MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 312



CCCXII. Gesù comunica a Giovanni di Endor la decisione di mandarlo ad Antiochia.

   24 ottobre 1945.

   312.1È una piovosa mattina d’inverno. Gesù è già alzato ed è al lavoro nel suo laboratorio. Lavora intorno a piccoli oggetti. Ma in un angolo è pronto un telaio nuovo nuovo, non molto grande me ben tornito.
   Entra Maria con una tazza di latte fumante. «Bevi, Gesù. È tanto che sei alzato. E fa umido e freddo…».
   «Sì. Ma almeno ho potuto ultimare tutto… Questi otto giorni di festa avevano paralizzato il lavoro…».
   Gesù si è seduto sul pancone da falegname, un poco di sbieco, e beve il suo latte mentre Maria osserva il telaio e lo carezza con la mano.
   «Lo benedici, Mamma?», chiede sorridendo Gesù.
   «No. Lo accarezzo perché Tu lo hai fatto. La benedizione gliel’hai data Tu, facendolo. Hai pensato bene a farlo. A Sintica servirà. È molto esperta nel tessere. E ciò le servirà per avvicinare donne e fanciulle. Che altro hai fatto, che vedo trucioli fini, di ulivo mi pare, presso il tornio?».
   «Ho fatto cose utili per Giovanni. Vedi? Un astuccio per gli stili e una piccola tavola per scrivere. E poi questi leggii per chiudervi dentro i suoi libri. Non avrei potuto fare questo se Simone di Giona non avesse pensato al carretto. Ma ora potremo caricare anche questi… ed essi sentiranno che li ho amati anche in queste piccole cose…».
   «Tu soffri ad allontanarli, non è vero?».
   «Soffro… Per Me e per loro. Ho atteso fino ad ora a parlare… ed è già assai non sia già arrivato Simone con Porfirea…
   È ora che Io parli… Una sofferenza che mi è stata in cuore tutti questi giorni e che mi fece tristi anche le luci delle molte lucerne… Una sofferenza che ora devo dare ad altri… Ah! Mamma, avrei voluto averla Io solo!…».
   «Figlio buono!». Maria gli carezza una mano per consolarlo.

   312.2Un silenzio… Poi Gesù riprende a parlare: «È alzato Giovanni?».
   «Sì. L’ho sentito tossire. Forse è in cucina che si beve il latte. Povero Giovanni!…». Una lacrima scorre lungo le guance di Maria.
   Gesù si mette ritto: «Vado… Devo andare a dirglielo. Con Sintica sarà più facile… Ma per lui… Mamma, vai da Marziam e sveglialo, e pregate mentre Io parlo a quell’uomo… È come se Io dovessi frugare nelle sue viscere. Posso ucciderlo o paralizzarlo nella sua vitalità spirituale… Che pena, Padre mio!… Vado…», ed esce, realmente accasciato.
   Fa i pochi passi che dall’officina conducono verso la stanza di Giovanni, che è la stessa dove morì Giona, ossia quella di Giuseppe. Incontra Sintica che rientra con una fascina presa nel forno e che lo saluta ignara. Risponde assorto al saluto della greca e poi resta fermo a guardare un’aiuola di gigli, che appena mostrano il ciuffetto delle foglie. Ma non è detto che li veda… Poi si decide. Si volta e bussa alla porta di Giovanni, che si affaccia e il cui viso si rischiara tutto nel vedere Gesù che viene a lui.
   «Posso entrare un poco da te?», chiede Gesù.
   «Oh! Maestro! Ma sempre!

