MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 222



CCXXII. Un segreto dell'apostolo Giovanni.

   18 luglio 1945.

   222.1 I colli dopo Jabnia, in direzione da ovest a est rispetto alla stella polare, aumentano le loro altezze e dietro sempre più se ne vedono sorgere di più alti e ancora più alti. Lontano, nell’ultima luce della sera, si profilano i gioghi verdi e violetti delle montagne giudee.
   Il giorno è caduto rapidamente, come fa nei luoghi meridionali. Dall’orgia di rosso del tramonto è passato in meno di un’ora al primo scintillio delle stelle, e pare impossibile che l’incendio solare si sia spento così rapido, annullando il sanguigno del cielo con una velatura sempre più spessa di ametista sanguigno e poi di un malva che trascolora e si fa sempre più trasparente per lasciare scorgere un cielo irreale, non azzurro ma verde pallido, che poi si infosca in un color glauco di avene novelle, preludio all’indaco che regnerà nella notte trapungendosi di diamanti come un manto regale. E le prime stelle ridono già a oriente insieme ad un falcetto di luna nel suo primo quarto. La terra si imparadisa sempre più sotto la luce degli astri e nel silenzio degli uomini. Ora cantano le cose che non peccano: gli usignoli, le acque che arpeggiano, le fronde che frusciano, i grilli che sviolinano e i rospi che fanno punteggiati d’oboe cantando alla rugiada. Forse cantano anche le stelle lassù… Esse che sono più vicine agli angeli di noi. L’incendio del calore si spegne sempre più nell’aria della notte che è umida di rugiade, così dolci alle erbe ed agli uomini e animali!

   222.2 Gesù, che ha atteso alla base di una collina gli apostoli uscenti da Jabnia, dove Giovanni è andato a prenderli, parla ora fitto fitto con l’Iscariota, consegnandogli dei sacchetti di monete e dandogli istruzioni sul modo di ripartirle. Dietro a Lui è Giovanni, che tiene il capro e che tace fra lo Zelote e Bartolomeo che parlano di Jabnia in cui si fecero bravi Andrea e Filippo. Dietro ancora, in gruppo, tutti gli altri, gruppo vociante che fa come un riassunto delle avventure in terra filistea e mostra chiaramente la sua gioia per il prossimo ritorno in Giudea per la Pentecoste.
   «Ma ci andremo proprio subito?», chiede Filippo, molto stanco di correre per sabbie infuocate.
   «Così ha detto il Maestro. Lo hai sentito», risponde Giacomo d’Alfeo.
   «Mio fratello lo sa certo. Ma pare trasognato. Cosa abbiano fatto in questi cinque giorni è un mistero», dice Giacomo di Zebedeo[113].
   «Già. E io non ne posso più dalla voglia di sapere. Almeno questo per premio di quella… purga a Jabnia. Cinque giorni sorvegliandosi ad ogni parola, sguardo o passo per non andare in guai», dice Pietro.
   «Ci siamo riusciti però. Cominciamo a saper fare», dice contento Matteo.
   «Veramente… ho tremato due o tre volte. Quel benedetto ragazzo di Giuda di Simone!… Ma non imparerà mai a moderarsi?», dice Filippo.
   «Quando sarà vecchio. Eppure, se si vuole, lo fa a scopo buono. Hai sentito? Anche il Maestro lo ha detto. Lo fa per zelo…», scusa Andrea.
   «Va’ là! Il Maestro ha detto così perché è la Bontà e la Prudenza. Ma non credo che lo approvi», dice Pietro.
   «Non mente Lui», ribatte il Taddeo.
   «Mentire no. Ma sa mettere nelle risposte tutta la prudenza che noi non sappiamo metterci, e dice il vero senza far sanguinare il cuore a nessuno, senza eccitare sdegni, suscitare rimproveri. Eh! Lui è Lui!», sospira Pietro.

   222.3 Un silenzio mentre camminano fra il biancore sempre più netto della luna. Poi Pietro dice a Giacomo di Zebedeo: «Prova a chiamare Giovanni. Non so perché ci eviti».
   «Te lo dico io subito: perché sa che noi lo tormenteremmo per sapere», risponde Tommaso.
   «Già! E sta coi due più prudenti e saggi», conferma Filippo.
   «Ebbene, prova lo stesso, Giacomo, sii buono», insiste Pietro.
   E Giacomo, condiscendente, chiama per tre volte Giovanni, che non ode o fa mostra di non sentire. Si volge invece Bartolomeo, al quale Giacomo dice: «Di’ a mio fratello di venire qui», e poi a Pietro: «Ma non credo che sapremo».
   Giovanni, ubbidiente, viene subito e chiede: «Che volete?».
   «Sapere se da qui si va diritti in Giudea», dice suo fratello.
   «Così ha detto il Maestro. Non voleva quasi tornare indietro da Acron e voleva mandarvi a prendere da me. Ma poi ha preferito venire fino alle ultime pendici… Tanto si va in Giudea anche di qui».
   «Per Modin?».
   «Per Modin».
   «È via insicura. I malfattori vi aspettano le carovane e fanno colpi di mano», obbietta Tommaso.
   «Oh!… con Lui!… Non resiste nulla a Lui!…». Giovanni alza al cielo un viso rapito in chissà che ricordi e sorride.
   Tutti lo osservano e Pietro dice: «Di’ un po’, stai leggendo una beata storia sul cielo stellato che hai quel volto?».
   «Io? No…».
   «Va’ là! Lo vedono anche le pietre che sei lontano dal mondo. Di’: cosa ti è successo ad Acron?».
   «Ma nulla, Simone. Te lo assicuro. Non sarei beato se fosse accaduto qualche che di penoso».
   «Non penoso. Anzi!… Su! Parla!».
   «Ma non ho nulla da dire più che Egli non abbia detto. Furono buoni come esseri stupiti dai miracoli. Ecco tutto. Proprio come Lui ha detto».

