MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 234



CCXXXIV. A commento di tre episodi sulla conversione di Maria di Magdala.

   13 agosto 1944.

   234.1 Dice Gesù:
   «Dal gennaio, da quando ti ho fatto vedere la cena in casa di Simone il fariseo[8], tu e chi ti guida avete desiderato di conoscere di più di Maria di Magdala e quali parole ho avuto per lei. Sette mesi dopo vi scopro queste pagine di passato per fare contenti voi e per dare una norma a quelli che devono sapersi curvare su queste lebbrose di anima, e una voce che invita a queste infelici che soffocano nel loro sepolcro di vizio ad uscirne.

   234.2 Dio è buono. Con tutti è buono. Non misura con misure umane. Non fa differenze fra peccato e peccato mortale. Il peccato lo addolora, quale che sia. Il pentimento lo rende lieto e pronto al perdono. La resistenza alla Grazia lo rende inesorabilmente severo, perché la Giustizia non può perdonare all’impenitente che muore tale nonostante tutti gli aiuti avuti perché si convertisse.
   Ma delle mancate conversioni, se non la metà almeno i quattro decimi, sono causa prima la trascuranza dei preposti al convertire, un male inteso e bugiardo zelo che è tenda messa su un reale egoismo e orgoglio, per cui si sta tranquilli nel proprio asilo senza scendere fra il fango per strapparne un cuore. “Io sono puro, io sono degno di rispetto. Non vado là dove vi è marciume e dove mi si può mancare di riverenza”. Ma colui che così parla non ha letto il Vangelo[9], dove è detto che il Figlio di Dio andò per convertire pubblicani e meretrici, oltre a onesti che solo erano nella Legge antica? Ma non pensa costui che l’orgoglio è impurità di mente, che l’anticarità è impurità di cuore? Sarai vilipeso? Io lo fui prima e più di te, ed ero il Figlio di Dio. Dovrai portare la tua veste sull’immondezze? Ed Io non la toccai con le mie mani, questa immondezza, per metterla in piedi e dirle: “Cammina su questa nuova via”?
   Non ricordate cosa ho detto ai vostri primi predecessori? “In qualunque città o villaggio entrerete informatevi chi vi sia che lo meriti e dimorate presso lui”. Questo perché il mondo non mormori. Il mondo troppo facile a vedere il male in tutte le cose. Ma ho aggiunto: “Nell’entrare poi nelle case — ‘case’ ho detto, non ‘casa’ — salutatele dicendo: ‘Pace a questa casa’. Se la casa ne è degna la pace verrà sopra di essa, se non ne è degna tornerà a voi”. Questo per insegnarvi che, sino a prova sicura di impenitenza, dovete avere per tutti uno stesso cuore. E ho completato l’insegnamento dicendo: “E se alcuno non vi riceve e non ascolta le vostre parole, uscendo da quelle case e da quelle città scuotete la polvere che vi è rimasta attaccata alle suole”. La fornicazione, sui buoni che la Bontà costantemente amata fa come cubo di cristallo liscio, non è che polvere. Polvere che basta scuotere o soffiarle sopra perché voli via senza lasciare lesione.
   Siate veramente buoni. Un blocco solo con la Bontà eterna al centro. E nessuna corruzione potrà salire a sporcarvi oltre le suole che poggiano al suolo. L’anima è tanto in alto! L’anima di chi è buono e di chi è tutta una cosa con Dio. L’anima è in Cielo. Là non giunge polvere e fango, neppure se è lanciato con astio contro lo spirito dell’apostolo. Può colpirvi la carne, ferirvi cioè materialmente e moralmente, perseguitandovi, perché il Male odia il Bene, o offendendovi. E che perciò? Non fui offeso Io? Non fui ferito? Ma incisero quelle percosse e quelle parole oscene sul mio spirito? Lo turbarono? No. Come sputo su uno specchio e come sasso lanciato contro la succosa polpa di un frutto, scivolarono senza penetrare, o penetrarono ma solo in superficie, senza ferire il germe chiuso nel nocciolo, anzi favorendone il germogliare, perché più facile è erompere da una massa socchiusa che non da una integra. È morendo che il grano germina e l’apostolo produce. Morendo materialmente talora, morendo quasi giornalmente, nel senso metaforico perché non ne è che frantumato l’io umano. E questa non è morte, è Vita. Trionfa lo spirito sulla morte dell’umanità.

