MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 289



CCLXXXIX. Il sabato a Gerasa. Lo svago di Marziam e il quesito di Sintica sulla salvezza dei pagani.

   28 settembre 1945.

   289.1 Sono lunghe le ore di un giorno quando non si sa cosa fare. E non sanno proprio cosa fare in quel sabato quelli che sono con Gesù, in paese dove non hanno conoscenze, in una casa dove diversità di lingua e di costumi li fa separati, quasi non bastassero i pregiudizi ebraici a tenerli separati dai carovanieri e servi di Alessandro Misace. Perciò molti sono rimasti a letto, oppure sonnecchiano al sole che scalda l’ampia corte quadrata della casa. Una corte proprio adatta ad accogliere carovane, con vasche e anelli infissi ai muri o alle colonne di un rustico portico che corre lungo i quattro lati, e scuderie numerose e fienili e pagliai su tre lati. Le donne sono ritirate nelle loro stanze. Non se ne vede una.
   Marziam trova dello svago anche nel chiuso cortile, osservando il lavoro degli stallieri che strigliano i muli, cambiano le lettiere, osservano gli zoccoli, ribattono i ferri smossi, oppure — e ciò è per lui di interesse ancor più grande perché è cosa nuova — osserva incantato come i cammellieri agiscano coi cammelli preparando da oggi il carico per ogni singolo animale, proporzionandolo alla bestia, equilibrandolo, e come facciano inginocchiare e alzare l’animale per poterlo caricare e scaricare, premiandolo poi con un pugno di legumi secchi che mi sembrano fave, terminato con una distribuzione di bacche di carrubo che anche gli uomini masticano con piacere.
   Marziam è proprio stupito e si guarda intorno per avere con chi condividere il suo stupore. Ma è deluso perché gli adulti non si occupano dei cammelli. O parlano fra loro o sonnecchiano. Va da Pietro, che se la dorme beato col capo appoggiato a del morbido fieno, e lo scuote per una manica.
   Pietro apre mezzo occhio e chiede: «Che c’è? Chi mi vuole?».
   «Io. Vieni a vedere i cammelli».
   «Lasciami dormire. Ne ho visti tanti… Brutte bestie».
   Il bambino va da Matteo che fa i conti di cassa, essendo lui in questo viaggio il tesoriere: «Sono stato dai cammelli, sai? Mangiano come le pecore, sai? E si inginocchiano come uomini e sembrano barche nell’andare su e giù. Li hai visti tu?».
   Matteo, che ha perso il conto per l’interruzione, risponde un asciutto: «Sì», e torna alle sue monete. Altra delusione…
   Marziam si guarda intorno… Ecco là Simone Zelote e Giuda Taddeo che parlano…
   «Che belli i cammelli! E che buoni! Li hanno caricati e scaricati, e loro si sono messi a terra perché l’uomo non faticasse. Poi hanno mangiato le carrube. Anche gli uomini le hanno mangiate. Mi piacerebbe… Ma non so farmi intendere. Vieni tu…», e prende per mano Simone.
   Questo, assorto nella pacifica discussione col Taddeo, risponde un distratto: «Sì, caro… Va’, va’, e sta’ attento di non farti male».
   Marziam lo guarda stupito… Simone ha risposto non a tono. Quasi ci piange. Si allontana sconfortato, andando ad appoggiarsi ad una colonna…

   289.2 Gesù esce da una stanza e lo vede così imbronciato e solo. Va dal bambino e gli posa una mano sulla testa. «Che fai tutto solo e mesto?».
   «Nessuno mi dà retta…».
   «Che volevi dagli altri?».
   «Niente… Parlavo dei cammelli… Sono belli… mi piacciono. Deve essere come stare sulla barca ad essere lassù… E mangiano delle carrube; anche gli uomini…».
   «E tu hai voglia di andare lassù e di mangiare le carrube.
   Vieni, andiamo dai cammelli», e Gesù lo prende per mano e va col bambino, tutto rasserenato, in fondo al cortilone.
   Si dirige diritto ad un cammelliere e lo saluta con un sorriso. Quello si inchina e continua ad osservare il suo animale, al quale aggiusta la capezza e regola le briglie.
   «Uomo, mi intendi?».
   «Sì, Signore. Da venti anni conosco voi».
   «Questo bambino ha una grande voglia. Salire su un cammello… E una piccola: mangiare una carruba», e Gesù sorride ancor più vivamente.
   «Tuo figlio?».
   «Non ho figli Io. Non ho sposa».
   «Tu, tanto bello e forte, non trovato donna?».
   «Non l’ho cercata».
   «Non sentito voglia di donna?».
   «No. Mai».
   L’uomo lo guarda sbalordito. Poi dice: «Io nove figli a Ischilo… Vado: figlio. Vado: figlio. Sempre».
   «Ci vuoi bene ai figli?».
   «Sangue mio! Ma duro lavoro. Io qui, figli là. Lontani… Ma per pane loro. Capisci?».
   «Capisco. Allora puoi capire il bambino che vorrebbe montare sul cammello e mangiare le carrube».
   «Sì. Vieni. Paura? No? Bravo. Bello bambino! Anche io. Uno così. Nero così. Qui. Prendi qui. Stretto», e gli mette in mano il bizzarro manico che è sul davanti della sella. «Tenere. Ora vengo io. E cammello su. Non paura, eh?». E l’uomo si inerpica sulla sella alta, si accomoda e incita il cammello, che si alza ubbidiente con un grande beccheggio.
   Marziam ride felice. Tanto più felice perché il cammelliere gli ha messo in bocca una magnifica carruba. L’uomo mette al passo il cammello lungo il cortile, poi al trotto; infine, vedendo che Marziam non ha paura, urla qualcosa ad un suo compagno, e questo apre la porta vastissima che è sul dietro del cortile, e il cammelliere sparisce col suo carico verso il verde della campagna.

