MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 194



CXCIV. La rivelazione al piccolo Jabé durante il cammino da Sichem a Berot.

   19 giugno 1945.

   194.1 Come un fiume che si arricchisce per sempre nuovi affluenti, così la via che da Sichem va a Gerusalemme si fa sempre più folta di popolo, man mano che da altre vie secondarie i paesi riversano i fedeli diretti alla Città santa. Cosa che aiuta non poco Pietro nel tenere distratto il bambino che rasenta i colli natii, sotto le cui zolle franate sono sepolti i genitori, senza avvedersene.
   Dopo una lunga marcia, interrotta – dopo che Silo, erta sul suo monte, è stata lasciata a sinistra – per prendere riposo e cibo in una verde vallata sonante d’acque pure e cristalline, i gitanti si rimettono in cammino e superano un monticello calcareo, piuttosto nudo, su cui il sole picchia senza misericordia. Si inizia la discesa per una serie di vigneti bellissimi, che mettono i loro festoni sulle balze dei monti calcarei, ma solatii al sommo.
   Pietro ha un arguto sorriso e fa un cenno a Gesù, che a sua volta sorride. Il bambino non si accorge di nulla, intento come è ad ascoltare Giovanni di Endor che gli parla di altre terre da lui viste e nelle quali crescono uve dolcissime, che però non servono tanto al vino quanto a fare dolciumi più buoni delle focacce di miele.

   194.2 Ecco una nuova salita molto ripida poiché, lasciata la via maestra, polverosa e affollata, la comitiva ha preferito prendere questa scorciatoia boscosa. E, giunti alla cima, ecco in lontananza splendere, già distintamente, un mare lucente, sospeso sopra un agglomerato bianco, forse case nitide di calcina.
   «Jabé», chiama Gesù, «vieni qui. Vedi quel punto d’oro? È la Casa del Signore. Là tu giurerai di ubbidire alla Legge. Ma la conosci bene?».
   «La mamma me ne parlava e il padre mi insegnava i precetti. So leggere e… e credo sapere ciò che “essi” mi hanno detto prima di morire…». Il bambino, che è accorso con un sorriso alla chiamata di Gesù, piange ora, col capino basso e la mano che trema nella mano di Gesù.
   «Non piangere. Senti. Sai dove siamo? Questa è Betel. Qui il santo Giacobbe fece il suo sogno angelico. Lo sai? Lo ricordi?».
   «Sì, Signore. Vide una scala che toccava dalla Terra al Cielo, e su e giù andavano gli angeli, e la mamma mi diceva che nell’ora della morte, se si era stati sempre buoni, si vedeva la stessa cosa e si andava per quella scala alla Casa di Dio. Tante cose mi diceva la mamma… Ma ora non me le dirà più… le ho tutte qui ed è tutto quello che ho di lei…». Le lacrime scendono sul visetto tanto triste.
   «Ma non piangere così! Senti, Jabé. Ho anche Io una Madre che si chiama Maria, e che è santa e buona e sa dire tante cose. È più sapiente di un maestro, e più buona e bella di un angelo. Ora andiamo da Lei. Ti vorrà tanto bene. Ti dirà tante cose. E poi con Lei è la mamma di Giovanni, anche lei tanto buona e di nome Maria. E la madre di mio fratello Giuda, anche lei dolce come un pan di miele, e anche lei ha nome Maria. Ti vorranno tanto bene. Ma tanto. Perché sei un bravo bambino, e per amor mio che ti amo tanto. E poi tu crescerai con loro e fatto grande sarai un santo di Dio, predicherai come un dottore il Gesù che ti ha ridato una madre qui, e che aprirà le porte dei Cieli alla tua madre morta, al padre tuo, e che te l’aprirà anche a te, alla tua ora. Tu non avrai neppure bisogno di salire la lunga scala dei Cieli all’ora della morte. L’avrai già salita durante la vita tua, essendo un buon discepolo, e ti troverai là, alla soglia aperta del Paradiso, ed Io ci sarò e ti dirò: “Vieni, amico mio e figlio di Maria” e staremo insieme».
   Il sorriso fulgido di Gesù, che cammina un poco curvo per essere più vicino al visetto alzato del bambino che gli cammina a lato con la manina nella sua, e il racconto meraviglioso rasciugano le lacrime e fanno spuntare un sorriso.

