MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 313



CCCXIII. Preparativi di partenza da Nazareth dopo la visita di Simone d’Alfeo con la famiglia.

TERZO ANNO DELLA VITA PUBBLICA: GESU' SARA' IL GIUSTO   

   29 ottobre 1945.

   313.1Giovanni, Giacomo, Matteo e Andrea sono già arrivati a Nazaret e, in attesa di Pietro, si aggirano per l’orto di Nazaret scherzando con Marziam oppure parlando fra di loro. Non vedo nessun altro, quasi che Gesù fosse fuori di casa e Maria fosse occupata in faccende. Dal forno che fuma direi che è là dentro intenta al pane.
   Sono contenti i quattro apostoli di essere in casa del Maestro e lo dimostrano anche. Marziam per ben tre volte dice loro: «Non ridete così!». E la terza volta la raccomandazione è notata da Matteo che chiede: «Perché, ragazzo? Non è giusto essere contenti di essere qui? Tu te lo sei goduto questo posto, eh? Ora ce lo godiamo noi», e gli dà bonariamente un buffetto. Marziam lo guarda molto serio. Ma sa tacere.
   Rientra Gesù insieme ai cugini Giuda e Giacomo, che con molta espansione salutano i compagni dai quali furono divisi per molti giorni. Maria d’Alfeo mette il capo fuori dal forno, tutta rossa e infarinata, e sorride ai suoi figlioloni.
   Ultimo, ritorna lo Zelote dicendo: «Ho fatto tutto, Maestro.
   Fra poco Simone sarà qui».
   «Quale Simone? Mio fratello o Simone di Giona?».
   «Tuo fratello, Giacomo. Viene con tutta la famiglia a salutarti».

   313.2Infatti, dopo pochi minuti, dei colpi alla porta e un chiacchiericcio fitto fitto annunciano l’arrivo della famiglia di Simone d’Alfeo, che entra per primo avendo per mano un bambinello di circa otto anni; dietro di lui è Salome, contornata dalla sua chiocciata. Maria d’Alfeo corre fuori dalla stanza del forno e si bacia i nipoti, felice di vederli lì.
   «Tu parti, dunque, di nuovo?», chiede Simone mentre i suoi figli stringono amicizia con Marziam che, mi sembra, conosce bene solo il guarito Alfeo.
   «Sì. È tempo».
   «Avrai ancora giorni piovosi».
   «Non importa. Ogni giorno ci avvicina a primavera».
   «Vai a Cafarnao?».
   «Andrò certo anche là. Ma non subito. Ora anderò per la Galilea e oltre».
   «Ti verrò a trovare quando ti saprò a Cafarnao. Ti accompagnerò la tua e la mia madre».
   «Te ne sarò grato. Per ora non trascurarla. Rimane tutta sola. Portale i bambini. Qui non si corrompono. Stànne sicuro…».
   Simone diventa di bragia per l’allusione di Gesù a suoi pensieri passati e per l’occhiata molto chiara della moglie, che pare dica: «Lo senti? Ti sta ben detto». Ma Simone volta il discorso dicendo: «Dove è tua Madre?».
   «Sta facendo il pane. Ma ora verrà…».
   I figli di Simone, però, non attendono di più e nel forno, dietro alla nonna, ci vanno loro. E una bambinella, di poco più grande del guarito Alfeo, ne esce quasi subito dicendo: «Maria piange. Perché? Eh! Gesù? Perché piange tua Madre?».
   «Piange? Oh! cara! Vado da Lei», dice Salome premurosa.
   E Gesù spiega: «Piange perché vado via… Ma tu verrai a tenerle compagnia, non è vero? Ti insegnerà a ricamare e tu la rallegrerai. Me lo prometti?».
   «Ci verrò anche io, ora che il padre mi ci lascia venire», dice Alfeo mangiando una focaccella calda che gli è stata data.
   Ma, per quanto questa sia tanto calda che non può quasi essere tenuta fra le dita, io credo sia sempre gelida rispetto al calore di vergogna che investe Simone d’Alfeo per le parole del figliolino. Nonostante sia una mattinata d’inverno piuttosto freddina, per un venticello di borea che spazza le nubi dal cielo ma frizza anche sull’epidermide, Simone si copre di una perspirazione abbondante, come fosse piena estate…
   Ma Gesù mostra di non avvedersene e gli apostoli fingono un grande interesse per ciò che raccontano i figli di Simone, e così ha termine l’incidente