   289.3 Gesù torna verso la casa ed entra in uno stanzone dove sono le donne. Sorride tanto che Maria gli chiede: «Che hai, Figlio mio, che sei tanto felice?».
   «Ho la felicità di Marziam che sta galoppando su un cammello. Venite fuori che lo vediamo ritornare».
   Escono tutti nel cortile, sedendosi su un muretto basso presso le vasche. Gli apostoli che non dormono vengono vicini. Quelli che erano alle finestre delle stanze alte guardano giù, vedono e vengono essi pure, e le loro voci alte e giovanili, perché sono quelle di Giovanni e dei due Giacomi, svegliano anche Pietro e Andrea e scuotono Matteo. Ora sono al completo, perché anche Giovanni di Endor viene coi due discepoli.
   «Ma dove è Marziam che non lo vedo?», chiede Pietro.
   «A spasso sul cammello. Nessuno di voi lo ascoltava… Io l’ho visto triste ed ho provveduto».
   Pietro, Matteo e Simone si sovvengono: «Ah! già! Parlava di cammelli… e di carrube. Ma io avevo sonno!»; «Io avevo dei conti da fare per darti il rendiconto di quanto ho ricevuto dai geraseni e di quanto ho dato in elemosina»; «E io parlavo di fede con tuo fratello!».
   «Non importa. Ci ho pensato Io. Però, incidentalmente, vi dico che è amore anche occuparsi dei giuochi di un bambino… Ma ora parliamo d’altro. Fuori la città è tutta in festa. Del nostro sabato non c’è ricordo che in una allegria generale. Meglio stare qui dentro, allora. Molto più che, se vogliono, possono trovarci. Sanno dove siamo.

   289.4 Ecco Alessandro che ispeziona i suoi cammelli. Ora gli dico che uno non c’è per mia colpa». E Gesù va lesto verso il mercante e gli parla.
   Tornano insieme. Il mercante dice: «Molto bene. Si divertirà e gli farà bene una corsa al sole. Puoi stare sicuro che l’uomo lo tratterà bene. Calipio è un brav’uomo. In cambio della corsa ti chiedo di dirmi qualche cosa. Questa notte pensavo alle tue parole… a quelle sentite a Ramot, dette fra Te e la donna, a quelle di ieri. Ieri mi pareva di salire su un alto monte come quelli della terra che abito, che hanno proprio la cima nelle nuvole. Tu portavi su, su, su. Mi pareva di essere uno preso da un’aquila. Una di quelle del nostro monte maggiore, il primo emerso dal Diluvio. Vedevo tutte cose nuove, mai pensate, tutte fatte di una luce… E le capivo. Poi mi si sono confuse. Di’ ancora».
   «Che devo dire?».
   «Ma non so… Era tutto bello. Quello che dicevi di ritrovarsi in Cielo… Ho capito che là si amerà diversamente eppure uguale. Per esempio: non avremo più le ansie di ora, eppure saremo tutti per uno e uno per tutti, come fossimo una famiglia sola. Dico male?».
   «No. Anzi! Saremo una famiglia anche coi viventi. Le anime non sono separate dalla morte. Parlo dei giusti. Essi costituiscono una sola grande famiglia. Fa’ conto un grande tempio, dove siano quelli che adorano e pregano e quelli che si affaticano. I primi pregano anche per quelli che si affaticano, i secondi lavorano per questi oranti. Così è delle anime. Noi ci affatichiamo sulla Terra. Essi ci sovvengono delle loro preghiere. Ma noi dobbiamo offrire le nostre sofferenze per la loro pace. È una catena che non si rompe. È l’Amore che lega quelli che furono con quelli che sono. E quelli che sono devono essere buoni per potersi riunire a quelli che furono e che ci desiderano con loro».

