MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 224



CCXXIV. Svelato il segreto dell'apostolo Giovanni. L'arrivo a Bètér, nei roseti di Giovanna di Cusa.

   20 luglio 1945.

   224.1 La comitiva apostolica ha subìto una mutazione nel suo seguito animale. Non c’è più il caprone e in cambio ci sono una pecora e due agnellini. La pecora grassa e dal petto pieno, gli agnellini ilari come due monelli. Un minuscolo gregge che, per essere di aspetto meno magico dell’ariete nerissimo, fa più contenti tutti.
   «Ve lo avevo detto che sarebbe venuta la capretta per fare di Marziam un minuscolo pastore felice. Invece della capretta, posto che di capre non ne volete sapere, ecco che sono venute le pecore. E bianche. Proprio come Pietro le sognava».
   «Ma certo! Mi pareva di tirarmi dietro Belzebù!», dice Pietro.
   «Infatti da quando era con noi ne sono successe delle brutte vicende. Era il sortilegio che ci inseguiva», conferma l’Iscariota irritato.
   «Un buon sortilegio allora. Perché che cosa ci è proprio successo di male?», dice calmo Giovanni.
   Tutti gli dànno la voce come per rimproverarlo della sua cecità. «Ma non hai visto a Modin come siamo stati beffati?», «E ti pare niente quella caduta che ha fatto mio fratello? Poteva essersi rovinato. Come facevamo a portarlo via di là se si era rotto le gambe o la spina?», «E ieri notte ti è parso bello l’intermezzo?».
   «Ho visto tutto, ho considerato tutto e ho benedetto il Signore perché non ci è accaduto niente di male. Il male è venuto verso di noi e poi è fuggito, come sempre, e certo l’incontro è servito a lasciare dei semi di bene tanto a Modin come presso i
   vignaioli, accorsi con la certezza di trovare almeno un ferito e col pentimento di essere stati senza carità, tanto che hanno voluto riparare; come presso i ladroni di ieri notte. Non hanno fatto nulla di male e noi, ossia Pietro, ci ha guadagnato le pecorelle in cambio del capro e per regalo di essere stati salvati, e i poveri hanno ora molto denaro per le borse date dai mercanti e le offerte delle donne. E tutti, ciò che ha più valore, hanno raccolto la parola di Gesù».
   «Giovanni ha ragione», dicono lo Zelote e Giuda Taddeo. E quest’ultimo termina: «Sembra proprio che ogni cosa avvenga per una netta cognizione delle cose avvenire. Trovarsi proprio là, in ritardo, per causa della mia caduta, insieme a quelle donne ingioiellate, a quei pastori dal pingue gregge, a quei mercanti imbottiti di denaro, magnifiche prede per i ladroni!

   224.2 Fratello, dimmi la verità. Sapevi che ciò sarebbe avvenuto?», chiede il Taddeo a Gesù.
   «Vi ho detto molte volte che leggo nei cuori e che, quando il Padre non dispone diversamente, non ignoro ciò che deve accadere».
   «Ma allora perché delle volte fai degli errori, come quello di andare verso farisei ostili o in città tutte ostili?», chiede Giuda Iscariota.
   Gesù lo guarda fisso fisso e poi dice calmo e lento: «Non sono errori. Sono necessità della mia missione. Del medico hanno bisogno i malati e del maestro gli ignoranti. Tanto questi che quelli talora respingono il medico o il maestro. Ma essi, se sono un buon medico e un buon maestro, continuano ad andare da chi li respinge perché è loro dovere di andare. Io vado. Voi vorreste che dove mi presento cadesse ogni resistenza. Lo potrei fare. Ma Io non violento nessuno. Persuado. La coercizione va usata in casi eccezionalissimi e solo quando lo spirito illuminato da Dio comprende che essa può servire a persuadere che Dio è, ed è il più forte, oppure in casi di salvezza multipla».
   «Come ieri sera, eh?», chiede Pietro.
   «Ieri sera quei ladroni ebbero paura vedendoci ben desti a riceverli», dice con palese sprezzo l’Iscariota.
   «No. Sono stati persuasi dalle parole», dice Tommaso.
   «Sì! Stai fresco! Sono proprio anime tenere che si persuadono per due parole, anche se di Gesù! Lo so io quella volta che fummo assaliti io con tutta la famiglia e molti di Betsaida nella gola di Adomin!», risponde Filippo.
   «Maestro, dimmi un po’. È da ieri che te lo voglio chiedere. Ma insomma sono state le tue parole o la tua volontà a non far succedere niente?», domanda Giacomo di Zebedeo.
   Gesù sorride e tace.
   Risponde Matteo: «Io credo che sia stata la sua volontà a superare la durezza di quei cuori, a paralizzarla quasi per potere parlare e salvare».
   «Anche io dico che è così. È per questo che Egli è rimasto là solo, a guardare il bosco. Li teneva soggiogati col suo sguardo, con la sua fiducia in loro, con la sua calma inerme. Neppure un bastone aveva!…», dice Andrea.
   «Va bene. Ma tutto questo lo diciamo noi. Sono idee nostre. Io lo voglio sapere dal Maestro», dice Pietro.
   Succede una discussione vivace, che Gesù lascia fare, fra chi dice che, avendo Gesù dichiarato che Egli non forza nessuno, non avrà usato violenza neppure a questi ladroni. E questo lo dice Bartolomeo, mentre l’Iscariota, appoggiato seppure blandamente da Tommaso, dice che egli non può credere che lo sguardo di un uomo possa tanto.
   Matteo ribatte dicendo: «Questo e più ancora. Io sono stato convertito dal suo sguardo prima ancora che dalle parole».
   I “sì” e i “no” sono contrastanti, violenti, essendo tenace ognuno nella propria tesi. Giovanni tace come Gesù, e sorride stando a capo chino per tenere nascosto il suo sorriso.
   Pietro torna all’assalto, perché nessuna ragione dei compagni lo persuade. Pensa e dice che lo sguardo di Gesù è diverso da quello di un uomo qualunque, e vuole sapere se è perché è Gesù, il Messia, o se è perché è sempre Dio.