   312.3Stavo scrivendo ciò che Tu dicevi ieri sera sulla prudenza e l’ubbidienza. Anzi, è bene che Tu lo osservi, perché mi pare di non avere ritenuto bene sulla prudenza».
   Gesù è entrato nella stanzetta già ordinata, nella quale è stato aggiunto un tavolino per comodità del vecchio maestro. Gesù si china sulla pergamena e legge.
   «Molto bene. Hai ripetuto molto bene».
   «Ecco, vedi. Mi pareva di aver detto male in questa frase.
   Tu dici sempre che non occorre avere sollecitudini per il domani e per il proprio corpo. Ora, dicendo che la prudenza, anche per le cose inerenti al domani, è una virtù, mi pareva un errore.
   Mio, naturalmente».
   «No. Non hai errato. Ho proprio detto così. Diversa è l’ansia esagerata e paurosa di chi è egoista, dalla cura prudente di chi è giusto. Peccato è l’avarizia per il domani, che forse non godremo mai. Ma non è peccato la parsimonia per garantirsi un pane, e garantirlo ai congiunti, nei tempi scarsi. Peccato è l’egoistica cura del proprio corpo, esigendo che tutti coloro che ci stanno intorno siano preoccupati per esso, risparmiandosi ogni lavoro o sacrificio per paura che la carne soffra, ma non è peccato preservarlo da inutili malattie, prese per imprudenze, le quali malattie sono poi un peso per i famigliari e una perdita di proficuo lavoro per noi. Dio ha dato la vita. È un suo dono. Dobbiamo perciò usarne santamente, senza imprudenze come senza egoismi.

   312.4Vedi? Delle volte la prudenza consiglia azioni che agli stolti possono parere viltà o volubilità, mentre non sono che sante prudenze conseguenti a fatti nuovi che si sono presentati. Per esempio: se Io ti mandassi, ora, proprio in mezzo a gente che ti potesse nuocere… i parenti di tua moglie ad esempio, o i guardiani delle miniere dove hai lavorato, farei bene o male?».
   «Io… non ti vorrei giudicare. Ma direi che era meglio mandarmi altrove, dove non è pericolo che la mia poca virtù sia messa a troppo dura prova».
   «Ecco! Giudicheresti con saggezza e prudenza. È per questo che Io non ti manderei mai in Bitinia o in Misia dove sei già stato. E neppure in Cintium, nonostante che tu, spiritualmente, hai desiderio di andarvi. Il tuo spirito potrebbe venirvi sopraffatto da molte durezze umane e potrebbe retrocedere. Prudenza, dunque, insegna a non mandarti là dove saresti inutile, mentre potrei mandarti altrove con buon utile per Me e per le anime del prossimo e della tua. Non è vero?».
   Giovanni, ignaro come è di ciò che il destino gli riserba, non afferra le allusioni di Gesù ad una possibilità di missione fuori della Palestina. Gesù lo studia nel volto e lo vede calmo, beato nell’ascoltarlo, pronto a rispondere: «Sicuramente, Maestro, darei più utile altrove. Io stesso, quando giorni fa ho detto: “Vorrei andare fra i gentili per dare buon esempio dove ho dato mal esempio”, mi sono poi rimproverato dicendo: “Fra i gentili sì, perché tu non hai le prevenzioni degli altri d’Israele. Ma a Cintium no, e neppure sui desolati monti dove hai vissuto da galeotto e da lupo, al piombo o ai marmi preziosi. Neppure per sete di sacrificio assoluto potresti andarvi. Ti si sommuoverebbe il cuore coi ricordi crudeli e, se venissi riconosciuto, anche se non infierissero su te, direbbero: ‘Taci, assassino. Non possiamo ascoltarti’ e sarebbe inutile allora andare là”. Questo mi sono detto. Ed è pensiero buono».

