MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 366



CCCLXVI. Verso il Getsemani con Simone Zelote, Marziam e la nuova discepola Anastatica. Lettere da Antiochia.

   22 gennaio 1946.

   366.1­Gesù ha lasciato Betania insieme a quelli che erano con Lui, ossia Simone Zelote e Marziam. Ma ad essi si è aggiunta Anastatica che, tutta velata, cammina di fianco a Marziam, mentre Gesù è un poco indietro con Simone. Le due coppie camminano parlando. Ognuna per conto proprio, e di ciò che più gli sta a cuore.
   Dice Anastatica a Marziam, continuando un discorso già av­viato: «Non vedo l’ora di conoscerla». Forse la donna parla di Elisa di Betsur. «Credi che non ero così commossa quando andai a nozze o fui dichiarata lebbrosa. Come la saluterò?».
   E Marziam con un sorriso dolce e serio nello stesso tempo: «Oh! col suo vero nome! Mamma!».
   «Ma io non la conosco! Non è troppa confidenza? Chi sono, infine, io rispetto a lei?».
   «Ciò che ero io lo scorso anno. Anzi tu molto più di me sei! Io ero un povero orfanello sporco, spaurito, rozzo. Eppure lei mi ha sempre chiamato figlio, dal primo momento, e una vera madre mi è stata. L’anno passato ero io che tremavo d’orgasmo in attesa di vederla. Ma poi, solo a vederla, non ho tremato più. Cessato del tutto quello spavento che m’era restato nel sangue da quando avevo visto con i miei occhi di bimbo, prima le furie della natura che avevano tutto distrutto della mia casa e della famiglia mia, e poi… e poi, con questi miei occhi di bimbo avevo potuto, dovuto vedere come l’uomo è fiera più crudele dello sciacallo e del vampiro… Tremare sempre… piangere sempre… sentire un nodo qui, stretto, duro, doloroso di paura, di pena, di odio, di tutto… In pochi mesi ho conosciuto tutto il male e il dolore e la ferocia che è nel mondo… E non potevo più credere che ci fosse la bontà ancora, l’amore ancora, la protezione anco­ra…».
   «Ma come! Quando il Maestro ti ha preso?!… E quando sei stato fra quei suoi discepoli, così buoni!?».
   «Ho tremato ancora, sorella… e ho odiato ancora. Oh! c’è voluto del tempo per persuadermi di non avere paura… E ancor di più ce ne è voluto per giungere a non odiare chi aveva fatto soffrire l’anima mia mettendola a conoscenza di ciò che può essere un uomo: un demone in veste di belva. Non si è sofferto senza conseguenze lunghe, specie quando si è bambini… Resta il segno, perché il nostro cuore è ancora tenero e tiepido dei baci della mamma, affamato di baci più che di pane. E in luogo di baci vede dare percosse…».
   «Povero bambino!».
   «Sì. Povero. Tanto povero! Non avevo più neppure la speranza in Dio né il rispetto per l’uomo… Avevo paura dell’uomo. Anche vicino a Gesù, anche in braccio a Pietro avevo paura… Dicevo: “Possibile? Oh! non durerà così. Anche essi si stancheranno d’essere buoni…”. E sospiravo di giungere a Maria. Una mamma è sempre mamma, non è vero? E infatti, quando l’ho vista, quando sono stato fra le sue braccia, non ho più temuto. Ho capito che proprio tutto il passato era finito e che dall’inferno ero passato al paradiso… L’ultimo dolore fu vedere che mi dimenticavano in disparte… Ero sospettoso sempre di male. E ho pianto forte. Oh! allora! Con che amore mi ha preso! No. Non ho più pianto la mamma mia da quel momento, non ho più tremato… Maria è la dolcezza e la pace degli infelici…».
   «E di dolcezza e pace ho bisogno anche io…», sospira la donna.
   «E fra poco l’avrai. Vedi quel verde laggiù? È nascosta là dentro la casa del Getsemani».
   «E ci sarà anche Elisa? Ma che dirò loro? Che mi diranno?».
   «Se Elisa ci sia non so. Era malata».
   «Oh! non morirà?! Chi mi prenderebbe per figlia, allora?».
   «Non temere. Egli ha detto: “Avrai madre e casa”. E così sarà. Andiamo avanti un poco più svelti. Io non so frenarmi quando sono prossimo a Maria».
   Affrettano il passo e non sento più il loro parlare.