   313.3e Simone può riprendersi e domandare a Gesù perché non sono presenti tutti gli apostoli.
   «Simone di Giona sta per giungere. Gli altri mi raggiungeranno al momento buono. È già detto».
   «Tutti?».
   «Tutti».
   «Anche Giuda di Keriot?».
   «Anche lui…».
   «Gesù, vieni un momento con me», prega il cugino Simone.
   E, scostàti che siano verso il fondo dell’orto, Simone chiede:
   «Ma lo sai bene chi è Giuda di Simone?».
   «È un uomo d’Israele. Nulla di più, nulla di meno».
   «Oh! non mi vorrai dire che è…». Sta per accalorarsi e alzare la voce.
   Ma Gesù lo placa interrompendolo e posandogli una mano sulla spalla, dicendo: «È quale lo fanno le idee imperanti e coloro che lo avvicinano. Perché, per esempio, se qui (e calca molto le parole) avesse trovato tutti animi giusti e menti intelligenti, non avrebbe trovato gusto a peccare. Ma non li ha trovati. All’opposto ha trovato un elemento tutto umano, nel quale egli ha adagiato con assoluto comodo il suo io molto umano che sogna, vede, lavora per Me e in Me re d’Israele, nel senso umano del termine, così come mi sogni e mi vorresti vedere e ti sentiresti di lavorare tu, e con te Giuseppe tuo fratello, e con voi due Levi sinagogo di Nazaret, e Matatia e Simeone e Mattia e Beniamino e Giacobbe e, meno tre o quattro, tutti voi di Nazaret. E non solo di Nazaret… Egli stenta a formarsi perché voi tutti contribuite a sformarlo. Sempre più. È il più debole dei miei apostoli. Ma non è, per ora, più che un debole. Ha impulsi buoni, ha volontà rette, ha amore per Me. Deviato nella sua forma, ma amore sempre. Voi non lo aiutate a dimalgamare queste parti buone dalle parti non buone che formano il suo io, ma sempre più le aggravate gettandovi dentro le vostre incredulità e limitatezze umane.

   313.4Ma andiamo in casa. Gli altri ci hanno preceduti in essa…».
   Simone lo segue un poco mortificato. Sono quasi sulla soglia quando trattiene Gesù e dice: «Fratello mio, sei Tu in collera con me?».
   «No. Ma cerco di formare anche te come formo tutti gli altri discepoli. Non hai detto che vuoi essere tale?».
   «Sì, Gesù. Ma le altre volte non parlavi così, neppure quando rimproveravi. Eri più dolce…».
   «E a che ha servito? Un tempo lo ero. Sono due anni che lo sono… Sulla mia pazienza e bontà avete impoltrito oppure avete affilato zanne e unghioni. L’amore vi ha servito a nuocermi. Non è così?…».
   «È così. È vero. Ma allora non sarai più buono?».
   «Sarò giusto. Ed anche essendo questo, sarò sempre quale non lo meritate, o voi d’Israele che non volete riconoscere in Me il promesso Messia».