   312.5«Vedi dunque che tu pure possiedi la prudenza. Io pure la possiedo. Per questo ti ho levato dalle fatiche dell’apostolato come lo fanno gli altri e ti ho portato qui, in riposo e in pace».
   «Oh! sì! Quanta pace! Vivessi cent’anni ancora, qui sarebbe sempre uguale. È una pace soprannaturale. E, se andassi via, la porterei con me. Anche nell’altra vita la porterò… I ricordi potranno ancora sommuovermi il cuore e le offese farmi soffrire, perché uomo sono. Ma non sarò mai più capace di odiare, perché qui l’odio è stato sterilito per sempre, fino nelle sue propaggini più lontane. Non ho più neppure antipatia per la donna, che io vedevo come l’animale più immondo e spregevo le della Terra. Tua Madre è fuori causa. Quella l’ho venerata dal momento che l’ho vista, perché l’ho sentita diversa da tutte le donne. Ella è il profumo della donna, ma il profumo della donna santa. Chi non ama il profumo dei fiori più puri? Ma anche le altre donne, le discepole buone, amorose, pazienti sotto i loro pesi di pianto, come Maria Cleofe ed Elisa; generose come Maria di Magdala, così assoluta nella sua mutazione di vita; soavi e pure come Marta e Giovanna; dignitose, intelligenti, tutto pensiero e tutta rettezza come Sintica, mi hanno riconciliato con la donna. Sintica poi, te lo confesso, è quella che prediligo. Affinità di mente me la fanno cara, e affinità di condizione — lei schiava, io galeotto — mi permettono di avere con lei la confidenza che la diversità delle altre mi vieta. È un riposo, Sintica, per me. Non saprei dirti cosa e come di preciso io la vedo. Io, vecchio rispetto a lei, la vedo come una figlia, la figlia sapiente e studiosa che avrei desiderato di avere… Ma io, malato che lei cura con tanto affetto, ma io, uomo triste e solitario che ha pianto e rimpianto la madre per tutta la vita e cercato la donna-madre in tutte le donne senza trovarla, ecco che ora vedo in lei la realtà del sogno sognato, e sulla mia testa stanca e la mia anima che va incontro alla morte sento scendere la rugiada di un affetto materno… Vedi che, sentendo in Sintica un’anima di figlia e di madre, io sento in lei la perfezione della donna, e per lei perdono tutto il male che dalla donna mi è venuto. Se, per un caso impossibile, quella sciagurata che mi fu moglie e che ho ucciso risorgesse, io sento che la perdonerei, perché ora ho compreso l’anima femminile, facile all’affetto, generosa nel darsi… sia nel male che nel bene».
   «Ho molto piacere che tu abbia trovato tutto ciò in Sintica. Ti sarà una buona compagna per il resto della vita e farete insieme tanto bene. Perché Io vi associerò…».
   Gesù scruta nuovamente Giovanni. Ma nessun segno di risvegliata attenzione è nel discepolo, che pure non è un superficiale. Quale misericordia divina gli vela fino al momento decisivo la sua sentenza? Non lo so. So che Giovanni sorride dicendo: «Cercheremo di servirti col meglio di noi».
   «Sì. E sono anche certo che lo farete senza discutere il lavoro e il luogo che vi darò, anche se non sarà quale voi lo desiderate…».

   312.6Giovanni ha un primo sentore di ciò che lo aspetta. Cambia volto e colore. Si fa serio e pallido, e il suo unico occhio fissa ora, attento e scrutatore, il viso di Gesù che prosegue: «Ti ricordi, Giovanni, quando Io, per calmare i tuoi dubbi sul perdono di Dio, ti ho detto[22]: “Per farti capire la Misericordia ti userò a speciali opere di misericordia e per te avrò le parabole della misericordia”?».
   «Sì. E fu vero. Tu mi hai fatto persuaso e mi hai concesso proprio di fare opere di misericordia e, direi, le più delicate, quali elemosine e istruzione di un bambino, di un filisteo e di una greca. Questo mi ha detto che Dio aveva tanto conosciuto il mio vero pentimento, e lo aveva visto reale, che mi affidava anime innocenti o anime di convertendi, perché io le formassi a Lui».
   Gesù abbraccia Giovanni e se lo attira contro il suo fianco, nell’atto che di solito ha con l’altro Giovanni, e impallidendo per il dolore che deve dare dice: «Anche ora Dio ti affida un compito delicato e santo. Un compito di predilezione. Tu solo, che sei generoso, che sei senza restrizioni e prevenzioni, che sei sapiente, che soprattutto ti sei offerto[23] a tutte le rinunzie e le penitenze per espiare quel resto di purgazione, quel debito che ancora avevi verso Dio, tu solo lo puoi fare. Ogni altro si rifiuterebbe, e avrebbe ragione, perché sarebbe mancante dei requisiti necessari. Non uno dei miei apostoli possiede tutto quanto hai tu per andare a preparare le vie del Signore… D’altronde ti chiami Giovanni. Sarai perciò un precursore della mia Dottrina… preparerai le vie al tuo Maestro… farai anzi le veci del Maestro che non può andare tanto lontano… (Giovanni sussulta e cerca di liberarsi dal braccio di Gesù per guardarlo in volto, ma non ci riesce perché la stretta di Gesù è dolce ma autoritaria, mentre la sua bocca dà il colpo finale…) …Non può andare tanto lontano… fino in Siria… in Antiochia…».