   224.3 Gesù parla: «In verità vi dico che non Io solo, ma chiunque sarà fuso a Dio con una santità, una purezza, una fede senza incrinature, potrà fare questo e più ancora. Lo sguardo di un fanciullo, se il suo spirito è unito a quello di Dio, può far crollare i templi vani senza usare lo scuotio di Sansone, comandare mitezza alle belve e agli uomini-belva, respingere la morte, vincere le malattie dello spirito, come la parola di un fanciullo fuso al Signore e strumento del Signore può anche sanare i morbi, levare il veleno ai serpenti, operare ogni miracolo. Perché Dio opera in lui».
   «Ah! ho capito!», dice Pietro. E guarda, guarda, guarda Giovanni. E termina, poi, tutto un ragionamento dentro di sé dicendo ad alta voce: «Ecco! Tu, Maestro, hai potuto perché Dio e perché sei Uomo unito a Dio. E così succede di chi sa giungere, o è già giunto, ad essere unito a Dio. Ho capito! Ho proprio capito!».
   «Ma non ti chiedi la chiave di questa unione, né il segreto di questo potere? Non tutti ci giungono fra gli uomini che pure hanno gli stessi requisiti di riuscita».
   «Giusto! Dove è la chiave di questa forza per unirsi a Dio e per piegare le cose? Una preghiera o delle parole segrete…».
   «Poco fa Giuda di Simone accusava il capro di tutte le vicende che ci sono occorse. Non ci sono sortilegi connessi alle bestie. Cacciate le superstizioni che sono ancora idolatrie e che possono causare sventure. E come non ci sono formule per compiere stregonerie, così non ci sono parole segrete per compiere miracoli. C’è solo l’Amore. Come ho detto ieri sera, l’Amore calma i violenti e sazia gli avidi. L’Amore: Dio. Con Dio in voi, pienamente posseduto per merito di un amore perfetto, l’occhio diviene fuoco che brucia ogni idolo e ne atterra i simulacri, la parola diviene potenza. E ancora: l’occhio diviene arma che disarma. Non si resiste a Dio, all’Amore. Solo il demonio vi resiste perché è l’Odio perfetto, e con esso vi resistono i suoi figli. Gli altri, i deboli posseduti da una passione, ma non vendutisi volontariamente al demonio, non vi resistono. Quale che sia la loro religione o il loro assenteismo da ogni fede, quale che sia il loro livello di bassezza spirituale, vengono colpiti dall’Amore che è il grande Vittorioso. Cerca di giungere a questo, e presto, e farai ciò che fanno i figli di Dio e portatori di Dio».

