MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME III CAPITOLO 197



CXCVII. Nel Tempio con Giuseppe d’Arimatea. L’ora dell’incenso.

   22 giugno 1945.

   197.1 Pietro è proprio solenne mentre entra in veste di padre nel recinto del Tempio, tenendo per mano Jabé. Sembra persino più alto tanto procede impettito.
   Dietro, in gruppo, tutti gli altri. Gesù è l’ultimo, occupato in una conversazione serrata con Giovanni di Endor, che pare vergognarsi di entrare nel Tempio.
   Pietro chiede al suo protetto: «Ci sei mai stato?», avendo per risposta la frase: «Quando sono nato, padre. Ma non me ne ricordo», cosa che fa ridere di gusto Pietro, che la ripete ai compagni, che ridono loro pure dicendo bonari e arguti: «Forse dormivi e perciò…», oppure: «Siamo tutti come te. Non ci ricordiamo di quando siamo venuti qui di nascita».

   197.2 Anche Gesù chiede la stessa cosa al suo protetto e ne ha una risposta analoga o quasi. Perché Giovanni di Endor dice:
   «Eravamo proseliti e ci venni in braccio a mia madre, proprio per una Pasqua, perché sono nato ai primi di adar e la madre, lei era di Giudea, si mise in viaggio appena poté, per offrire in tempo il suo maschio al Signore. Forse troppo presto… perché si ammalò e non guarì più. Io avevo meno di due anni quando rimasi senza madre. La prima sventura della mia vita. Ma ero il suo primogenito, l’unigenito rimasi per la sua malattia, ed ella era fiera di morire per avere ubbidito alla Legge. Mi diceva il padre: “Ella è morta contenta per averti offerto al Tempio”… Povera madre! Che offristi? Un futuro assassino…».
   «Giovanni, non dire così. Allora eri Felice, ora sei Giovanni. Abbi presente la grande grazia che Dio ti ha fatto, questa sempre. Ma abbandona l’avvilimento di ciò che fosti… Non sei tornato più al Tempio?».
   «Oh! sì. A dodici anni e da allora sempre finché… finché potei farlo… Dopo, quando avrei potuto farlo, non lo feci più, perché te l’ho detto che culto avevo, uno solo: l’Odio… E anche per questo non oso inoltrarmi qui. Mi sento straniero nella Casa del Padre… Io l’ho abbandonato per troppo tempo…».
   «Tu vi torni preso per mano da Me che sono il Figlio del Padre. Se Io ti conduco davanti all’altare è perché so che tutto è perdonato».
   Giovanni di Endor ha un aspro singhiozzo e dice: «Grazie, mio Dio».
   «Sì, ringrazia l’Altissimo. Lo vedi che aveva spirito profetico tua madre, vera israelita? Tu sei il maschio sacro al Signore e non più riscattato. Sei mio, sei di Dio, discepolo, e perciò futuro sacerdote del tuo Signore nella nuova èra e religione che avrà nome da Me. Io ti assolvo di tutto, Giovanni. Procedi sereno verso il Santo. In verità ti dico che fra questi che abitano questo recinto ve ne sono molti più colpevoli di te e indegni di te di accostarsi all’altare»…

   197.3 Pietro intanto si industria di spiegare al bambino le cose più degne di rilievo nel Tempio, ma chiama in suo soccorso gli altri più colti, e specie Bartolomeo e Simone, perché si trova a suo agio con questi anziani in questa sua veste di padre.
   Sono presso il gazofilacio per fare le loro offerte quando li chiama Giuseppe d’Arimatea.
   «Qui siete? Da quando?», dice dopo i saluti reciproci.
   «Da ieri sera».
   «Il Maestro?».
   «È là, con un discepolo novello. Ora verrà».
   Giuseppe guarda il bambino e chiede a Pietro: «Un tuo nipotino?».
   «No… sì… Insomma, nulla come sangue, molto come fede, tutto come amore».
   «Non ti capisco…».
   «Un orfanello… perciò nulla come sangue. Un discepolo… perciò molto come fede. Un figlio… perciò tutto come amore. Il Maestro lo ha raccolto… e io me lo carezzo. Deve divenire maggiorenne in questi giorni…».
   «Già dodici anni? Così piccino?».
   «Eh!… ma te lo dirà il Maestro… Giuseppe, tu sei buono… uno dei pochi che buoni siano qui dentro… Dimmi, mi aiuteresti in questa faccenda? Sai… io lo presento come fosse mio figlio. Ma sono galileo e ho una brutta lebbra addosso…».
   «Lebbra?!», esclama e interroga spaurito Giuseppe, scostandosi.
   «Non avere paura!… Ho la lebbra di essere di Gesù! La più odiosa per quelli del Tempio, salvo poche eccezioni».
   «Noooh! Non lo dire!».
   «È verità e va detta… Perciò temo che saranno crudeli con il piccolo per via di me e di Gesù. Poi non so come sappia la Legge, l’Halascia, l’Haggadha e i Midrasciot. Gesù dice che sa assai…».
   «Eh! ma se lo dice Gesù! Non avere paura!».
   «Pur di darmi un dispiacere quelli…».
   «Ci vuoi molto bene a questo piccolo! Lo tieni sempre con te?».
   «Non posso!… Io cammino sempre… Il bambino è piccolo e gracile…».
   «Ma io ci verrei volentieri con te…», dice Jabé che si è rassicurato per le carezze di Giuseppe.
   Pietro sfavilla di gioia… Ma dice: «Il Maestro dice che non si deve e non lo faremo… Ma ci vedremo lo stesso… Giuseppe… mi aiuti?».
   «Ma sì! Verrò io con te. Davanti a me non faranno ingiustizie. Quando?