   312.7«Signore!», grida Giovanni liberandosi violentemente dall’abbraccio di Gesù. «Signore! In Antiochia? Dimmi che ho capito male! Dimmelo, per pietà!…».
   È in piedi… tutto una supplica nell’unico occhio, nel viso divenuto cinereo, nelle labbra che tremano, nelle mani protese avanti che tremano, nel corpo che pare piegarsi verso terra come gravato dalla notizia.
   Ma Gesù non può dire: «Hai capito male». Apre le braccia, alzandosi a sua volta per accogliere sul cuore il vecchio pedagogo, e apre le labbra per confermare: «In Antiochia, sì. In casa di Lazzaro. Con Sintica. Partirete domani o dopo domani».
   La desolazione di Giovanni è veramente straziante. Si libera a metà dall’abbraccio e, viso a viso, tutto lavato di pianto sulle gote magre, grida: «Ah! Tu non mi vuoi più con Te!! In che ti ho dispiaciuto, mio Signore?», e poi si svincola e si abbatte sul tavolo in uno scoppio di singhiozzi laceranti, strazianti, intercalati a colpi aspri di tosse, sordo ad ogni carezza di Gesù, mormorando: «Tu mi cacci, mi cacci, non ti vedrò mai più…».
   Gesù soffre visibilmente e prega… Poi esce piano e vede sulla porta della cucina Maria con Marziam, che è spaventato di quel pianto… Più là è Sintica, essa pure sorpresa.
   «Madre, vieni qui un momento».
   Maria viene lesta e pallida. Entrano insieme. Maria si curva sul piangente come se fosse un povero bambino, dicendo:
   «Buono, buono, povero figlio mio! Non così! Ti farà male».
   Giovanni alza un viso sconvolto e grida: «Mi manda via!…
   Morirò solo, lontano… Oh! poteva bene attendere qualche mese e lasciarmi morire qui. Perché questa punizione? In che ho peccato? Ti ho mai dato noia? Perché darmi questa pace per poi… per poi…». Si riabbatte sul tavolo, piangendo più forte, ansimante…
   Gesù gli posa la mano sulle spalle magre e sussultanti, dicendo: «E tu puoi credere che, se avessi potuto, non ti avrei tenuto qui? Oh! Giovanni! Nella via del Signore ci sono tremende necessità! E il primo a soffrirne sono Io. Io che porto il mio dolore e quello di tutto il mondo. Guardami, Giovanni. Vedi se il mio è il viso di uno che ti odia, che è stanco di te… Vieni qui, fra le mie braccia, senti come palpita di dolore il mio cuore. Intendimi, Giovanni, non fraintendermi. È l’ultima espiazione che Dio ti impone per aprirti le porte del Cielo.

