MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 319



CCCXIX. Partenza da Tiro sulla nave del cretese Nicomede.

   4 novembre 1945.

   319.1Tiro si ridesta fra sbuffi di maestrale. Il mare è tutto un ridere di ondette, azzurro-bianco, splendore agitato sotto un cielo azzurro, sotto cirri bianchi in moto lassù come la spuma dell’onde è in moto quaggiù. Il sole si gode la sua giornata di sereno dopo tanto grigiore di maltempo.
   «Ho capito», dice Pietro drizzandosi in piedi nella barca dove ha dormito. «È l’ora di muoversi. E “lui” (e accenna il mare che entra inquieto fin nel porto) ci ha dato l’acqua lustrale… Uhm! Andiamo a fare la seconda parte del sacrificio… Di’, Giacomo… Non ti sembra proprio di portare al sacrificio due vittime? A me sì».
   «Anche a me, Simone. E… ringrazio il Maestro della stima che ha in noi. Ma… non avrei voluto essere io a vedere tanto dolore. E non mi sarei mai pensato di vedere questo…».
   «Neanche io… Ma… Lo sai? Io dico che il Maestro non lo avrebbe fatto se il Sinedrio non ci avesse messo il naso…».
   «Lo ha detto infatti… Ma chi avrà avvertito il Sinedrio? Questo vorrei sapere…».
   «Chi? Dio eterno, fammi tacere e fammi non pensare! L’ho fatto io questo voto, per levarmi questo sospetto che mi trivella. Aiutami, Giacomo, a non pensare. Parla di tutt’altra cosa».
   «Ma di che? Del tempo?».
   «Sì, magari».
   «È che di mare io non me ne intendo…».
   «Io credo che balleremo», dice Pietro guardando il mare.
   «Nooh! Un po’ d’onda. Ma sono scherzi. Era più brutto ieri.
   Dall’alto della nave sarà bello tutto questo mare mosso così. Piacerà a Giovanni… Lo farà cantare.

   319.2Quale sarà la nave?».
   Si drizza in piedi lui pure, osservando i navigli messi dall’altra parte e visibili, con le loro alte soprastrutture, soprattutto quando l’onda solleva la navicella loro con un moto d’altalena. Guardano studiando le diverse navi, facendo pronostici… Il porto si anima.
   Pietro interpella un barcaiolo, o qualcosa di simile, che armeggia sulla banchina: «Sai se c’è in porto, quel porto là, il naviglio di… aspetta che leggo questo nome… (e tira fuori una pergamena legata che ha nella cintura). Ecco qui: Nicomede Filadelfio di Filippo, cretese di Paleocastro…».
   «Oh! il grande navigante! E chi non lo conosce? Credo sia noto non solo dal golfo delle Perle alle colonne d’Ercole, ma fino ai mari freddi, quelli nei quali si dice sia notte per mesi interi! Come non lo conosci, tu che sei marinaio?».
   «No. Non lo conosco, ma presto lo conoscerò poiché lo cerco per conto del nostro amico Lazzaro di Teofilo, un tempo governatore in Siria».
   «Ah! Quando io navigavo — ora vecchio sono — in Antiochia egli c’era… Bei tempi… Tuo amico? E cerchi Nicomede il cretese? Va’ sicuro, allora. Vedi quel naviglio là, il più alto, con quei vessilli al vento? È il suo. Salpa prima di sesta. Non teme il mare lui!…».
   «Non c’è da temerlo, infatti. Non è gran che», osserva Giacomo. Ma una rude ondata lo smentisce, innaffiando i due da capo a piedi.
   «Ieri troppo fermo, oggi troppo mosso. Un bel matto, va’ là!
   Preferisco il lago…», brontola Pietro asciugandosi il viso.
   «Vi consiglio entrare nelle darsene. Ci vanno tutti, vedete?».
   «Ma noi dobbiamo partire. Andare via con la nave di… di…
   aspetta: di Nicomede, più tutto il resto!», dice Pietro che non riesce a ricordare i nomi strani del cretese.
   «Non vorrete caricare anche la barca sulla nave?».
   «No, si capisce!».
   «Allora nelle darsene c’è il posto per le custodie e uomini a guardia fino al ritorno. Una moneta al giorno fino al ritorno. Perché penso che voi abbiate a tornare…».
   «Certo, certo. Si va e si torna dopo aver visto lo stato dei giardini di Lazzaro, ecco».
   «Ah! suoi intendenti siete?».
   «E anche di più…».
   «Bene. Venite con me. Vi mostro il luogo. È fatto apposta per quelli che lasciano come voi le barche…».
   «Aspetta…

   319.3Ecco gli altri. Fra un momento siamo da te». E Pietro salta sulla banchina e corre incontro ai compagni che vengono.
   «Hai dormito bene, fratello?», chiede premuroso Andrea.
   «Come un bambino nella cuna. E non mi è mancato il dondolo e la canzone…».
   «Mi pare che non ti è mancata neppure la lavata», dice sorridendo il Taddeo.
   «Già! Il mare è… così buono che mi ha lavato il viso per levarmi il sonno».
   «Un po’ grosso, mi pare», obbietta Matteo.
   «Oh! ma se sapeste con chi si va! Uno che è conosciuto fino dai pesci dei ghiacci».
   «Lo hai già visto?».
   «No. Ma me ne ha parlato uno che mi dice che c’è un posto per le barche, un deposito… Venite, che scarichiamo i cofani e andiamo, perché Nicodemo, no, Nicomede il cretese parte fra poco».
   «Nel canale di Cipro balleremo bene», dice Giovanni di Endor.
   «Sì, eh?», chiede impensierito Matteo.
   «Sì. Ma Dio ci aiuterà».