   366.2Lo Zelote li vede quasi correre sulla via affollata e osserva a Gesù: «Sembrano fratelli. Guarda come sono buoni amici».
   «Marziam sa stare con tutti. È una virtù difficile e tanto necessaria per la sua missione futura. Ho cura di aumentare in lui questa felice disposizione perché molto gli servirà».
   «Questo te lo modelli a tuo gusto. Vero, Maestro?».
   «Sì. L’età me lo permette».
   «Eppure anche il vecchio Giovanni Felice hai potuto modellare…».
   «Sì. Ma perché si è lasciato distruggere e ricreare completamente da Me».
   «È vero. Ho notato che i più grandi peccatori quando si convertono superano nella giustizia noi, uomini di relativa colpevolezza. Perché mai?».
   «Perché la contrizione in loro è in proporzione al loro peccato. Immensa. Perciò li stritola sotto la macina del dolore e dell’umiltà. “Il mio peccato è sempre contro di me” dice[8] il salmista. Ciò tiene umile lo spirito. È un ricordo buono, quando è ricordo unito a speranza e a fiducia nella Misericordia. Le mezze perfezioni, o anche meno di mezze, molte volte si arrestano perché non hanno il pungolo del rimorso di aver peccato gravemente e di dover riparare a farle procedere verso la perfezione vera. Stagnano come acque chiuse. Si sentono soddisfatte di essere limpide. Ma anche l’acqua più limpida, se non si depura nel moto delle particelle di polvere, dei detriti che il vento porta in essa, finisce per divenire melmosa e corrotta».

   366.3«E le imperfezioni che noi lasciamo esistere e persistere in noi sono polvere e detriti?».
   «Sì, Simone. Siete troppo stagnanti ancora. Avete un moto quasi impercettibile verso la perfezione. ­Non sapete che il tempo è rapido? Non pensate che nello spazio che resta dovreste sforzarvi di divenire perfetti? Se non possederete la forza della perfezione, conquistata con una volontà decisa in questo tempo che avanza, come potrete resistere alla tempesta che Satana e i suoi figli scatenerà contro il Maestro e la sua Dottrina? Un giorno verrà che, sbalorditi, vi chiederete: “Ma come potemmo essere travolti, noi che fummo con Lui per tre anni?”. Oh! la risposta è in voi, nel vostro modo di agire! Chi più si sforzerà a divenire perfetto in questo tempo che resta, colui più sarà capace di essere fedele».
   «Tre anni… Ma allora… Oh! mio Signore!… Dunque la primavera prossima ti perderemo?».
   «Queste piante hanno i frutticini ed Io li gusterò maturi. Ma mai più gusterò, dopo i frutti di quest’anno, nuovi raccolti… Non ti desolare, Simone. La desolazione è sterile. Sappi e provvedi a corroborarti in giustizia per poter essere fedele al momento tremendo».
   «Sì. Lo farò. Con tutte le mie forze. Posso dire questo agli altri? Perché si preparino essi pure?».
   «Puoi dirlo. Ma solo chi avrà forte volontà vorrà».
   «E gli altri? Perduti?».
   «No. Ma duramente provati dal loro atto. Saranno come uno che si credeva forte e si trova atterrato e vinto. Sbalorditi. Avviliti. Umili, finalmente! Perché, credilo Simone, se non c’è umiltà non si procede. L’orgoglio è la pietra su cui ha piedestallo Satana. Perché tenerla nel cuore? È maestro gradevole questo orrido essere?».
   «No, Maestro».
   «Eppure tenete nel cuore il punto di appoggio, la cattedra per le sue lezioni. Siete impastati di orgoglio. Ne avete per tutto e per tutti i motivi. Anche l’essere “miei” vi è orgoglio. Ma, o stolti, non vi guarisce il confronto di ciò che siete con Colui che vi ha eletti? Non è perché vi ho chiamati che sarete santi. È per il modo come sarete divenuti dopo la mia chiamata. La santità è fabbrica che ognuno eleva da se stesso. La Sapienza può indicargliene il metodo e il disegno. Ma l’opera materiale spetta a voi».
   «È vero. Allora, però, non ci perderemo? Dopo la prova saremo più santi perché umili?…».
   «Sì». Il è breve e severo.
   «Così lo dici, Maestro?».
   «Così lo dico».
   «Vorresti da noi santità avanti la prova…».
   «Vorrei così. E per tutti».
   «Per tutti! Non saremo uguali nella prova?».
   «Non uguali né prima, né durante, né dopo di essa. Eppure a tutti ho dato la stessa parola…».
   «E lo stesso amore, Maestro. Siamo dei grandi colpevoli verso di Te…».
   Gesù sospira…