   194.3 Il bambino, che deve essere tutt’altro che stolto, ma che è solo intontito dal tanto dolore e privazione che ha patito, interessato alla storia chiede: «Ma Tu dici che aprirai le porte dei Cieli. Non sono serrate per il gran Peccato? La mamma mi diceva che nessuno poteva entrare finché non fosse venuto il perdono e che i giusti lo attendevano nel Limbo».
   «Così è. Ma poi Io andrò al Padre dopo avere predicato la parola di Dio e… e avervi ottenuto il perdono, e dirò: “Padre mio, ora tutta la tua volontà Io l’ho compiuta. Ora Io voglio il mio premio per il mio sacrificio. Vengano, i giusti che attendono, al tuo Regno”. E il Padre mi dirà: “Sia come Tu vuoi”. Ed allora Io scenderò a chiamare tutti i giusti, e il Limbo aprirà le sue porte al suono della mia voce, e usciranno esultanti i santi Patriarchi, i luminosi Profeti, le donne benedette d’Israele e poi, sai quanti bambini? Come un prato in fiore di bambini di ogni età! E cantando mi verranno dietro, ascendendo al bel Paradiso».
   «E ci sarà la mia mamma?».
   «Certamente».
   «Tu non mi hai detto che ci sarà con Te sulla porta del Cielo quando sarò anche io morto…».
   «Ella, e con lei il padre tuo, non avranno bisogno di essere su quella porta. Come fulgidi angeli intrecceranno sempre voli dal Cielo alla Terra, da Gesù al piccolo loro Jabé, e quando tu sarai per morire faranno come fanno quei due uccellini, là, in quella siepe. Li vedi?». Gesù prende in braccio il bambino perché veda meglio. «Vedi come stanno sulle loro piccole uova? Attendono che si schiudano e dopo stenderanno le ali sulla loro covata per proteggerla da ogni male e poi, quando sarà cresciuta e pronta al volo, la sorreggeranno con le loro forti ali portandola su, su, su… verso il sole. I tuoi parenti faranno così con te».
   «Proprio così sarà?».
   «Proprio così».
   «Ma Tu glielo dirai di ricordarsi di venire?».
   «Non ce ne sarà bisogno perché essi ti amano, ma Io lo dirò loro».
   «Oh! come ti voglio bene!». Il bambino, ancora in braccio a Gesù, gli si stringe al collo e lo bacia con una espansione così gioiosa che commuove.
   Gesù ricambia il bacio e lo posa.

   194.4 «Oh! bene! Ora andiamo avanti. Verso la Città santa. Dobbiamo arrivarci verso sera di domani. Perché tanta fretta? Me lo sai dire? Non sarebbe lo stesso arrivare dopo domani?».
   «No. Non sarebbe lo stesso. Perché domani è Parasceve e dopo il tramonto non si cammina che per sei stadi. Oltre non si può perché è incominciato il sabato e il suo riposo».
   «Si ozia dunque in sabato».
   «No. Si prega il Signore altissimo».
   «Come si chiama?».
   «Adonai. Ma i santi possono dire il suo Nome».
   «Anche i bambini buoni. Dillo se lo sai».
   «Jaavé» (questo piccolo dice così: un G molto dolce che diviene quasi un J, e l’a molto lunga[56]).
   «E perché si prega il Signore altissimo al sabato?».
   «Perché Egli lo ha detto a Mosè, dandogli le tavole della Legge».
   «Ah, sì? E che ha detto?».
   «Ha detto di santificare il sabato. “Lavorerai per sei giorni, ma il settimo riposerai e farai riposare, perché così ho fatto Io pure dopo la creazione”».
   «Come? Il Signore si è riposato? Si era stancato a creare? E ha proprio creato Lui? Come lo sai? Io so che Dio non si stanca mai».
   «Non si era stancato perché Dio non cammina e non muove le braccia. Ma lo ha fatto per insegnare ad Adamo, e a noi, e per avere un giorno in cui noi si pensi a Lui. E ha creato Lui, tutto, sicuro. Lo dice il Libro del Signore».
   «Ma il Libro è stato scritto da Lui?».
   «No. Ma è la Verità. E va creduto per non andare da Lucifero».
   «Mi hai detto che Dio non cammina e non muove le braccia.
   Come allora ha creato? Come è? Una statua?».
   «Non è un idolo, è Dio. E Dio è… Dio è… lasciami pensare e ricordare come diceva la mamma mia, e meglio ancora di lei quell’uomo che va in tuo nome a trovare i poveri di Esdrelon… La mamma diceva, per farmi capire Dio: “Dio è come il mio amore per te. Non ha corpo, ma pure c’è”. E quell’uomo piccolo, con un sorriso così dolce, diceva: “Dio è uno Spirito eterno, uno e trino, e la seconda Persona ha preso carne per amore di noi, poveri, ed ha nome…”. Oh! mio Signore! Ma ora che ci penso… sei Tu!». Il bambino sbalordito si getta a terra adorando.
   Accorrono tutti credendo che sia caduto, ma Gesù fa un cenno di silenzio col dito sulle labbra, poi dice: «Alzati, Jabé. I bambini non devono avere paura di Me!».
   Il bambino alza la testa venerabondo e guarda Gesù con mutata espressione, quasi di paura.
   Ma Gesù sorride e gli tende la mano dicendo: «Sei un sapiente, piccolo israelita.