   234.3 Venuta a Me per capriccio di oziosa che non sa come empire le sue ore di ozio, alle sue orecchie, rintronate dai bugiardi ossequi di chi la cullava cogli inni al senso per averla sua schiava, è suonata, alle sue orecchie, la voce limpida e severa della Verità. Della Verità che non ha paura d’esser schernita e incompresa e parla le sue parole guardando Dio. E come coro di campane a festa tutte le voci si sono fuse nella Parola. Le voci use a suonare nei cieli, nell’azzurro libero dell’aria, propagandosi per valli e colline, pianure e laghi, per ricordare le glo rie del Signore e le sue festività.
   Non ricordate il doppio di festa che nei tempi di pace faceva tanto lieto il giorno dedicato al Signore? La campana maggiore dava, col maglio sonoro, il primo squillo in nome della Legge divina. Diceva: “Parlo in nome di Dio, Giudice e Re”. Ma poi le minori campane arpeggiavano: “che è buono, misericorde e paziente”, sinché la campana più argentina, con voce d’angelo, diceva: “la cui carità spinge a perdonare e a compatire per insegnarvi che il perdono è più utile del rancore, e il compatimento dell’inesorabilità. Venite a Chi perdona. Abbiate fede in Chi compatisce”.
   Anche Io, dopo aver ricordato la Legge, calpestata dalla peccatrice, ho fatto cantare la speranza del perdono. Come una serica fascia di verde e di azzurro l’ho scossa fra le tinte nere perché vi mettesse le sue confortevoli parole. Il perdono! La rugiada sull’arsione del colpevole. La rugiada non è grandine che saetta, colpisce, rimbalza e va, senza penetrare, uccidendo il fiore. La rugiada scende così lieve che il fiore anche più tenue non la sente posarsi sui petali di seta. Ma poi ne beve il fresco e si ristora. Essa si posa presso le radici, sull’arsa gleba, e va oltre… È un umidore di lacrime, pianto delle stelle, amoroso pianto di nutrici sui figli che hanno sete, e che scende, esso stesso ristoro, insieme al latte dolce e fecondo. Oh! i misteri degli elementi che operano anche quando l’uomo riposa o pecca! Il perdono è come questa rugiada. Porta seco non solo mondezza, ma succhi vitali rapiti non agli elementi, ma ai focolari divini.
   Poi, dopo la promessa di perdono, ecco la Sapienza che parla e dice ciò che è lecito o non lecito, e richiama e scuote. Non per durezza. Ma per sollecitudine materna di salvare. Quante volte la vostra selce non si fa ancora più impenetrabile e tagliente verso la Carità che su voi si curva!… Quante volte fuggite mentre Essa vi parla!… Quante la deridete! Quante la odiate!… Se la Carità usasse con voi i modi che voi usate con Lei, guai alle vostre anime! Invece, lo vedete? Essa è l’instancabile Camminatrice che viene alla ricerca vostra. Viene a raggiungervi anche se voi vi intanate in luride tane.