   224.4 Pietro non leva gli occhi da Giovanni; anche lo Zelote, i figli di Alfeo, e Giacomo con Andrea, hanno l’intelligenza risvegliata e indagatrice.
   «Ma allora, Signore», dice Giacomo di Zebedeo, «che è avvenuto a mio fratello? Tu parli di lui. È lui il fanciullo che fa miracoli! È questo? È così?».
   «Che ha fatto? Ha voltato una pagina del libro della Vita ed ha letto e conosciuto nuovi misteri. Nulla di più. Vi ha preceduto perché non si ferma a considerare ogni ostacolo, a soppesare ogni difficoltà, a calcolare ogni utile. Ma non vede la Terra, più. Vede la Luce e va a quella. Senza soste. Ma lasciatelo stare. Le anime che consumano più fiamma non vanno disturbate nel loro ardere che letifica e consuma. Bisogna lasciarle ardere. È somma gioia ed è somma fatica. Dio concede loro attimi di notte perché conosce che l’ardore uccide le anime-fiori, se esposte ad un sole continuo. Dio concede silenzio e rugiade mistiche a queste anime-fiori così come ai fiori dei campi. Lasciate l’atleta dell’amore in riposo quando Dio ve lo lascia. Imitate i ginnasiarchi che concedono ai loro allievi i dovuti riposi… Quando sarete giunti voi pure dove egli è già giunto, e oltre, perché oltre andrete tanto voi che lui, comprenderete il bisogno di rispetto, di silenzio, di penombra che provano le anime che l’Amore ha fatto sua preda e suo strumento. Non vi pensate: “Io allora avrò piacere che sia noto, e Giovanni è uno stolto, perché le anime del prossimo come quelle di bambini vogliono essere sedotte dal meraviglioso”. No. Quando sarete giunti lì, avrete lo stesso desiderio di silenzio e di penombra che ora ha Giovanni. E quando Io non sarò più fra voi, ricordate che, dovendo giudicare di una conversione e di una potenza di santità, dovete sempre tenere per misura l’umiltà. Se in uno perdura orgoglio non illudetevi che sia convertito. E se in uno anche detto “santo” regna superbia, siate certi che santo non è. Potrà ciarlatanescamente e ipocritamente fare il santo, simulare prodigi. Ma non è tale. L’apparenza è ipocrisia, i prodigi satanismo. Avete capito?».
   «Sì, Maestro»… Tacciono tutti molto pensierosi. E se le bocche stanno chiuse, i pensieri si indovinano chiari dai loro sguardi, dalle loro espressioni. Una grande voglia di sapere tremola come un etere intorno a loro, emanandosi da loro…

   224.5 Lo Zelote si studia di distrarre i compagni per avere tempo di parlare loro in disparte e certo consigliarli ancora a tacere. Ho l’impressione che lo Zelote abbia molto questo ministero nel gruppo apostolico. È il moderatore, il conciliatore, il consigliere dei compagni, oltre che essere colui che capisce tanto bene il Maestro.
   Ora dice: «Siamo già nelle terre di Giovanna. Quel paese in quella cuna è Bètér. Quel palazzo su quella cima è il suo castello natale. Sentite nell’aria questo profumo? Sono i roseti che cominciano a profumare al sole del mattino. A sera è una potenza di fragranze. Ma ora è tanto bello vederli, in questa freschezza del mattino, ancora spolverati di rugiada come di milioni di diamanti gettati su milioni di corolle che si aprono. Quando cade il sole vengono colti tutti i fiori giunti a completo sboccio. Venite. Vi voglio mostrare da un poggetto la vista dei roseti che dalla cima traboccano come da una cascata giù per le balze dell’altro versante. Una cascata di fiori che poi torna a salire come un’onda su per altre due colline. Un anfiteatro, un lago di fiori. È splendido. La via è più ripida. Ma merita di farla perché da quello scrimolo si domina tutto questo paradiso. E giungeremo presto anche al castello. Giovanna vi vive libera, in mezzo ai suoi contadini, unica guardia a tanta dovizia. Ma essi amano tanto la loro padrona, che fa di queste valli un eden di bellezza e di pace, che valgono meglio di tutte le guardie di Erode. Ecco, guarda, Maestro. Guardate, amici», e col gesto indica un semicerchio di colli invasi dai roseti.
   Da ogni parte l’occhio si posi, vede sotto altissimi alberi, dalle funzioni di riparo ai venti, ai raggi troppo cocenti e alle grandinate, roseti e roseti. Il sole circola e l’aria anche, sotto a questo tetto leggero che fa velo ma non opprime, tenuto nelle dovute regole dai giardinieri, e sotto vivono felici i più bei roseti del mondo. Sono migliaia e migliaia di piante d’ogni specie di rose. Roseti nani, bassi, alti, altissimi. Messi a ciuffi come cuscini trapunti di fiori ai piedi degli alberi, sui prati di erba verdissima, o a siepi lungo i sentieri, a lato dei rivi, in cerchio intorno alle vasche di irrigazione, sparse per questo parco che comprende colline, oppure attorcigliati ai fusti degli alberi, colle capigliature fiorite gettate da tronco a tronco a fare festoni e ghirlande. Una cosa veramente di sogno. Tutte le grossezze, le sfumature sono presenti e si intrecciano mettendo i colori di avorio delle tea presso il sanguinante ardore di altre corolle, e regnando sovrane, per numero, le vere rose dal colore di guancia infantile che sfuma nei contorni nel bianco sfumato di rosa.
   Restano tutti colpiti da tanta bellezza.
   «Ma che se ne fa di tutto questo?», chiede Filippo.
   «Se lo gode», risponde Tommaso.
   «No. Ne trae anche essenze dando lavoro a centinaia di servi giardinieri e addetti agli strettoi delle essenze. I romani ne sono avidi. Gionata me lo diceva mostrandomi i conti dell’ultimo raccolto.