   289.5 Sintica fa un gesto involontario che frena subito. Ma Gesù lo vede e la invita ad uscire dal riserbo che la donna sempre osserva.
   «Pensavo… È più giorni che lo penso e, se devo dire il vero, ciò mi turba, perché mi pare che credere al tuo Paradiso sia perdere per sempre mia madre e le sorelle…».
   Un singhiozzo incrina la voce di Sintica, che si arresta per non piangere.
   «Cosa è questo pensiero che ti turba tanto?».
   «Ora io credo in Te. Mia madre io non so pensarla altro che pagana. Era buona… Oh! tanto! E tanto le sorelle! La piccola Ismene era la più buona creatura che la Terra abbia portato. Ma erano pagane… Ora io, finché lo ero come loro, pensavo all’Ade e dicevo: “Ci riuniremo”. Ora non c’è più l’Ade. C’è il tuo Paradiso, il Regno dei Cieli per quelli che hanno servito con giustizia il Dio vero. E quelle povere anime? Non hanno colpa loro di essere nate greche! Nessuno dei sacerdoti d’Israele venne a dire: “Il Dio vero è il nostro”. E allora? Le loro virtù, nulla? Le loro sofferenze, nulla? E buio eterno e eterna separazione da me? Ti dico: un tormento! Mi pare quasi di averle rinnegate. Perdona, Signore… Io piango…», e si inginocchia proprio piangendo desolata.
   Alessandro Misace dice: «Ecco! Anche io pensavo se, divenendo un giusto, ritroverò mai il padre, la madre, i fratelli, gli amici…».

   289.6 Gesù posa le dita sulla testa bruna di Sintica e dice: «Colpa diviene quando, conoscendo il Vero, si persiste nell’Errore. Non quando si è convinti di essere nella verità, né nessuna voce è mai venuta a dire: “Questa che io porto è verità. Lasciate le vostre chimere per questo Vero e avrete il Cielo”. Dio è giusto. Vuoi tu che non premi la virtù perché si è formata tutta sola fra la corruzione di un mondo pagano? Dàtti pace, figlia».
   «Ma la colpa d’origine? Ma il culto nefando? Ma…».
   Verrebbe fuori dell’altro dagli israeliti a far da macia all’anima afflitta di Sintica, se Gesù con un gesto non imponesse silenzio.
   Egli dice: «La colpa d’origine è comune a tutti, d’Israele e non d’Israele. Non è prerogativa dei pagani. Il culto pagano sarà colpa dal momento che sarà diffusa nel mondo la Legge di Cristo. La virtù sarà sempre virtù agli occhi di Dio. E per l’unione mia col Padre Io dico, e dico in suo Nome, traducendo in parola il Pensiero Ss., che le vie del potere misericordioso di Dio sono tante, e così tutte intese a dar gioia ai virtuosi, che saranno sollevate le barriere da anima ad anima, e pace sarà per coloro che meritarono pace. Non solo. Dico che in futuro coloro che, convinti di essere nella Verità, seguiranno la religione dei padri con giustizia e santità, non saranno invisi e puniti da Dio. È la malizia, la malavoglia, il respingere deliberatamente la Verità conosciuta, è soprattutto l’impugnare la Verità rivelata e combatterla, è il vivere vizioso quello che realmente separerà in eterno le anime dei giusti da quelle dei peccatori. Alza lo spirito abbattuto, Sintica. Queste malinconie sono un assalto infernale per l’ira che Satana ha per te, preda per sempre perduta. L’Ade non c’è. C’è il mio Paradiso. Ma esso non è cagione di dolore, bensì di gioia. Nulla della Verità deve essere cagione di abbattimento o dubbio, ma anzi forza a sempre più credere e con ilare sicurezza. Ma tu dimmele sempre le tue ragioni. Io voglio in te luce sicura e ferma come quella del sole».
   Sintica, stando ancora in ginocchio, gli prende la mano e la bacia…

   289.7 Il crr crr del cammelliere fa capire che il cammello sta per rientrare al passo, senza far rumore sull’erba folta che è fuori del portone posteriore, che un servo apre subito. E Marziam torna felice, arrossato dalla corsa — un minuscolo ometto issato sull’alta groppa — e ride agitando le braccia, mentre il cammello si inginocchia, e scivola giù dalla bizzarra sella carezzando il bruno cammelliere. E poi corre da Gesù gridando: «Che bello! Sono venuti su quelle bestie lì per adorarti i Savi d’Oriente? E io andrò con quelli a predicarti da per tutto! Il mondo sembra più grande, visto di lassù, e dice: “Venite, venite, voi che sapete la Buona Novella!”. Oh! Sai?… Anche quell’uomo ne ha bisogno… E anche tu, mercante, e tutti i tuoi servi… Quanta gente che aspetta, e che muore senza poterla avere… Più gente che rena del fiume. Tutti senza Te, Gesù! Oh! ma fa’ presto a dirla a tutti!», e gli si attacca ai fianchi a capo in su.
   E Gesù si china e lo bacia, promettendo: «Tu vedrai il Re gno di Dio evangelizzato nei confini più lontani di Roma. Sei contento?».
   «Io sì. E poi verrò a dirti: “Ecco: questo, quello e quell’altro paese ti conoscono”. Allora saprò i nomi di quelle terre lontane. E Tu che mi dirai?».
   «Ti dirò: “Vieni, piccolo Marziam. Abbiti una corona per ogni paese in cui mi hai predicato e poi vieni qui al mio fianco, come quel giorno a Gerasa, e riposati dalle tue fatiche, perché sei stato un servo fedele ed ora è giusto che tu sia beato nel mio Regno”».