   366.4­Lo Zelote, dopo un silenzio piuttosto lungo, sta per parlare. Ma quasi di corsa vengono loro incontro gli apostoli e i discepoli che hanno incontrato Marziam alle prime pendici del Getsemani, e Simone tace mentre Gesù risponde ai saluti di tutti procedendo poi a fianco di Pietro verso l’uliveto e la casa.
   Pietro informa che erano alle vedette dall’alba, che Elisa è ancora sofferente in casa di Giovanna, che la sera avanti erano venuti dei farisei, che… che… che… un fastello di notizie arruffate alquanto, dalle quali finalmente esce la domanda: «E Lazzaro?», alla quale Gesù risponde esaurientemente. Pietro, molto curioso, non sa trattenersi dal chiedere: «E… nulla, Signore? Nessuna… notizia…».
   «Sì. A suo tempo le saprai. Dove è Marziam con la donna? Già alla casa?».
   «Oh, no! La donna non ha osato andare avanti. È seduta su un ciglio e ti aspetta. Marziam… Marziam… mi è scomparso. Sarà corso in casa».
   «Affrettiamo il passo».
   Ma, per quanto lo affrettino, non giungono alla casa prima che Maria con la cognata, Salome, Porfirea e le mogli di Bartolomeo e Filippo ne siano uscite venerando. Gesù le saluta da lontano e si dirige al luogo dove Anastasica sta dimessa, la prende per mano conducendola verso la Madre e le donne.
   «Ecco, questo è il fiore di questa Pasqua, Madre. Uno solo quest’anno. Ma ti sia soave perché Io te lo conduco».
   La donna si è inginocchiata. Maria si curva e la solleva dicendo: «Le figlie stanno sul cuore, non ai piedi delle mamme. Vieni, figlia. Conosciamoci nel volto come già i nostri spiriti si conoscono. Ecco le sorelle presenti. Altre ne verranno. E sia una dolce famiglia tutta amore fra i suoi membri e tutta santità per la gloria di Dio».
   Si scambiano fra discepole il bacio di amore e si scrutano a vicenda. Entrano in casa salendo sulla terrazza circondata dal glauco di centinaia di ulivi. I gruppi si separano. Gesù con gli uomini. Le donne a parte intorno alla nuova venuta. Torna Susanna, andata in città col marito. Viene Giovanna coi bambini. Col suo viso d’angelo appare Annalia; e Giairo, che era mescolato ai discepoli mentre correvano da Gesù, torna con sua figlia che va nel gruppo delle donne, vicina a Maria che la carezza.
   Pace e amore è nell’accolta di persone. Poi il sole cala e, prima di congedare chi torna alle proprie case o a quelle ospitali, Gesù li riunisce tutti in preghiera e li benedice. Poi li congeda rimanendo con quelli che preferiscono pigiarsi nella casa del Getsemani o pernottare sotto gli ulivi piuttosto che allontanarsi di lì. Restano perciò Maria, Maria d’Alfeo, Salome, Anastatica, Porfirea, delle donne; e Gesù, Pietro, Andrea, Giacomo e Giuda d’Alfeo, Giacomo e Giovanni di Zebedeo, Simone Zelote, Matteo, Marziam, degli uomini.