   312.8Ascolta…». Lo solleva e se lo tiene fra le braccia. «Ascolta… Mamma, esci un momento… Ora che siamo soli, ascolta. Tu lo sai chi sono. Credi tu fermamente che Io sono il Redentore?».
   «E come no? È per questo che volevo stare con Te, sempre, fino alla morte…».
   «Alla morte… Orrenda sarà la mia morte!…».
   «La mia, dico. La mia!…».
   «La tua sarà placida, confortata dalla mia presenza, che ti infonderà certezza dell’amore di Dio, e dall’amore di Sintica, oltre che dalla gioia di avere preparato il trionfo del Vangelo in Antiochia. Ma la mia! Mi vedresti ridotto un ammasso di carne piagata, sputacchiata, vilipesa, abbandonata ad una folla inferocita, messa a morire appesa ad una croce come un malandrino… Potresti tu sopportare questo?».
   Giovanni, che ad ogni descrizione di come sarà Gesù nella Passione ha gemuto: «No, no!», urla un «no» reciso e aggiunge: «Tornerei ad odiare l’umanità… Ma io sarò morto perché Tu sei giovane e…».
   «E non vedrò che un’Encenie ancora».
   Giovanni lo fissa esterrefatto…
   «Te l’ho detto in segreto per spiegarti che una delle ragioni per cui ti mando lontano è questa. Non sarai solo ad avere questo. Tutti coloro che Io non voglio siano turbati in maniera superiore alle loro forze, Io li allontanerò avanti. E ti pare questo disamore?…».
   «No, mio martire Dio… Ma io, intanto, ti devo lasciare… e morirò lontano».
   «Per la Verità che Io sono, ti prometto che sarò curvo sul guanciale della tua agonia».
   «E come, se io sono tanto lontano, se mi dici che Tu lontano così non vieni? Lo dici per mandarmi via meno triste…».
   «Giovanna di Cusa, morente ai piedi del Libano, mi vide, ed ero ben lontano ed ella non mi conosceva ancora, e di là Io la condussi alla povera vita della Terra. Credi che nel giorno della mia morte ella rimpiangerà di avere vissuto!… Ma per te, gioia del mio cuore in questo secondo anno di Maestro, Io farò di più. Verrò a portarti nella pace, dandoti missione di dire agli attendenti: “L’ora del Signore è giunta. Come ora viene primavera sulla Terra, così per noi spunta la primavera del Paradiso”. Ma non verrò solo allora… Verrò, mi sentirai, sempre… Io lo posso e lo farò. Avrai il Maestro in te come neppur ora mi hai. Perché l’Amore può comunicarsi a chi ama, e tanto sensibilmente da toccare non solo lo spirito ma i sensi stessi.

   312.9Più quieto ora, Giovanni?».
   «Sì, mio Signore. Ma che dolore!».
   «Non hai ribellione però…».
   «Ribellarmi? Mai! Ti perderei del tutto. Dico il “mio” Padre nostro: sia fatta la volontà tua».
   «Lo sapevo che mi avresti capito…». Lo bacia sulle gote rigate da un continuo seppure pacato pianto.
   «Mi lasci salutare il bambino?… È un altro dolore questo… Gli volevo bene…». Il pianto torna più forte…
   «Sì. Lo chiamo subito… E chiamo anche Sintica. Essa pure soffrirà… Tu devi aiutarla, tu, uomo…».
   «Sì, Signore».
   Gesù esce, mentre Giovanni piange e bacia e carezza pareti e suppellettili della stanzetta ospitale.
   Entrano insieme Maria e Marziam.
   «Oh! Madre! Hai sentito? Lo sapevi?».
   «Lo sapevo. E me ne dolevo… Ma io pure mi sono separata da Gesù… E sono la Madre…».
   «È vero!… Marziam, vieni qui. Lo sai che vado via e che non ci vedremo più?…».
   Vuole essere forte. Ma si prende fra le braccia il bambino, si siede sull’orlo del letto e piange, piange sulla testa bruna di Marziam, che pensa bene di imitarlo.

   312.10Entra Gesù con Sintica, che chiede: «Perché, Giovanni, tanto pianto?».
   «Ci manda via, non lo sai? Non lo sai ancora? Ci manda ad Antiochia!».
   «Ebbene? Non ha Egli detto[24] che dove due sono congregati in suo nome Egli sarà frammezzo ad essi? Su, Giovanni! Tu, forse, hai fino ad ora sempre eletto da te la tua sorte, e per questo l’imposizione di una volontà, anche se d’amore, ti è sgomento. Io… io sono usa ad accettare la sorte imposta d’altrui. E che sorte!… Perciò ora piego volentieri il capo a questo nuovo destino. E che? Non mi sono ribellata alla schiavitù dispotica altro che quando essa voleva esercitarsi sull’anima mia. E dovrei ora ribellarmi a questa dolce schiavitù di amore, che non lede ma eleva la nostra anima e ci conferisce titolo di servi suoi? Hai paura del domani perché sofferente? Io lavorerò per te. Hai paura di rimanere solo? Ma io non ti lascerò mai. Stànne certo. Io non ho altro scopo alla mia vita che amare Dio e prossimo. Tu sei il prossimo che Dio mi affida. Pensa se mi sarai caro!».
   «Non avrete bisogno di lavorare per vivere, perché siete in casa di Lazzaro. Ma vi consiglio di usare metodo di insegnamento per avvicinare il popolo. Tu, come maestro; tu, donna, con lavori donneschi. Servirà all’apostolato e a dare scopo alle vostre giornate».
   «Sarà fatto, Signore», risponde fermamente Sintica.