   234.4 Perché Io sono voluto andare in quella casa? Perché non ho operato in essa il miracolo? Per insegnare agli apostoli come agire, sfidando prevenzioni e critiche per compiere un dovere tanto alto che è esente da queste cosucce del mondo.
   Perché ho detto a Giuda quelle parole? Gli apostoli erano molto uomini. Tutti i cristiani sono molto uomini, anche i santi della Terra lo sono, sebbene in maniera minore. Qualcosa di umano sopravvive anche nei perfetti. Ma gli apostoli non erano ancora tali. I loro pensieri erano compenetrati di umano. Io li portavo in alto. Ma il peso della loro umanità li riportava in basso. Per farli scendere sempre meno, dovevo mettere sulla via dell’ascesa delle cose atte ad arrestarne la discesa, di modo che contro esse si fermassero meditando e riposando, per poi salire più oltre del limite di prima. Cose che fossero di un tenore atto a persuaderli che Io ero un Dio. Perciò introspezione d’anime, perciò vittoria sugli elementi, perciò miracoli, perciò trasfigurazione, risurrezione e ubiquità. Io fui sulla strada di Emmaus mentre ero nel Cenacolo; e l’ora delle due presenze, confrontate fra apostoli e discepoli, fu una delle ragioni che più li scosse, svellendoli dai loro lacci e scagliandoli nella via del Cristo. Più che per Giuda, membro che covava in sé già la morte, Io parlai per gli altri undici. Che ero Dio dovevo necessariamente farlo loro brillare davanti, non per orgoglio ma per necessità di formazione. Ero Dio e Maestro. Quelle parole mi indicano tale. Mi rivelo in una facoltà extraumana e insegno una perfezione: non avere discorsi cattivi neppure col nostro interno. Poiché Dio vede, e Dio deve vedere un interno puro per potervi scendere e farvi dimora.
   Perché non ho operato il miracolo in quella casa? Per fare capire a tutti che la presenza di Dio esige un ambiente puro. Per rispetto alla sua eccelsa maestà. Per parlare, senza parole di labbra ma con una parola ancor più profonda, allo spirito della peccatrice e dirle: “Lo vedi, infelice? Sei tanto sozza che tutto intorno a te si fa sozzo. Tanto sozzo che non vi può operare Dio. Tu sozza più di costui. Perché tu ripeti la colpa d’Eva e offri il frutto agli Adami, tentandoli e levandoli al Dovere. Tu, ministra di Satana”.
   Perché però non voglio che sia chiamata “satana” dalla madre angosciata? Perché nessuna ragione giustifica l’insulto e l’odio. Necessità prima e condizione prima per avere Dio con noi è non aver rancore e sapere perdonare. Necessità seconda saper riconoscere che anche noi, o chi è nostro, è colpevole.
   Non vedere solo le colpe altrui. Necessità terza saper conservarsi grati e fedeli, dopo aver avuto grazia, per giustizia verso l’Eterno. Infelici quelli che, a grazia ottenuta, sono peggio dei cani e non si ricordano del loro Benefattore, mentre l’animale se ne ricorda!

   234.5 Non ho detto parola alla Maddalena. Come fosse una statua l’ho guardata un attimo e poi l’ho lasciata. Sono tornato ai “vivi” che volevo salvare. Lei, materia morta come e più di un marmo scolpito, l’ho avvolta di noncuranza apparente. Ma non ho detto parola e fatto atto che non avesse a principale mira la sua povera anima che volevo redimere. E l’ultima parola: “Io non insulto. Non insultare. Prega per i peccatori. Null’altro”, come ghirlanda di fiori che si compie, si è andata a saldare con la prima detta sul monte: “Il perdono è più utile del rancore e il compatimento dell’inesorabilità”. E l’hanno chiusa, la povera infelice, in un cerchio vellutato, fresco, profumato di bontà, facendole sentire come è diversa la amorosa servitù a Dio dalla feroce schiavitù di Satana, come è soave il profumo celeste rispetto al lezzo della colpa e come riposa l’esser amati santamente rispetto all’esser posseduti satanicamente.
   Vedete come è misurato il Signore nel volere. Non esige conversioni fulminee. Non pretende l’assoluto da un cuore. Sa attendere. E sa accontentarsi. E mentre attende che la perduta ritrovi la via, la folle la ragione, si accontenta di quanto le può dare la madre sconvolta. Non le chiedo altro che: “Puoi perdonare?”. Quante altre cose avrei avuto a chiederle per renderla degna del miracolo, se avessi giudicato alla stregua umana! Ma Io misuro divinamente le forze vostre. Quella povera madre sconvolta era già molto se giungeva a perdonare. E le chiedo questo soltanto, in quell’ora. Dopo, resole il figlio, le dico: “Sii santa e fa’ santa la tua casa”. Ma mentre lo spasimo la sconvolge non le chiedo che perdono per la colpevole. Non si deve esigere tutto da chi poco prima era nel nulla delle Tenebre. Quella madre sarebbe poi venuta alla Luce totale, e con lei la sposa e i bambini. Sul momento, ai suoi occhi, ciechi di pianto, occorreva far giungere il primo crepuscolo della Luce: il perdono, l’alba del giorno di Dio.