   366.5La cena è presto consumata. E, dopo, Gesù invita sua Madre e Maria d’Alfeo ad andare con Lui e con i discepoli per l’uliveto silenzioso. Forse le altre tre donne andrebbero volentieri esse pure. Ma Gesù non le chiama, e anzi dice a Salome e Porfirea: «Fate sante parole con la nuova sorella e poi coricatevi senza attenderci. La pace sia con voi». E le tre si rassegnano al loro destino.
   Pietro è un poco imbronciato e tace, mentre tutti parlano mentre in gruppo vanno proprio verso il futuro masso dell’agonia. Si siedono sul ciglio avendo di fronte Gerusalemme, che si quieta lentamente dopo la confusione della giornata.
   «Accendi dei rami, Pietro», ordina Gesù.
   «Perché?».
   «Perché voglio leggervi ciò che scrivono Giovanni e Sintica. Per questo, tu che sei malcontento sappilo, per questo non ho fatto venire le tre donne».
   «Ma mia moglie c’era quella sera!…».
   «Ma escludere soltanto Salome, delle vecchie discepole, sarebbe stato brutto… Del resto ciò ti darà modo di sfogare la tua lingua narrando alla tua moglie prudente ciò che ora sen­ti».
   Pietro, gongolante per l’elogio dato a Porfirea e per la concessione di poterla mettere al corrente del segreto, perde il broncio di colpo e si dà da fare ad accendere un allegro falò, dal quale si alzano fiamme diritte, ferme nell’aria calma.

   366.6Gesù si leva dalla cintura le due lettere, le svolge e legge nel mezzo del cerchio attento di undici volti.
   «“A Gesù di Nazaret onore e benedizione. A Maria di Nazaret benedizione e pace. Ai fratelli santi pace e salute. A Marziam beneamato pace e carezze.
   Lacrime e sorrisi sono nel mio cuore e sul mio volto mentre mi siedo per scrivere questa lettera per voi tutti. Ricordi, nostalgie, speranze e pace del dovere compiuto sono in me. Tutto il passato che per me ha valore, ossia quello iniziato dodici mesi or sono, mi è davanti, e un salmo di riconoscenza a Dio, troppo pietoso per il colpevole, mi sgorga dal cuore. Che Tu sia benedetto, e con Te la Santa che ti ha dato al mondo, e l’altra madre che mi ricordo come la compassione incarnata, e con Te benedetti Pietro, Giovanni, Simone, Giacomo e Giuda, e l’altro Giacomo, e Andrea e Matteo, e infine, preso sul cuore per benedirlo, Marziam carissimo, per tutto quanto mi avete dato, dal momento che vi conobbi a quello che vi lasciai! Oh! non per mio volere! Dio perdoni coloro che hanno strappato me a voi! Dio li perdoni. E aumenti in me la capacità di farlo, di mio. Per ora, col suo aiuto, insieme a Lui lo posso fare. Ma da solo, no, ancora non potrei, perché troppo rovente è la ferita che essi mi hanno fatto con lo strapparmi alla mia vera Vita, a Te, Santissimo. Troppo rovente ancora nonostante i tuoi conforti siano una pioggia continua e balsamica su me…”».

