MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME V CAPITOLO 326



CCCXXVI. Una sosta ad Aczib.

   11 novembre 1945.

   326.1«Signore, questa notte ho pensato… Perché vuoi venire Tu tanto lontano, per poi tornare ai confini fenici? Lascia andare me con un altro. Venderò Antonio… Me ne spiace… ma ora non serve più e darebbe nell’occhio. E andrò incontro a Filippo e Bartolomeo. Non possono fare che quella strada e li incontrerò certo. E Tu puoi stare certo che io non parlerò. Non voglio darti dolori, io… Tu riposi qui, con gli altri, ci risparmiamo tutti quella strada di Jiftael… e facciamo più presto», dice Pietro mentre escono dalla casa dove hanno dormito. E sembrano meno spauriti perché hanno vesti fresche, e barbe e capelli sono stati aggiustati da mano esperta.
   «Il tuo pensiero è buono. Non ti impedisco di farlo. Va’ pure con chi vuoi dei compagni».
   «Con Simone, allora. Signore, benedicici».
   Gesù li abbraccia dicendo: «Con un bacio. Andate».
   Li guardano andare, scendendo lesti verso la pianura.
   «Come è buono Simone di Giona! In questi giorni l’ho apprezzato come mai avevo fatto prima», dice Giuda Taddeo.
   «Anche io», dice Matteo. «Mai egoista, mai superbo, mai esigente».
   «Non si è mai prevalso di essere il capo. Anzi! Sembrava l’ultimo di noi, pure serbando il suo posto», aggiunge Giacomo d’Alfeo.
   «A noi non fa stupore. Lo conosciamo da anni. Focoso, ma tutto cuore. E così onesto, poi!», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Mio fratello è buono, anche se è rude. Ma da quando poi è con Gesù si è fatto buono il doppio. Io ho un carattere tutto diverso, e delle volte lui ci si inquietava. Ma era perché capiva che io soffrivo di quel carattere. Per mio bene si inquietava. Quando lo si è capito, si va d’accordo con lui», dice Andrea.

   326.2«In questi giorni ci siamo sempre capiti e siamo stati un sol cuore», asserisce Giovanni.
   «Ma già! L’ho notato anche io. In tutta una luna, e in momenti anche di orgasmo, non abbiamo mai avuto malumori… Mentre delle volte… non so perché…», monologa Giacomo di Zebedeo.
   «Perché? Ma è facile a capirsi! Perché siamo retti nella nostra intenzione. Perfetti no. Ma retti sì. E perciò accettiamo il bene che uno propone, o scartiamo il male che uno di noi ci indica per tale, mentre prima non lo avevamo intuito da noi. Perché? Ma è facile dirlo! Perché noi otto abbiamo solo un pensiero: fare le cose in modo da dare gioia a Gesù. Ecco tutto!», esclama il Taddeo.
   «Non credo che gli altri abbiano altro pensiero», dice conciliante Andrea.
   «No. Non Filippo, non Bartolomeo, sebbene questo molto anziano e molto Israele… E neppure Toma, per quanto molto più uomo che spirito. Farei torto a questi se li accusassi di… Gesù, hai ragione. Perdona. Ma se sapessi cosa è per me vedere che Tu soffri. E per lui! Io ti sono discepolo come tutti gli altri. Ma in più ti sono fratello e amico, e il focoso sangue d’Alfeo è in me. Gesù, non mi guardare così severo né triste. Tu sei l’Agnello e io… il leone. E credi che stento a trattenermi dal lacerare con una zampata la rete di calunnie che ti avvolge e dall’abbattere il riparo nel quale si cela il vero nemico. Vorrei vedere la realtà del suo viso spirituale, al quale do un nome… e forse calunnio così; ed al quale darei un segno, se riuscissi a conoscerlo senza sbaglio possibile, che gli leverei per sempre la voglia di nuocerti», dice veemente il Taddeo che è stato trattenuto, al principio del suo dire, da un’occhiata di Gesù.
   Giacomo di Zebedeo gli risponde: «Dovresti segnare metà Israele!… Ma Gesù procederà lo stesso. Lo hai visto in questi giorni se nulla può contro Gesù.

   326.3Che facciamo, ora, Maestro? Hai parlato qui?» «No. Ero giunto su queste pendici da men di un giorno. Ho dormito nella selva».
   «Perché non ti hanno voluto?».
   «Il loro cuore respinse il Pellegrino… Ero senza denaro…».
   «Sono cuori di pietra, allora! Di che temevano?».
   «Che Io fossi un ladrone… Ma non importa. Il Padre che è nei Cieli mi fece trovare una capra, smarrita o fuggita. Venite, ve la mostro. Vive nel folto col suo capretto. Ma non è fuggita vedendomi arrivare. Anzi mi lasciò spremere il suo latte nella mia bocca… come fossi un suo nato Io pure. E ho dormito vicino ad essa, col caprettino quasi sul cuore. Dio è buono col suo Verbo!».
   Vanno verso il luogo di ieri, in una macchia folta e spinosa. Un rovere secolare, che non so come possa vivere così fenduto alla base come se il terreno si fosse aperto e lo avesse divaricato nel tronco poderoso, tutto fasciato di edere verdi e di rovi, per ora privi di foglie, sta in mezzo ad essa. E lì presso pascola la capra col suo capretto, e vedendo tanti uomini punta le corna in difesa. Ma poi riconosce Gesù e si calma. Le buttano croste di pane e si ritirano.
   «Ho dormito là», spiega Gesù. «E vi sarei rimasto se non foste venuti. Ormai avevo fame. Lo scopo del digiuno era finito… Non occorreva insistere per altre cose che non sono mutabili più»… Gesù è di nuovo mesto…
   I sei si sbirciano, ma non dicono niente.
   «E ora? Dove andiamo?».
   «Rimaniamo qui, per oggi. Domani scenderemo a predicare sulla via di Tolemaide e poi andremo verso i confini fenici per tornare qui avanti il sabato».
   E lentamente tornano in paese.