   234.6 Dei presenti uno solo — non conto Giuda, parlo dei cittadini ivi accolti, non dei miei discepoli — uno solo non sarebbe venuto alla Luce. Queste disfatte sono connesse alle vittorie dell’apostolato. Vi è sempre qualcuno per cui l’apostolo si affatica invano. Ma non devono, queste sconfitte, far perdere lena. L’apostolo non deve pretendere di ottenere tutto. Contro di lui sono forze avverse dai molti nomi, che come tentacoli di piovre riafferrano la preda che egli aveva loro strappato. Il merito dell’apostolo resta ugualmente. Infelice quell’apostolo che dice: “So che là non potrò convertire e perciò non vado”. Costui è apostolo di ben scarso valore. Occorre andare anche se uno solo su mille si salverà. La sua giornata apostolica sarà fruttuosa per quell’uno come per mille. Poiché egli avrà fatto tutto quanto poteva, e Dio premia questo. Occorre anche pensare che dove l’apostolo non può convertire, perché il convertendo è troppo abbrancato da Satana e le forze dell’apostolo sono inferiori allo sforzo richiesto, può intervenire Iddio. E allora? Chi più da Dio?

   234.7 Altra cosa che deve assolutamente praticare l’apostolo è l’amore. Palese amore. Non solo l’amore segreto dei cuori dei fratelli. Quello basta ai fratelli buoni. Ma l’apostolo è operaio di Dio e non deve limitarsi a pregare, deve agire. Agisca con amore. Grande amore. Il rigore paralizza il lavoro dell’apostolo e il movimento delle anime verso la Luce. Non rigore ma amore. L’amore è la veste d’amianto che rende incorruttibile al morso delle vampe delle malvagie passioni. L’amore è saturazione di essenze preservatrici che impediscono alla putredine umano-satanica di penetrare in voi. Per conquistare un’anima occorre sapere amare. Per conquistare un’anima occorre portarla ad amare. Amare il Bene ripudiando i suoi poveri amori di peccato.
   Io volevo l’anima di Maria. E come per te, piccolo Giovanni, non mi sono limitato a parlare dalla mia cattedra di Maestro. Sono sceso a cercarla per le vie del peccato. L’ho inseguita e perseguitata col mio amore. Dolce persecuzione! Sono entrato, Io-Purezza, dove era ella-impurità. Non ho temuto scandalo né per Me né per gli altri. Scandalo in Me non poteva entrare perché ero la Misericordia; e questa piange sulle colpe ma non se ne scandalizza. Infelice quel pastore che si scandalizza e dietro questo paravento si trincera per abbandonare un’anima! Non sapete che le anime sono più soggette dei corpi a risorgere, e la parola pietosa e amorosa che dice: “Sorella, sorgi per tuo bene” opera sovente il miracolo? Non temevo lo scandalo altrui. Davanti all’occhio di Dio il mio operato era giustificato. Davanti all’occhio dei buoni era compreso. L’occhio malevolo in cui fermenta malizia, evaporando da un interno corrotto, non ha valore. Esso trova colpe anche in Dio. Non vede perfetto che sé. Perciò non lo curavo.