   312.11Giovanni sta sempre col bambino fra le braccia e piange piano. Marziam lo carezza…
   «Ti ricorderai di me?».
   «Sempre, Giovanni, e pregherò per te… Anzi… Aspetta un momento…». Esce di corsa.
   Sintica chiede: «Come andremo ad Antiochia?».
   «Per mare. Hai paura?».
   «No, Signore. Tu ci mandi, del resto, e ciò ci proteggerà».
   «Andrete con i due Simone, i miei fratelli, i figli di Zebedeo, Andrea e Matteo. Da qui a Tolemaide sul carro, dove saranno messi i cofani e un telaio che ti ho fatto, Sintica, e alcuni oggetti utili per Giovanni…».
   «Io mi ero immaginato qualcosa vedendo i cofani e le vesti.
   E mi sono preparata l’anima al distacco. Era troppo bello vivere qui!…». Un singhiozzo represso spezza la voce di Sintica. Ma si riprende per sostenere il coraggio di Giovanni. Chiede con voce raffermata: «Quando partiremo?».
   «Non appena vengono gli apostoli, forse domani».
   «Allora, se permetti, vado a sistemare le vesti nei cofani. Dàmmi i tuoi libri, Giovanni». Credo che Sintica sia desiderosa di solitudine per piangere…
   Giovanni risponde: «Prendili… Però dammi quel rotolo legato d’azzurro».
   Rientra Marziam col suo vaso di miele. «Tieni, Giovanni. Lo mangerai per me…».
   «Ma no, bambino! Perché?».
   «Perché Gesù ha detto che una cucchiaiata di miele sacrificata può dare pace e speranza ad un afflitto. Tu sei afflitto… Io ti do tutto il miele perché tu sia tutto consolato».
   «Ma è troppo sacrificio, bambino».
   «Oh, no! Nella preghiera di Gesù si dice: “Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male”. Questo vaso era una tentazione per me… e poteva essere un male perché poteva farmi infrangere il voto. Così non lo vedo più… ed è più facile… e sono certo che Dio ti aiuta per questo nuovo sacrificio. Ma non piangere più. E neppur tu, Sintica…».
   Infatti la greca piange ormai, senza rumore, mentre raccoglie i libri di Giovanni. E Marziam li carezza a turno, con una grande voglia di piangere lui pure. Ma Sintica esce carica di rotoli e Maria la segue col vaso di miele.

   312.12Giovanni resta con Gesù, che gli si siede a lato, e col bambino fra le braccia. È calmo, ma accasciato.
   «Unisci anche l’ultimo tuo scritto nel rotolo», consiglia Gesù. «Penso che tu lo voglia dare a Marziam…».
   «Sì… Io ne ho una copia per me… Ecco, ragazzo. Questi sono le parole del Maestro. Quelle dette quando tu non eri presente e anche altre… Volevo continuare a copiarle, per te, perché tu hai la vita davanti… e chissà quanto evangelizzerai… Ma non posso più farlo… Ora sono io che resto senza le sue parole…». Torna a piangere forte.
   Marziam è dolce e virile nel suo nuovo atto. Si attacca al collo di Giovanni e dice: «Ora sarò io che le scriverò per te e te le manderò… Vero, Maestro? Si può, non è vero?».
   «Certo che si può. E sarà grande carità farlo».
   «Lo farò. E quando non ci sarò io lo farò fare a Simone Zelote. Mi vuole e ti vuole bene, e lo farà per farci carità. Non piangere dunque più. Poi ti verrò a trovare io… Non andrai certo lontano…».
   «Oh! quanto! Centinaia di miglia… E presto io morrò».
   Il bambino è deluso e sconfortato. Ma si riprende con la bella serenità del fanciullo al quale tutto sembra facile. «Come ci vai tu, così ci posso venire io col padre mio. E poi… ci scriveremo. Quando si leggono le pagine sacre è come stare con Dio, non è vero? Dunque, quando si legge una lettera è come stare con chi amiamo e che ce l’ha scritta. Su, vieni di là, con me…».
   «Sì, andiamo di là, Giovanni.