   319.4Sono da capo vicino alla barca.
   «Ecco, uomo. Ora si tira fuori questa roba e poi si va, visto che sei tanto buono».
   «Ci si aiuta…», dice quello di Tiro.
   «Eh! già! Ci si aiuta, ci si dovrebbe aiutare. Amare ci si dovrebbe, perché questa è la legge di Dio…».
   «Mi si dice che in Israele è sorto un nuovo profeta che predica questo. È vero?».
   «Se è vero! Questo e altro! E che miracoli fa! Forza, Andrea, issa, issa, più a destra. Forza, mentre l’onda alza la barca… Ohp-là! Fatto!… Ti dicevo, uomo: e che miracoli! Morti che risuscitano, malati che guariscono, ciechi che vedono, ladri che si convertono e persino… Vedi? Fosse qui Lui, direbbe al mare: “Sta’ fermo”, e il mare si calmerebbe… Ci riesci, Giovanni? Aspetta, che vengo io. Voi tenete forte e ben accosto… Su, su… Ancora un poco… Tu, Simone, prendi la maniglia… Attento alla mano, Giuda! Su, su… Grazie, uomo… Attenti a non cadere nell’acqua, voi di Alfeo… Su… Ci siamo! Sia lode a Dio! Si è faticato meno a metterli giù che a tirarli su… Ma ho le braccia rotte dall’esercizio di ieri… Dunque, dicevo del mare…».
   «Ma è vero, poi?».
   «Vero? C’ero io a vedere!».
   «Sì? Oh!… Ma dove?».
   «Sul lago di Gennezaret. Vieni in barca, che mentre si va al deposito ti dico…», e se ne va con l’uomo e con Giacomo, remando nel canale che va alle darsene.

   319.5«E Pietro dice di non saper fare…», osserva lo Zelote. «Invece ha l’arte di fare sapere le cose, così alla buona, e fa più di tutti».
   «Quello che mi piace tanto in lui è la sua onestà», dice l’uomo di Endor.
   «E la sua costanza», aggiunge Matteo.
   «E la sua umiltà. Guardate se si insuperbisce sapendo di essere il “capo”! Fatica più di tutti, si preoccupa più di noi che di sé…», dice Giacomo d’Alfeo.
   «Ed è così virtuoso, nel suo senso. Un fratello buono. Nulla più…», termina Sintica.
   «Sicché è detto proprio? Così passate? Come due fratelli?[35]», chiede dopo qualche tempo lo Zelote ai due discepoli.
   «Sì. È meglio. Né è menzogna, ma spirituale verità. Egli mi è fratello maggiore e d’altro letto, ma di unico padre. Il Padre è Dio, i diversi letti Israele e la Grecia; e Giovanni m’è maggiore, e lo si vede, per età, e — ciò non si vede ma è — per essere discepolo da più tempo di me.

   319.6Ecco Simone che torna…».
   «Fatto tutto. Andiamo…».
   Si caricano dei cofani e per l’istmo stretto passano all’altro porto. L’uomo di Tiro li accompagna, pratico come è, per i vicoli fatti dalle balle di mercanzie accatastate sotto tettoie vastissime, fino alla potente nave del cretese, che già sta facendo le manovre di prossima partenza, e dà la voce a quelli di bordo perché ricalino la passerella che hanno alzata.
   «Non si può. Carico fatto», urla il capo ciurma.
   «Ha lettere da dare», dice l’uomo accennando a Simone di Giona.
   «Lettere? Di chi?».
   «Di Lazzaro di Teofilo, già governatore d’Antiochia».
   «Ah! Vado dal padrone».
   Simone dice all’altro Simone e a Matteo: «Fate voi, ora. Io sono rozzo per trattare con uno così…».
   «No. Tu sei il capo e tu fai, e fai bene. Noi ti aiuteremo, se mai. Ma non ce ne sarà bisogno».
   «Dove è l’uomo delle lettere? Salga», dice un uomo bruno come un egiziano, magro, bello, snello, severo, sulla quarantina, poco più, che si sporge dall’alta murata. E fa ricalare la passerella.
   Simone di Giona, che si è rimesso l’abito e il mantello mentre attendeva la risposta, sale tutto dignitoso. Dietro a lui, lo Zelote e Matteo.
   «La pace a te, uomo», saluta gravemente Pietro.
   «Salve. La lettera dove è?», chiede il cretese.
   «Eccola».
   Il cretese rompe il sigillo, stende e legge.
   «Ben vengano i messi della famiglia di Teofilo! I cretesi non dimenticano che era buono e gentile. Ma fate presto. Avete molto carico?».
   «Quanto ne vedi sulla banchina».
   «E siete in…».
   «In dieci».
   «Va bene. Faremo posto alla donna. Voi vi adatterete alla meglio. Su presto. Occorre uscire e prendere il largo prima che il vento rinforzi, e dopo sesta così sarà».
   E ordina, con fischi laceranti, il carico dei cofani e la loro stivagione. Poi salgono gli apostoli e i due discepoli. Si alza la passerella, si chiude la murata, si mollano gli ormeggi, si alzano le vele. E la nave inizia l’andare, rollando forte nell’uscire dal porto. Poi le vele si tendono scricchiolando, tanto le gonfia il vento, e con largo beccheggio la nave prende il largo fuggendo rapida verso Antiochia…
   Nonostante il vento violento, Giovanni e Sintica, vicini, aggrappati ad un paranco, a poppa, guardano allontanarsi la costa, la terra di Palestina, e piangono…

[35] Come due fratelli? è un’aggiunta di MV su una copia dattiloscritta.