi attenti, ancor più lo ricordava Giovanni. Pareva un altro Gesù. Le parole gli scendevano dolci come il miele dalla bocca ridente, e il suo viso sfavillava come un altro sole. Come ti assomigliava, Maestro! Io ero commosso. Siamo stati per tre ore sul mare, in attesa che le reti, stese fra i gavitelli, fossero colme di pesce, e sono state tre ore di beatitudine. Poi volevano vedere Te. Ma Giovanni ha detto: “Vi do appuntamento a Cafarnao”, così come avesse detto: “Vi do appuntamento sulla piazza del vostro paese”. Eppure hanno promesso: “Verremo” e hanno preso nota. E abbiamo dovuto lottare per non essere caricati di troppo pesce. Ci hanno dato di quello più fino. Andiamo a cuocerlo. Questa sera gran banchetto, per rifarci del digiuno di ieri».
   «Ma che hai detto mai?», chiede interdetto l’Iscariota.
   «Nulla di speciale. Ho parlato di Gesù», risponde Giovanni.
   «Ma come ne parli tu! Anche Giovanni ha preso i Profeti.
   Ma li ha capovolti», spiega Tommaso.
   «Capovolti?», chiede stupefatto l’Iscariota.
   «Sì. Tu dai Profeti hai estratto l’asprezza, egli la dolcezza.
   Perché, infine, il loro stesso rigore è amore, esclusivo, violento se vuoi, ma sempre amore verso le anime che vorrebbero tutte fedeli al Signore. Non so se lo hai mai riflettuto, tu, l’educato fra gli scribi. Io sì, per quanto sia orafo. Anche l’oro si martella e si crogiola, ma per farlo più bello. Non per odio, ma per amore. Così i Profeti con le anime. Io lo capisco, forse appunto perché sono orafo. Ha preso Zaccaria nella sua profezia[111] a carico di Adrac e Damasco e giunto al punto: “A tal vista Ascalona sarà presa da spavento e Gaza sarà in gran duolo e anche Accaron perché è svanita la sua speranza. Gaza non avrà più re”, si è messo a spiegare come tutto questo è venuto perché l’uomo si è staccato da Dio, e parlando della venuta del Messia, che è perdono di amore, ha promesso che da una povera regalità, quale i figli della Terra si augurano per la loro nazione, gli uomini che seguiranno il Messia nella sua dottrina giungeranno ad avere una regalità eterna e infinita nel Cielo. Dirlo è niente. Ma a sentirlo! Pareva di sentire una musica e di salire portato dagli angeli. Ed ecco che i Profeti, che a te hanno dato legnate, a noi hanno dato pesci squisiti».
   Giuda tace sconcertato.

   219.6 «E voi?», chiede il Maestro ai cugini e allo Zelote.
   «Noi siamo andati verso i cantieri, dove i calafati lavorano.
   Anche noi abbiamo preferito andare dai poveri. Ma c’erano anche ricchi filistei che sorvegliavano la costruzione dei loro navigli. Non sapevamo chi avrebbe parlato e allora come bambini abbiamo giocato ai punti. Giuda ha gettato fuori sette dita, io quattro, Simone due. Toccava a Giuda. E ha parlato», spiega Giacomo d’Alfeo.
   «Che hai detto?», chiedono tutti.
   «Mi sono francamente fatto conoscere per quello che sono, dicendo che alla loro ospitalità chiedevo la bontà di accogliere la parola del pellegrino che vedeva in loro tanti fratelli, avendo un’origine e una fine comune, e la speranza non comune, ma piena di amore, di poterli portare con sé nella casa del Padre e chiamarli “fratelli” in eterno, nella gran gioia del Cielo.
   Ho detto poi: “È detto[112] da Sofonia, il nostro profeta: ‘La regione del mare sarà luogo di pastori… ivi avranno i loro pascoli e la sera riposeranno nelle case di Ascalona’”, e ho svolto il pensiero dicendo: “Il Pastore supremo è giunto fra voi. Non armato di frecce, ma di amore. Vi tende le braccia, vi indica i suoi pascoli santi. Non ricorda il passato altro che per compassionare gli uomini del gran male che si fanno e che si sono fatti, come bimbi folli, con l’odio, mentre avrebbero potuto levare tanto dolore con l’amarsi a vicenda, perché fratelli sono. Questa terra”, ho detto, “sarà luogo di pastori santi, i servi del Pastore supremo che già sanno che qui avranno i loro pascoli più fertili e le greggi più buone, e il loro cuore, nella sera della loro vita, potrà riposare pensando ai vostri cuori, a quelli dei figli vostri, più familiari di case amiche perché avranno a padrone Gesù, Signore nostro”. Mi hanno capito. Mi hanno interrogato, anzi ci hanno interrogato. E Simone ha narrato la sua guarigione, mio fratello le tue bontà verso i poveri. La prova: eccola. Questa pingue borsa per i poveri che troveremo per via. Anche a noi i Profeti non hanno fatto male…».
   L’Iscariota non fiata.