   224.6 Ma ecco là Maria d’Alfeo col bambino. Ci hanno 224.6 visti e chiamano le altre…».
   Infatti ecco che Giovanna e le due Marie, precedute da Marziam che scende di corsa, a braccia già pronte all’abbraccio, verso Gesù e Pietro, vengono svelte e si prostrano davanti a Gesù.
   «La pace a voi tutte. Mia Madre dove è?».
   «Fra i roseti, Maestro. Con Elisa. Oh! è ben guarita! Può affrontare il mondo e seguire Te. Grazie di avermi usata per questo».
   «Grazie a te, Giovanna. Vedi che era utile venire in Giudea? Marziam, ecco i regali per te. Questo bel fantoccino e queste belle pecorelle. Ti piacciono?».
   Il bambino è senza fiato dalla gioia. Si tende verso Gesù, che si è curvato per dargli il pupazzo ed è rimasto così per guardarlo in viso, e gli si stringe al collo, baciandolo con tutta la veemenza possibile.
   «Così ti fai mite come le pecorelle e diventi poi un buon pastore per i credenti in Gesù. Non è vero?».
   Marziam dice sì, sì, sì, col fiato mozzo, con gli occhi fatti lucidi di gioia.
   «Ora vai da Pietro ché Io vado da mia Madre. Ne vedo là un lembo di velo che scorre lungo una siepe di rose».
   E corre da Maria ricevendola sul cuore alla svolta del sentiero. Dopo il primo bacio Maria spiega, ancora affannata:
   «Dietro è Elisa… Sono corsa per baciarti… perché non baciarti, Figlio mio, non potevo… e baciarti di fronte a lei non volevo… È molto mutata… Ma il cuore duole sempre davanti alle gioie altrui, per sempre a lei negate. Eccola che viene».
   Elisa fa svelta gli ultimi passi e si inginocchia a baciare la veste di Gesù. Non è più la tragica donna di Betsur. Ma una vecchia austera, segnata dal dolore e imponente per la traccia che esso le ha lasciato sul volto e nello sguardo.
   «Che Tu sia benedetto, Maestro mio, ora e sempre, per avermi reso ciò che avevo perduto».
   «Sempre più pace a te, Elisa. Sono contento di trovarti qui.
   Alzati».
   «Io pure contenta. Ho tante cose da dirti e da chiederti, Signore».
   «Ne avremo tutto il tempo, perché sosterò qui qualche giorno. Vieni, che ti faccio conoscere i condiscepoli».
   «Oh!! Hai dunque già compreso ciò che ti volevo dire?! Che io voglio rinascere a vita nuova: la tua; rifarmi una famiglia: la tua; dei figli: i tuoi; come Tu hai detto parlando di Noemi, in casa mia, a Betsur. Noemi novella sono io in grazia tua, Signore mio. Che Tu ne sia benedetto. Non sono più amara e non infeconda. Ancora madre sarò. E se Maria lo permette, un poco anche madre tua, oltre che dei figli della tua dottrina».
   «Sì. Lo sarai. Maria non ne sarà gelosa ed Io ti amerò in modo da non farti rimpiangere di essere venuta. Andiamo ora da quelli che vogliono dirti che ti amano come fratelli». E Gesù la prende per mano conducendola presso la sua nuova famiglia.
   Il viaggio in attesa della Pentecoste è finito.