   222.4 «No», e Pietro scuote il capo. «No. Non sai mentire. Sei limpido come acqua sorgiva. No. Cambi colore. Ti conosco da quando eri bambino. Non potrai mai mentire. Per incapacità del cuore, del pensiero, della lingua e fin della pelle che cambia colore. Per questo ti voglio tanto bene e te ne ho sempre voluto. Su, vieni qui, dal tuo vecchio Simone di Giona, dal tuo amico. Ti ricordi quando eri fanciullo e io ero già uomo? Come ti coccolavo? Volevi le storie e le barchette di sughero “che non fanno mai naufragio” dicevi, e che ti servivano ad andare lontano… Anche ora vai lontano e lasci a riva il povero Simone. E la tua barchetta non farà mai naufragio. Se ne va colma di fiori come quelle che varavi bambino a Betsaida, nel fiume, perché il fiume le portasse al lago, e andassero, andassero. Te lo ricordi? Ti voglio bene, Giovanni. Tutti te ne vogliamo. Sei la nostra vela. Sei la nostra barca che non naufraga. Ci porti nella tua scia. Perché non ci dici il prodigio di Acron?».
   Pietro ha parlato tenendo avvinto con un braccio alla vita Giovanni, il quale cerca di eludere la domanda dicendo: «E tu, che sei il capo, perché non parli alle folle con questa intensità persuasiva che usi con me? Esse hanno bisogno di essere convinte. Non io».
   «Perché con te mi sento a mio agio. Ti amo, te. Esse non le conosco», si scusa Pietro.
   «E non le ami. Ecco il tuo errore. Amale, anche se non le conosci. Di’ a te stesso: “Sono del Padre nostro”. Vedrai che ti parrà di conoscerle e le amerai. Vedi in esse tanti Giovanni…».
   «Presto detto! Come se gli aspidi o gli istrici possano essere scambiati con te, fanciullo eterno».
   «Oh! no! Sono come tutti».
   «No, fratello. Non come tutti. Noi, meno forse Bartolomeo, Andrea e lo Zelote, avremmo già detto anche alle erbe ciò che ci è accaduto e che ci fa beati. Tu taci. Però a me, al tuo fratello maggiore, lo devi dire. Ti sono come un padre», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Il Padre è Dio, il Fratello è Gesù, la Madre è Maria…».
   «Sicché il sangue per te non è più nulla?», grida inquieto Giacomo.
   «Non ti inquietare. Io benedico il sangue e il seno che mi hanno formato: padre e madre; e benedico te, fratello uguale nel sangue; ma perché i primi mi hanno generato e allevato per permettermi di seguire il Maestro, e tu perché lo segui. La madre, da quando è discepola, io la amo in due maniere: colla carne e il sangue, da figlio; con lo spirito, da suo condiscepolo. Oh! gioia di essere uniti nell’amore di Lui!…».

   222.5 Gesù è tornato indietro sentendo la voce inquieta di Giacomo, e le ultime parole lo illuminano sul caso. «Lasciate stare Giovanni. Inutilmente lo tormentate. Egli ha molte somiglianze con la Madre mia. E non parlerà».
   «Dillo Tu, allora, Maestro», supplicano tutti.
   «Ebbene, ecco. Ho portato con Me Giovanni perché il più adatto per quanto volevo fare. Io ne sono stato aiutato, egli perfezionato. È detto».
   Pietro, Giacomo fratello di Giovanni, Tommaso, l’Iscariota si guardano, torcendo un poco la bocca, disillusi. E Giuda Iscariota non si limita ad essere disilluso, lo dice: «Perché perfezionare lui che è già il migliore?».
   Gesù gli risponde: «Tu hai detto: “Ognuno ha il suo modo e lo usa”. Io ho il mio. Giovanni il suo, molto simile al mio. Il mio non può perfezionarsi. Il suo sì. E questo Io voglio che sia, perché è bene che così sia. E per questo l’ho preso. Perché avevo bisogno di uno che avesse quel modo e quell’animo. Perciò non malumori e non curiosità. Andiamo a Modin. La notte è serena, fresca e luminosa. Cammineremo finché dura la luna e poi dormiremo fino all’alba. Porterò i due Giuda a venerare le tombe[114] dei Maccabei, dei quali essi portano il nome glorioso».
   «Noi soli con Te!», dice l’Iscariota felice.
   «No. Con tutti. Ma la visita alla tomba dei Maccabei è per voi. Perché li sappiate imitare soprannaturalmente, portando lotte e vittorie in un campo tutto spirituale».

[113] dice Giacomo di Zebedeo è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.
[114] tombe, di cui si parla in: 1 Maccabei 2, 70; 9, 19; 13, 23-30.