   313.5Entrano nella stanzetta, tanto stipata di persone che molti sono finiti in cucina o nel laboratorio di Giuseppe. E questi sono gli apostoli, meno i due figli di Alfeo rimasti presso la madre e la cognata, alle quali si unisce ora Maria che entra tenendo per mano il piccolo Alfeo. Sul viso di Maria sono chiari segni di pianto versato.
   Ma, mentre Ella sta per rispondere a Simone che le assicura che verrà da Lei tutti i giorni, nella vietta quieta si avanza un carretto e con un tal rumore di bubboli che attira, per il baccano che fa, l’attenzione dei figli d’Alfeo e, mentre di fuori si bussa, di dentro si apre, contemporaneamente. Appare il volto allegro di Simon Pietro, ancora seduto sul carro, che bussa con il manico della frusta… Al suo fianco, timida ma sorridente, è Porfirea, seduta su casse e cassette come fossero un trono.
   Marziam corre fuori e si arrampica sul carro per salutare la sua madre adottiva. Escono anche gli altri fra i quali Gesù.
   «Maestro, eccomi. Ho portato la moglie e con questo mezzo, perché è donna che non regge al cammino. Maria, il Signore sia con te. Anche con te, Maria d’Alfeo». Guarda tutti, mentre scende dal suo veicolo e aiuta a scendere la moglie, e saluta cumulativamente.
   Vorrebbero aiutarlo a scaricare il carretto. Ma egli si oppone energicamente. «Dopo, dopo», dice. E poi, senza complimenti, va alla larga porta del laboratorio di Giuseppe e la spalanca cercando farvi entrare il carretto così come sta. Non ci passa, naturalmente. Ma la manovra serve a distrarre gli ospiti e a far capire che sono di troppo… E infatti Simone d’Alfeo si accomiata con tutta la sua famiglia…

   313.6«Oh! ora che siamo soli, pensiamo a noi…», dice Simone di Giona facendo retrocedere l’asinello, che fa baccano per dieci, coperto come è di sonagli, tanto che Giacomo di Zebedeo non può trattenersi dal chiedere ridendo: «Ma dove lo hai trovato, così bardato?».
   Ma Pietro è intento a prendere le casse che erano sul carretto e a porgerle a Giovanni e Andrea, che credono di dovere sentire del peso e restano di stucco perché le casse sono leggere, e lo dicono…
   «Filate nell’orto e non fate le passere spaventate», ordina Pietro scendendo a sua volta con una cassettina realmente pesante, che depone in un angolo della stanzetta.
   «E ora l’asino e il carro. L’asino e il carro? L’asino e il carro!… Questo è il difficile!… Eppure deve essere tutto in casa…».
   «Dall’orto, Simone», dice sottovoce Maria. «Vi è una chiudenda nella siepe in fondo. Non sembra che ci sia perché è coperta di rami… Ma c’è. Segui il sentiero sul fianco della casa, fra questa e l’orto vicino, e io ti verrò a mostrare dove è la chiudenda… Chi viene a scansare i rovi che la coprono?».
   «Io. Io». Tutti corrono nel fondo dell’orto, mentre Pietro se ne va col suo chiassoso equipaggio e Maria d’Alfeo chiude la porta… E lavorando con un falcetto viene liberata la rustica cancellata e aperto il varco dal quale entra asino e carretto.
   «Oh! bene! E ora leviamo tutto questo. Ne ho rotte le orecchie!», e Pietro si affretta a tagliare i lacci che tengono legati i sonagli alla bardatura.
   «Ma perché ce li hai tenuti, allora?», chiede Andrea.
   «Perché tutta Nazaret mi sentisse arrivare. E ci sono riuscito… Ora li levo perché tutta Nazaret non ci senta partire. E così ho messo le casse vuote… Partiremo con le casse piene, e nessuno, se alcuno ci vedrà, si stupirà di vedere una donna seduta sulle casse al mio fianco. Quello che è lontano si vanta di possedere buon senso e senso pratico. Ma quando voglio ce l’ho anche io…».
   «Ma scusa, fratello. Perché è necessario tutto questo?», chiede Andrea, che ha dato da bere all’asino portandolo presso la rozza legnaia vicina al forno.
   «Perché? Ma non sai?… Maestro, ma non sanno ancora niente?».
   «No, Simone. Attendevo te per parlare. Venite tutti nel laboratorio. Le donne stanno bene là dove sono. E bene hai fatto a fare così, Simone di Giona».