   366.7Gesù scorre molte righe senza leggerle. E riattacca: «“La mia vita…”»; ma Pietro, che per aiutare il Maestro a vedere ha preso un ramo fiammeggiante e lo tiene alzato, stando presso il Maestro e allungando il collo per vedere lo scritto, dice: «No, no, non è così! Perché non leggi, Maestro? C’è dell’altro in mezzo! Bestia sono, ma non tanto da non saper leggere piano. Io leggo: “Le tue promesse hanno superato le mie speranze…”».
   «Ma sei terribile! Peggio di un ragazzo!», dice Gesù sorridendo.
   «Sicuro! Sono un vecchio a momenti! Perciò ho più malizia di un fanciullo».
   «Dovresti anche avere più prudenza».
   «È buona per i nemici. Qui siamo fra amici. Qui Giovanni dice delle belle cose di Te. Voglio saperle. Per regolarmi anche io per quando Tu mi spedissi come una mercanzia altrove. Su, leggi tutto! Madre, diglielo tu che non è giusto darci le notizie sceverate come tanti pesciolini. Fuori! Fuori! Alghe, mota, pesce minuto e pesce prelibato. Tutto! Aiutatemi voi! Sembrate tante statue! Mi fate stizza! E ridono!».
   Non ridere è difficile davanti all’agitazione di Pietro, che salta qua e là come un puledro imbizzito, scuotendo il suo ramo fiammeggiante senza curarsi delle scintille che gli piovono addosso.
   Gesù deve cedere per calmarlo e potere andare avanti nella lettura.
   «“Le tue promesse hanno superato le mie speranze nelle tue promesse. Oh! Maestro santo! Quando in quella triste mattina d’inverno Tu mi hai promesso che Tu saresti venuto a consolare il tuo triste discepolo, io non ho capito il vero valore della tua promessa. Il dolore e la relatività dell’uomo opprimevano le facoltà dello spirito, ed esso era ottuso nel capire la portata della tua promessa.
   Che Tu sia benedetto, spirituale visitatore delle mie notti, che perciò non sono desolazione e dolore come mi prevedevo, ma attesa di Te, o gioioso incontro con Te. La notte, orrore dei malati, degli esiliati, dei soli, dei colpevoli, per me, veramente Felice di fare il tuo volere e di servirti, si è fatta ‘l’attesa delle vergini sagge per l’arrivo dello sposo’. La povera anima mia ha anzi più ancora. Ha la beatitudine di essere la sposa che attende il suo Amore, che viene nella stanza nuziale per darle ogni volta la gioia del primo incontro e l’estasi fortificante della fusione.
   Oh! mio Maestro e Signore, mentre ti benedico del tanto che mi dài, ti prego di ricordarti le due altre promesse che mi hai fatto. La più importante, per il troppo debole uomo che sono, è di non lasciarmi in vita per l’ora del tuo dolore. Tu conosci la mia debolezza! Non fare che colui che per il tuo amore si è spogliato dall’odio debba, per l’odio verso gli uomini tuoi carnefici, tornare a vestire le spinose e brucianti divise dell’odio. La seconda è per il tuo povero discepolo, anche esso troppo debole e incompiuto nella perfezione. Siimi presso, come hai detto, nell’ora del mio morire. Ora che so come per Te non esistono distanze, e mari, monti, fiumi e volere degli uomini non ti impediscono di dare a chi ti ama il conforto della tua sensibile presenza, non dubito più di poterti avere al mio spirare. Vieni, Signore Gesù! E vieni presto ad introdurmi nella pace.