   234.8 Le tre fasi della salvazione di un’anima sono:
   Essere integerrimi per poter parlare senza timore d’esser posti a tacere. Parlare a tutta una folla, di modo che la nostra apostolica parola detta alle turbe che si affollano intorno alla mistica barca vada, per cerchi d’onda, sempre più lontano, sino alla riva motosa dove sono coricati coloro che stagnano nel fango e non si curano di conoscere la Verità. Questo è il primo lavoro per rompere la crosta della dura zolla e prepararla al seme. Il più severo per chi lo compie e per chi lo riceve, perché la parola deve, come vomere tagliente, ferire per aprire. E in verità vi dico che il cuore dell’apostolo buono si ferisce e sanguina per il dolore di dover ferire per aprire. Ma anche questo dolore è fecondo. Col sangue e il pianto dell’apostolo si fa fertile la zolla incolta.
   Seconda qualità: operare anche là dove uno, men compreso della sua missione, fuggirebbe. Spezzarsi nello sforzo di strappare zizzania, gramigna e spine per mettere a nudo il terreno arato e far balenare su esso, come sole, il potere di Dio e la sua bontà, e nello stesso tempo, con modo di giudice e di medico, esser severo e pur pietoso, fermo in una pausa di attesa per dare tempo alle anime di superare la crisi, meditare, decidere.
   Terzo punto: non appena l’anima che nel silenzio si è pentita, piangendo e pensando sui suoi trascorsi, osa venire timidamente, paurosa d’esser cacciata, verso l’apostolo, l’apostolo abbia un cuore più grande del mare, più dolce di un cuore di mamma, più innamorato di un cuore di sposo, e lo apra tutto per farne fluire onde di tenerezza. Se avrete Dio in voi — Dio che è Carità — troverete facilmente le parole di carità da dire alle anime. Dio parlerà in voi e per voi e, come miele che scola da un favo, come balsamo che fluisce da un’ampolla, l’amore andrà alle labbra arse e disgustate, andrà agli spiriti feriti e sarà sollievo e medicina.

   234.9 Fate che i peccatori vi amino, voi dottori delle anime. Fate che sentano il sapore della carità celeste e se ne rendano tanto ansiosi da non cercare più altro cibo. Fate che sentano nella vostra dolcezza un tale sollievo che lo cerchino per tutte le loro ferite. Bisogna che la vostra carità mandi via da loro ogni timore perché, come dice l’epistola[10] che hai letto oggi: “Il timore suppone il castigo, chi teme non è perfetto nella carità”. Ma non lo è neppure chi fa temere. Non dite: “Che hai fatto?”. Non dite: “Va’ via”. Non dite: “Tu non puoi aver gusto all’amore buono”. Ma dite, dite in mio nome: “Ama ed io ti perdono”. Ma dite: “Vieni, le braccia di Gesù sono aperte”. Ma dite: “Gusta questo Pane angelico e questa Parola e dimentica la pece d’inferno e gli scherni di Satana”. Fatevi soma per le altrui debolezze. L’apostolo deve portare le sue e quelle altrui, insieme alle croci sue e altrui. E mentre venite a Me, carichi delle pecore ferite, rassicuratele, queste erranti, dite: “Tutto è dimenticato di quest’ora”; dite: “Non aver paura del Salvatore. Egli è venuto dal Cielo per te, proprio per te. Io non sono che il ponte per portarti a Lui che ti aspetta, oltre il rio della assoluzione penitenziale, per condurti ai suoi pascoli santi, i cui principi sono qui, sulla Terra, ma poi proseguono, con una bellezza eterna che nutre e bea, nei Cieli”.

   234.10 Ecco il commento. Voi poco vi tocca, voi pecore fedeli al Pastore buono. Ma se a te, piccola sposa, sarà aumento di fiducia, al Padre sarà ancor più luce nella sua luce di giudice, e per tanti sarà non pungolo a venire al Bene. Ma sarà la rugiada che penetra e nutre, di cui ho parlato, e che fa rialzare i fiori appassiti. Alzate il capo. Il Cielo è in alto.
   Va’ in pace, Maria. Il Signore è con te».

[8] Simone il fariseo, invece di  Simone il lebbroso (evidente lapsus calami di MV), è correzione nostra. L’episodio della cena, scritto nel gennaio precedente, formerà il capitolo 236. Gli episodi sulla conversione di Maria di Magdala, che qui vengono commentati, sono elencati in nota a 174.11.
[9] il Vangelo, del quale seguono citazioni più o meno testuali da: Matteo 9, 10-13 (Marco 2, 15-17; Luca 5, 29-32); da: Matteo 21, 31; Luca 19, 9-10; e da: Matteo 10, 11-14 (Marco 6, 10-11; Luca 9, 4-5; 10, 5-6.10-11).
[10] l’epistola, cioè: 1 Giovanni 4, 18.