   312.13Fra poco verranno i miei fratelli con lo Zelote. Li ho mandati a chiamare».
   «Sanno?».
   «Non ancora. Attendo a dirlo quando saranno presenti tutti…».
   «Va bene, Signore. Andiamo…».
   È un vecchio ben curvo quello che esce dalla stanza di Giuseppe. Un vecchio che pare salutare ogni stelo, ogni fusto e la vasca e la grotta, mentre si dirige verso lo stanzone laboratorio, dove Maria e Sintica silenziosamente dispongono gli oggetti e le vesti nel fondo dei cofani…
   E così, silenziosi e mesti, li trovano Simone, Giuda e Giacomo. Osservano… ma non fanno domande, e non riesco a capire se intuiscono la verità.

   
   312.14
Dice Gesù:
   «Avevo, per dare netta indicazione ai lettori, indicato il luogo dell’espiazione carceraria di Giovanni col nome in uso ora.
   Ne viene fatta eccezione[25]. Ecco che ora specifico: “Bitinia e Misia” per chi vuole i nomi antichi. Ma questo è il Vangelo per i semplici ed i piccoli. Non per i dottori ai quali, nella grande maggioranza, è inaccettabile e inutile. E i semplici ed i piccoli comprendono più “Anatolia” che “Bitinia o Misia”.
   Non è vero, piccolo Giovanni che piangi per il dolore di Giovanni di Endor? Ma ce ne sono tanti di Giovanni di Endor nel mondo! Sono i fratelli desolati per i quali ti facevo soffrire[26] lo scorso anno. Ora riposa, piccolo Giovanni che non sarai mai mandato lontano dal Maestro, ma anzi sempre più vicino.
   E con questo ha termine il secondo anno di predicazione e di vita pubblica, l’anno della Misericordia… E non posso che ripetere il lamento messo a chiusura del primo anno. Ma non tocca il mio portavoce, il quale, contro gli ostacoli di ogni genere, continua la sua opera. Veramente non sono i “grandi” ma i “piccoli” quelli che percorrono le vie eroiche, spianandole, con il loro sacrificio, anche a coloro che sono appesantiti da troppe cose. I “piccoli”, ossia i semplici, i miti, i puri di cuore e di intelletto. I “pargoli”.
   Ed Io vi dico, o pargoli, vi dico, o Romualdo e Maria, e con voi a quelli che sono pari a voi: “Venite a Me per udire ancora e sempre il Verbo che vi parla perché vi ama, che vi parla per benedirvi. La mia pace sia con voi”».

[22] ti ho detto, come in 205.1.
[23] ti sei offerto, in 250.10.
[24] detto, in 278.2.
[25] eccezione ha qui il significato di obiezione (come in nota a 62.2 e a 343.5, e nel testo di 619.7). Segue una giustificazione che avvalora le note messe in: 3.2 (mesi dell’anno), 40.6 (citazioni bibliche), 44.3 (uso del latino), 157.2 (cristiani), 272.4 (purgatorio), 323.5 (parentele), 591.6 (giorni della settimana). Altri esempi di termini anacronistici, non annotati ma ugualmente giustificabili, sono: chilometri (come in 335.12), Eucarestia (come in 612.1, 615.9, 629.7, 635.15), seminari (come in 629.11). Non sono anacronistici, ovviamente, i termini moderni nelle espressioni personali della scrittrice, come quelli annotati in 419.5 e 531.20.
[26] per i quali ti facevo soffrire, come si può leggere nel “dettato” del 29 maggio 1944, riportato nel volume “I quaderni del 1944”.

 FINE DEL SECONDO ANNO DI VITA PUBBLICA DI GESU'