   194.5 Continuiamo l’esame fra noi. Ora che mi hai riconosciuto, sai se di Me si parla nel Libro?».
   «Oh! sì, Signore! Dal principio a ora. Tutto parla di Te. Tu sei il Salvatore promesso. Ora capisco perché aprirai le porte del Limbo. Oh! Signore! Signore! E mi vuoi bene tanto?».
   «Sì, Jabé».
   «No. Più Jabé. Dàmmi un nome che voglia dire che Tu mi hai amato, che Tu mi hai salvato…».
   «Il nome lo sceglierò insieme alla Madre. Va bene?».
   «Ma che voglia proprio dire così. E lo prenderò dal giorno che diventerò figlio della Legge».
   «Lo prenderai da quel giorno».
   Betel è superata, e in una valletta fresca e ricca d’acqua sostano a prendere cibo.
   Jabé è rimasto mezzo intontito dalla rivelazione e mangia in silenzio, accettando con venerazione ogni boccone che gli porge Gesù. Ma piano piano si rinfranca e, specie dopo una bella giocata con Giovanni mentre gli altri riposano sull’erba verde, torna a Gesù insieme al ridente Giovanni e fanno un crocchietto a tre.
   «Non mi hai più detto chi parla di Me nel Libro».
   «I Profeti, Signore. E prima ancora ne parla il Libro fin da quando è cacciato Adamo e poi a Giacobbe e ad Abramo e a Mosè… Oh!… Mi diceva mio padre che era andato da Giovanni – non questo, l’altro Giovanni, quello del Giordano – che egli, il gran Profeta, ti chiamava l’Agnello… Ecco, ora capisco l’agnello di Mosè… La Pasqua sei Tu!».
   Giovanni lo stuzzica: «Ma quale è il Profeta che ha profetato meglio di Lui?».
   «Isaia e Daniele. Ma… mi piace di più Daniele, ora che ti amo come il padre mio. Lo posso dire? Dire che ti amo come ho amato mio padre? Sì? Ebbene, ora preferisco Daniele».
   «Perché? Chi parla tanto del Cristo è Isaia».
   «Sì. Ma parla di dolori del Cristo. Invece Daniele parla del bell’angelo e della tua venuta. È vero… lui pure dice che il Cristo sarà immolato. Ma io penso che l’Agnello sarà immolato d’un colpo solo. Non come dicono Isaia e Davide. Io piangevo sempre quando li sentivo leggere, e la mamma non me li disse più». Quasi quasi piange anche ora, mentre carezza una mano di Gesù.
   «Non ci pensare per ora. Ascolta. I precetti li sai?».
   «Sì, Signore. Credo di saperli. Nel bosco me li ripetevo per non dimenticarli e per sentire le parole della mamma e del padre mio. Ma ora non piango più (veramente c’è un grande luccicore nelle pupille) perché ora ho Te».
   Giovanni sorride e si abbraccia il suo Gesù dicendo: «Le mie stesse parole! Tutti i pargoli di cuore parlano uguale».
   «Sì. Perché le loro parole vengono da un’unica sapienza.

   194.6 Ora bisognerebbe andare, in modo da giungere a Berot molto presto. La gente cresce e il tempo minaccia. I ricoveri saranno presi d’assalto. E non voglio che vi ammaliate».
   Giovanni chiama i compagni e si riprende la marcia fino a Berot, attraverso una pianura non molto coltivata, come non assolutamente arida come era il monticello valicato dopo Silo.

[56] molto lunga: mentre l’é è dura, recisa – aggiunge MV su una copia dattiloscritta – all’opposto dei galilei che dicono la prima consonante come un sgi molto strascicato e l’ultima vocale molto aperta, quasi fosse due “e” con accento grave, come “père” dei francesi.