   366.8Ed ora che ti ho parlato dello spirito, ti darò notizie del mio lavoro.
   Ho molti allievi, di ogni razza e paese. Per non urtare questi o quelli, ho diviso i giorni e alterno un dì ai pagani, uno ai fedeli, con molto profitto, data l’assenza qui di pedagoghi. Il guadagno lo do ai poveri e così li attiro al Signore. Ho ripreso il mio antico nome non perché lo ami, ma per prudenza. Nelle ore che sono del mondo, sono ‘Felice’. Nelle ore che sono di Gesù solo, sono ‘Giovanni’: la grazia di Dio. Ho spiegato a Filippo che il vero nome era Felice e che Giovanni ero detto solo per distinguermi fra i fratelli. E nessuno stupore ha creato la cosa, data la facilità con cui cambiamo nomi o chiamiamo per soprannomi.
   Spero di fare qui molto lavoro, per preparare la via ai fratelli santi. Se avessi più forze vorrei spingermi per queste campagne a rendere noto il tuo Nome. Ma forse lo potrò nella prima estate o per le frescure di autunno. E solo che possa, lo farò. L’aria pura di Antigonio, questi giardini così placidi e belli, i fiori, i fanciulli, le gallinelle, l’affetto dei giardinieri, e soprattutto quello grande, saggio, figliale di Sintica, mi giovano molto. Direi che sono migliorato. Così non la pensa Sintica, benché questo suo pensiero si palesi solo dalle sollecite e continue cure che ha di me, per il mio cibo, per il mio riposo, perché io non prenda freddo… Ma io mi sento meglio. Questa non è forse sensazione che viene dal dovere eroicamente compiuto? Così dice Sintica. E vorrei sapere se dice bene. Perché il dovere è cosa morale, mentre la malattia è cosa carnale.
   E anche vorrei sapere se Tu vieni realmente o se mi appari soltanto ai sensi spirituali, ma così perfettamente da non lasciarmi distinguere dove finisce la realtà materiale della tua Presenza.
   Maestro caro e benedetto, il tuo Giovanni si inginocchia chiedendoti benedizione. Alla Madre, a Maria, ai fratelli santi, pace e benedizione. A Marziam un bacio perché si ricordi di mandare le sante parole, pane agli esuli che sono operai nella vigna del Signore”.
   Questa è la lettera di Giovanni… Che ne dite?».
   Un incrociarsi di impressioni… Ma più forte di tutte è quella sulla presenza di Gesù. Lo tempestano di domande… sul come può essere, se può essere, e se Sintica vede ecc. ecc.

   366.9­Gesù fa un gesto di silenzio e apre il rotolo di Sintica. Legge:
   «“Sintica al Signore Gesù con tutto l’amore di cui è capace. Alla Madre benedetta venerazione e lode. Ai fratelli nel Signore riconoscenza e benedizione. A Marziam l’abbraccio della sorella lontana.
   Giovanni ti ha detto, o Maestro, la nostra vita. Molto sinteticamente ti ha detto ciò che egli fa e che io, donnescamente, faccio. Ho la mia scuoletta piena di fanciulle e molto guadagno spiritualmente perché te le guadagno, o mio Signore, parlando del vero Dio attraverso allo stesso lavoro. Qui, in questa regione dove tante razze si sono mescolate, è una matassa arruffata di religioni. Tanto arruffata che… non sono più che impraticabili religioni, filacce di religioni che non servono più a nulla. In mezzo, rigida e intransigente, la fede degli israeliti che col suo peso spezza i già logori fili delle altre senza ottenere nulla.
   Giovanni, avendo alunni, deve agire con prudenza. Io, con le fanciulle, vado più liberamente. Essere donne è sempre una inferiorità, tanto che alle famiglie di diverse religioni non importa se le fanciulle si mescolano in un’unica scuola. Basta che imparino la fruttuosa arte del ricamo. E sia benedetto il concetto dispregioso che il mondo ha di noi donne, perché mi permette così di allargare sempre più il mio cerchio di azione. I ricami vanno a ruba, la fama si estende, vengono dame da lontano. A tutte ho modo di parlare di Dio… Oh! come anche i fili, che divengono fiori, animali, stelle sul telaio o sulla tela, servono, sol che si voglia, ad indirizzare le anime alla Verità. Avendo conoscenza di diverse lingue posso usare il greco coi greci, il latino coi romani, l’ebraico con gli ebrei. Anzi, in questo sempre più mi miglioro con l’aiuto di Giovanni.
   Altro mezzo di penetrazione è l’unguento di Maria. Ne ho fatto molto, di novello, con le essenze qui esistenti, e ad esso ho mescolato una particella di quello originario, per santificarlo. Ulceri e dolori, ferite e mal di petto scompaiono. Vero è che io, mentre spalmo e fascio, non faccio che dire i due Nomi santi: Gesù-Maria. Anzi, giocando sul nome greco di Cristo, ho chiamato questo balsamo: ‘Unto Mirra’. Non è forse così? Non c’è in esso l’essenza salutifera della Mirra di Dio che ti ha generato, o prezioso Olio che ci fai re? Devo stare molte volte alzata per poterne preparare sempre di nuovo, e pregherei la Santa di prepararne ancora e mandarmelo per i Tabernacoli, per poterlo mescolare all’altro fatto dalla infima serva di Dio. Però, se facessi male a fare così, dillo, Signore. E mai più lo farò.