   313.7Vanno nel laboratorio mentre Porfirea col bambino e le due Marie sono rimaste in casa.
   «Vi ho voluti qui perché mi dovete aiutare a fare andare via, molto lontano, Giovanni e Sintica. È dai Tabernacoli che ho deciso così. Voi avete ben veduto che non era possibile tenerli con noi e neppure tenerli qui, a meno di mettere in repentaglio la loro pace. Come sempre, Lazzaro di Betania mi aiuta in quest’opera. Essi sono già avvisati. Simon Pietro lo sa da pochi giorni. Voi lo sapete ora. Questa notte lasceremo Nazaret. Anche se ci fosse acqua e vento in luogo della prima luna. Avremmo già dovuto essere partiti. Ma suppongo che Simone di Giona abbia avuto ostacoli nel trovare il trasporto…».
   «E come! Ormai disperavo di trovarlo. Ma da un laido greco di Tiberiade ho potuto averlo, finalmente… E farà comodo…».
   «Sì. Farà comodo, specie per Giovanni di Endor».
   «Dove è, che non si vede?», chiede Pietro.
   «Nella sua stanza con Sintica».
   «E… come ha preso la cosa?», chiede ancora Pietro.
   «Con molto dolore. Anche la donna…».
   «E anche Tu, Maestro. La tua fronte è segnata da una ruga che non c’era, e hai l’occhio severo e triste», osserva Giovanni.
   «È vero. Ho molto dolore…

   313.8Ma parliamo di ciò che dobbiamo fare. Ascoltatemi bene, perché poi ci dovremo lasciare. Partiremo questa sera, a metà della prima vigilia[27]. Partiremo come persone che fuggono… perché sono colpevoli. Invece noi non andiamo a fare del male, non fuggiamo perché lo abbiamo fatto. Ma ce ne andiamo per impedire che altri lo faccia a chi non avrebbe forza di sopportarlo. Partiremo dunque… Andremo per la via di Sefori… E sosteremo in una casa a mezza strada per partire all’alba. È una casa con molti porticati per le bestie. Vi sono pastori amici di Isacco. Li conosco. Mi ospiteranno senza chiedere nulla. Poi dovremo assolutamente raggiungere Jiftael entro sera e sostarvi. Pensi che la bestia lo possa?».
   «Altro che! Me lo ha fatto pagare, quel sudicio greco, ma mi ha dato una bestia buona e forte».
   «Ciò è bene. Al mattino di poi andremo a Tolemaide e ci separeremo. Voi, sotto la guida di Pietro, che è il vostro capo e che dovrete ubbidire ciecamente, anderete per mare fino a Tiro. Là troverete una nave in partenza per Antiochia. Vi salirete dando questa lettera da vedere al padrone della nave. È di Lazzaro di Teofilo. Voi passate per suoi servi, mandati alle sue terre di Antiochia, o meglio ai suoi giardini di Antigonio. Così siete per tutti. Sappiate essere attenti, seri, prudenti e silenziosi. Giungendo ad Antiochia andate subito da Filippo, l’intendente di Lazzaro, al quale darete questa lettera…».
   «Maestro, egli mi conosce», dice lo Zelote.
   «Molto bene».
   «Ma come mi crederà servo?».
   «Per Filippo non occorre. Egli sa che deve ricevere e ospitare due amici di Lazzaro e aiutarli in tutto. Così è scritto. Voi li avete accompagnati. Nulla più. Egli vi chiama “suoi cari amici di Palestina”. E tali siete, accomunati dalla fede e dall’azione che compite. Riposerete fino a che la nave, compiute le sue operazioni di scarico e carico, ripartirà per Tiro. Da Tiro con la barca verrete a Tolemaide e da lì mi raggiungerete ad Aczib…».
   «Perché non vieni con noi, Signore?», sospira Giovanni.
   «Perché resto a pregare per voi e specie per quei poverini.
   Resto a pregare.