   197.4 Oh! Maestro! Dàmmi la tua benedizione!».
   «La pace a te, Giuseppe. Ho piacere di vederti e in buona salute».
   «Io pure, Maestro, e anche gli amici ti vedranno con gioia.
   Sei al Getsemani?».
   «Ero. Dopo la preghiera vado a Betania».
   «Da Lazzaro?».
   «No, da Simone. Ho anche la Madre mia e la madre dei miei fratelli e quella di Giovanni e Giacomo. Verrai a trovarmi?».
   «Lo chiedi? Grande gioia e grande onore. Te ne ringrazio.
   Verrò con diversi amici…».
   «Va’ piano, Giuseppe, con gli amici!…», consiglia Simone Zelote.
   «Oh! li conoscete già. Prudenza dice: “L’aria non oda”. Ma quando li vedrete capirete che sono amici».
   «Allora…».
   «Maestro, Simone di Giona mi diceva della cerimonia del piccolo. Sei venuto mentre chiedevo quando intendete farla. Ci voglio essere io pure».
   «Il mercoledì avanti Pasqua. Voglio che faccia la sua Pasqua da figlio della Legge».
   «Molto bene. È inteso. Verrò a prendervi a Betania. Ma lunedì verrò con gli amici».
   «È detto».
   «Maestro, ti lascio. La pace sia con Te. È l’ora dell’incenso[66]».
   «Addio, Giuseppe. La pace sia con te.

   197.5 Vieni, Jabé. Questa è l’ora più solenne del giorno. Ve ne è una analoga al mattino. Ma questa è ancor più solenne. Il mattino inizia il giorno. Ed è bene che l’uomo benedica il Signore per esserne benedetto durante la giornata, in tutte le sue opere. Ma alla sera è ancora più solenne. La luce decade, cessa il lavoro, viene la notte. La luce che decade ricorda la caduta nel male, e veramente le azioni di peccato avvengono solitamente nella notte. Perché? Perché l’uomo, non più distratto dal lavoro, è più facile ad essere circuito dal Maligno che getta i suoi richiami e i suoi incubi. Perciò è bene, dopo aver ringraziato Dio per averci protetto durante il giorno, supplicarlo perché si allontanino da noi i fantasmi della notte e le tentazioni. La notte, il sonno… simbolo della morte. Ma beati quelli che, avendo vissuto con la benedizione del Signore, si addormentano non nelle tenebre ma in una fulgida aurora. Il sacerdote che offre l’incenso lo fa per noi tutti. Prega per tutto il popolo, in comunione con Dio, e Dio gli affida la sua benedizione per il popolo dei suoi figli.
   Vedi quanto è grande il ministero del sacerdote?».
   «Mi piacerebbe… Mi parrebbe di essere ancora più vicino alla mamma…».
   «Se sarai sempre un buon discepolo e un buon figlio di Pietro, lo diventerai. Ora vieni. Ecco che le trombe annunciano che l’ora è giunta. Andiamo con venerazione a lodare Geové».
   (Gesù dice così, con il G che diviene lungo: un Sgiéveee molto cantato e con le ultime e molto aperte come fossero quasi un a, mentre quella che segue il g è molto chiusa).

[66] incenso, che nel Tempio veniva bruciato al mattino e al tramonto, come è prescritto in: Esodo 30, 7-8.