   366.10­Il caro Giovanni mi loda molto. E che dovrei dire io di lui, allora? Soffre acutamente, ma è di una fortezza meravigliosa. Non sapessi il suo segreto ne stupirei. Ma da quella notte che tornando da un malato l’ho scoperto estatico e trasfigurato, ed ho sentito le sue parole, e prostrata mi sono, intuendo che Tu eri presente al tuo servo, io non posso più stupirmi. Forse qualche fratello stupirà invece sentendo che non mi rammarico di non aver visto io pure. Perché dovrei farlo? Tutto è bene, tutto è sufficiente di ciò che Tu dài. Ognuno riceve la parte che merita e che gli è necessaria. Bene dunque è se Giovanni ha Te visibile ed io ti ho solo nello spirito.
   Sono io felice? Come donna ho rimpianti del tempo che fui con Te e Maria. Ma come anima felicissima sono, perché solo ora io ti servo, mio Signore. Penso che il tempo è un nulla. Penso che l’ubbidienza è moneta per entrare nel tuo Regno. Penso che darti aiuto è grazia che supera ciò che la povera schiava poteva sognare anche in ora di delirio, e che Tu mi hai concesso di aiutarti. Penso che, separata ora, ti avrò infine per tutta l’eternità. E canto la canzone di Giovanni come fa una calandra a primavera sui campi d’oro dell’Ellade. Le mie fanciulle la cantano perché dicono che è bella. Io le lascio cantare sul ritmo del telaio, così simile a quello del remo in quel giorno lontano, perché penso che dire il tuo nome, o Madre, sia predisporsi alla Grazia.
   Giovanni mi prega di aggiungere la notizia che ti ha mandato un ottimo cittadino di Antiochia. Nicolai è il suo nome. La sua prima conquista per il tuo gregge. Molto speriamo che Nicolai non deluda il concetto che di lui abbiamo in cuore.
   Benedici la tua serva, Signore. Benedicila, o Madre, beneditemi tutti, o voi, santi, e tu, fanciullo benedetto che cresci in sapienza presso il Signore”.
   Così scrive Sintica. E ha aggiunto una postilla all’insaputa di Giovanni. Dice in essa: “Giovanni non grandeggia e rinforza che nello spirito. Il resto declina nonostante ogni cura. Molto conta nel primo dell’estate. Io penso che non potrà fare ciò che dice. Penso che l’inverno soffochi la sua larva di vita… Ma è in pace. E si santifica con le opere e con la sofferenza. Mantienigli la forza con la tua presenza, o mio Signore! Ti chiedo di sottoporre me ad ogni pena in cambio di questo dono per il tuo discepolo. Mandando queste da Tolmai a Lazzaro, ti supplico di volere dire a lui e alle sorelle che ricordiamo le loro bontà per noi, e per loro costantemente e ardentemente preghiamo”».
   Tutti si scambiano nuove impressioni.

   366.11­Andrea si curva per chiedere qualcosa a Maria e resta stupefatto a vedere delle lacrime sul suo volto. «Piangi?», chiede.
   «Perché piange? Ma come? Madre!», dicono in molti.
   «Io lo so perché piange», dice Marziam.
   «Perché, allora?».
   «Perché Giovanni ha ricordato la morte del Signore».
   «Già. È vero! E come lo sa se non c’era più quando Tu l’hai predetta?».
   «Perché da Me l’ha saputo per suo conforto».
   «Umh! Conforto!…».
   «Sì, conforto. La promessa che non attenderà molto ad avere il Regno. Egli lo merita perché vi ha superati nella volontà e nell’ubbidienza. Torniamo a casa. Prepareremo le risposte per darle a Tolmai, e tu, Marziam, unirai i tuoi libri».
   «Ah! capisco! capisco! Scriveva per loro!…».
   «Sì. Andiamo. Domani andremo al Tempio…».

[8] dice, in: Salmo 51, 5.