   313.9Si inizia così il mio terzo anno di vita pubblica. Si inizia con una partenza ben triste; come il primo ed il secondo. Si inizia con una grande preghiera e penitenza come il primo… Perché questo ha le difficoltà dolorose del primo, e più ancora. Allora mi preparavo a convertire il mondo. Ora mi preparo a ben più vasta e potente opera. Ma, ascoltatemi bene, ma sappiate che, se nel primo fui l’Uomo-Maestro, il Sapiente che chiama alla sapienza con umanità perfetta e intellettuale perfezione, e nel secondo fui il Salvatore e Amico, il Misericorde che passa accogliendo, perdonando, compatendo, sopportando, nel terzo Io sarò il Dio Redentore e Re, il Giusto. Non stupite perciò se vedrete in Me forme nuove, se nell’Agnello vedrete balenare il Forte. Cosa ha risposto Israele al mio invito di amore, al mio aprire ad esso le braccia dicendo: “Vieni, Io amo e perdono”? Con la sempre crescente, voluta ottusità e durezza di cuore, con la menzogna, con l’insidia. Ebbene sia. Lo avevo chiamato, in ogni sua classe, curvando la mia fronte fino alla polvere. Sulla Santità che si umiliava esso ha sputato. Lo avevo invitato a santificarsi. Mi ha risposto indemoniandosi. Ho fatto il mio dovere, in tutto. Il mio dovere lo ha chiamato “peccato”. Ho taciuto. Il mio silenzio lo ha chiamato “prova di colpevolezza”. Ho parlato. La mia parola l’ha chiamata “bestemmia”. Ora basta! Non mi ha lasciato respiro. Non mi ha concesso una gioia. E la gioia per Me era crescermi nella vita dello spirito i neonati alla Grazia. Mi vengono insidiati e me li devo strappare dal petto, dando a loro e a Me spasimo di genitori e di figli strappati l’uno all’altro, per metterli in salvo da Israele malevolo. Essi, i potenti d’Israele che si dicono “santificatori” e si vantano di esserlo, impediscono a Me, vorrebbero impedirmi, di salvare e di gioire dei miei salvati. Ho da ormai molti e molti mesi un Levi pubblicano nella mia amicizia e al mio servizio, e il mondo vede se Matteo è scandalo o emulazione. Ma non cade l’accusa. E non cadrà per Maria di Lazzaro e per quanti e quanti altri Io salverò. Ora basta! Io vado sulla mia via sempre più aspra e bagnata di pianto… Vado… Non una delle mie lacrime cadrà inutilmente. Esse gridano al Padre mio… E poi griderà un ben più potente umore. Io vado. Chi mi ama mi segua e si virilizzi, perché viene l’ora severa. Io non mi arresto. Nulla mi arresta. Anche essi non si arresteranno… Ma guai a loro! Guai a loro! Guai a quelli per cui l’Amore diviene Giustizia!… Il segno del nuovo tempo sarà di una Giustizia severa per tutti coloro che sono ostinati nel loro peccato contro le parole del Signore e l’azione del Verbo del Signore!…».

   313.10Gesù sembra un arcangelo punitore. Direi che fiammeggia contro la parete fumosa, tanto i suoi occhi splendono… Pare che splenda persino la sua voce, che ha toni acuti di bronzo e argento percosso con violenza.
   Gli otto apostoli sono impalliditi e quasi impiccoliti dal timore. Gesù li guarda… con pietà e amore. Dice: «Non dico a voi, amici miei. Non sono per voi queste minacce. Voi siete i miei apostoli ed Io vi ho scelto». La voce si è fatta dolce e profonda. Termina: «Andiamo di là. Facciamo sentire ai due perseguitati — e vi ricordo che essi credono di partire per prepararmi la via ad Antiochia — che li amiamo più di noi stessi. Venite…».

[27] a metà della prima vigilia può corrispondere, nei nostri tempi, alle ore sette/otto circa della sera. Il giorno ebraico andava da un tramonto all’altro del sole e si divideva in due parti. La prima parte del giorno, quella notturna, si componeva di quattro vigilie di tre ore ciascuna. (Gallicinio, che significa canto del gallo, era il nome che si dava alla terza vigilia). La seconda parte del giorno, quella diurna, comprendeva le restanti dodici ore. Poiché le due parti del giorno erano regolate, rispettivamente, dal tramonto e dalla levata del sole, la lunghezza delle ore notturne (raggruppate in vigilie) e di quelle diurne variava da una stagione all’altra.