   219.7 «Ebbene», conforta Gesù, «un’altra volta Giuda farà meglio. Egli ha creduto di fare bene facendo così. Avendo perciò agito con fine onesto non ha peccato in nessun modo. E Io sono contento anche di lui. Fare l’apostolo non è facile. Ma poi si impara. Una cosa mi spiace. Di non avere avuto questi denari prima e di non avervi trovato. Mi sarebbero occorsi per una famiglia disgraziata».
   «Possiamo tornare indietro. È presto ancora… Ma, scusa, Maestro. Come l’hai trovata? Che hai fatto Tu? Proprio nulla? Non hai evangelizzato?».
   «Io? Ho passeggiato. Col silenzio ho detto ad una meretrice: “Lascia il tuo peccato”. Ho trovato un bambino, monello alquanto, e l’ho evangelizzato scambiandoci dei regali. Io ho dato la fibbia che Maria Salome mi aveva messo alla veste a Betania, e lui mi ha dato questo suo lavoro», e Gesù si leva dalla veste il fantoccio caricaturale. Tutti osservano e ridono. «Poi sono andato a vedere degli splendidi tappeti che uno di Ascalona fa per venderli in Egitto e altrove… poi ho consolato una bambina senza padre e le ho guarita la madre. E basta».
   «E ti pare poco?».
   «Sì. Perché c’era bisogno anche di denaro e Io non ne avevo».
   «Ma torniamo dentro noi che… non abbiamo dato noia a nessuno», dice Tommaso.
   «E il tuo pesce?», scherza Giacomo di Zebedeo.
   «Il pesce? Ecco. Voi che siete… coll’anatema addosso andate dal vecchio che ci ospita e cominciate a preparare. Noi si va in città».
   «Sì», dice Gesù. «Però Io vi mostro la casa da lontano. Ci sarà gente. Io non vengo. Mi tratterrebbero. Non voglio offendere l’ospite che ci attende col mancare al suo invito. La scortesia è sempre anticarità».
   L’Iscariota abbassa ancora più il capo e diviene paonazzo, tanto cambia colore ricordando quante volte lui è caduto in quella colpa.
   Gesù riprende: «Voi andate nella casa e cercate della bambina, non c’è che lei di fanciulla, non potete sbagliare. Le darete questa borsa e direte: “Questa te la manda Iddio perché hai saputo credere. Per te, la mamma e i fratellini”. Non di più. E venite subito indietro. Andiamo».
   E il gruppo si divide, andando Gesù con Giovanni, Tommaso e i cugini in città, mentre gli altri vanno verso la casa dell’ortolano filisteo.

[110] Geremia, nel suo oracolo contro i filistei: Geremia 47.
[111] profezia, che è in: Zaccaria 9, 1-8.
[112] È detto, nella profezia di: Sofonia 2, 4-7.