MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 370



CCCLXX. Giovedì avanti Pasqua. Al convito dei poveri nel palazzo di Cusa. Un affronto di Salomè.

   26 gennaio 1946.

   370.1«La pace sia a questa casa e su tutti i presenti», saluta Gesù entrando nell’ampio vestibolo molto fastoso, tutto illuminato nonostante sia giorno.
   Né sono superflue le lampade. Perché, se è vero che è giorno, è anche vero che fuori il sole è abbacinante nelle vie e sulle facciate bianche di calcina, mentre qui, nell’ampio ma soprattutto lungo corridoio vestibolo, che deve tagliare tutta la casa, dal portone massiccio al giardino il cui verde pieno di sole appare là in fondo — e pare lontano per un giuoco di prospettiva — vi deve essere abitualmente una penombra che è ombra del tutto per chi viene da fuori, con gli occhi abbacinati dal gran sole. Perciò Cusa ha provveduto acciò le ampie e numerose padelle di rame sbalzato, infisse a distanze regolari sulle due pareti del vestibolo, siano tutte accese, e così pure il lampadario centrale, un’ampia conca di alabastro rosa con incastrati, nella levità carnea dell’alabastro, dei diaspri e altre scaglie preziose e multicolori che, per la luce accesa nell’interno, splendono come tante stelle, gettando arcobaleni sulle pareti tinte in azzurro cupo, sui volti, sul pavimento di marmo cipollino. E sembra che minute stelle si posino sulle pareti, sui volti, sul suolo, minute e mobili stelline multicolori, perché il lampadario ondeggia lievemente per la corrente d’aria che percorre il vestibolo, e perciò lo sfaccettio delle scaglie preziose si sposta di continuo.
   «La pace a questa casa», ripete Gesù inoltrandosi, mentre senza sosta benedice i servi curvi fino a terra, gli ospiti stupiti di essere lì raccolti, a contatto con il Rabbi, in un palazzo principesco…

   370.2­Gli ospiti! Il pensiero di Gesù si delinea chiaramente. Il convito d’amore che ha voluto in casa della buona discepola è una pagina del Vangelo tradotta in azione. Sono mendicanti, storpi, ciechi, orfani, vecchi, giovani vedove con i piccoli attaccati alle vesti o succhianti lo scarso latte della madre denutrita. La ricchezza di Giovanna ha già provveduto a sostituire le vesti cenciose con vesti modeste ma pulite e nuove. Ma se le chiome ravviate, in provvidenziale misura di pulizia, e se le vesti monde dànno a questi infelici, che i servi allineano o sorreggono per portarli al posto, un aspetto meno miserabile certo di quello che avevano quando Giovanna li mandò a raccogliere negli angiporti, ai crocicchi, sulle carraie che conducono a Gerusalemme, là dove la loro miseria si celava vergognosa oppure si esponeva per avere elemosina, in compenso restano visibili gli stenti sui volti, le infermità nelle membra, le sventure, le solitudini negli sguardi…
   Gesù passa e benedice. Ogni infelice riceve la sua benedizione e, se la destra è alzata a benedire, la sinistra si abbassa ad accarezzare tremule e canute teste di vegliardi o innocenti testoline di bimbi. Percorre così in su e in giù il vestibolo, per benedire tutti, anche quelli che entrano mentre Egli già benedice e, ancora cenciosi, si nascondono con timore e soggezione in un angolo finché i servi, con atti gentili, li portano altrove per essere, come coloro che li hanno preceduti, lavati e vestiti di vesti monde.

   3­70.3Passa una giovane vedova con la sua chiocciata di bambini… Che miseria! Il più piccolo nudo affatto, stretto nello stracciato velo della madre… i più grandicelli con appena quel tanto da salvare la decenza. Solo il maggiore, un allampanato fanciullo, ha un abito che può dirsi tale, ma in compenso è scalzo.
   Gesù osserva e chiama la donna dicendo: «Da dove vieni?».
   «Dal piano di Saron, Signore. Levi mi è divenuto maggiorenne… E l’ho dovuto accompagnare al Tempio… io… posto che non ha più padre», e la donna piange senza rumore, il pianto muto di chi ha troppo pianto.
   «Quando ti è morto l’uomo?».
   «Fu un anno a scebat. Ero incinta di due lune…», e inghiotte i singhiozzi per non turbare, curvandosi tutta sul piccolino.
   «Il pargolo ha dunque otto mesi?».
   «Sì, Signore».
   «Che faceva tuo marito?».
   La donna mormora così piano che Gesù non capisce. Si curva per sentire dicendo: «Ripeti senza timore».
   «Faceva il fabbro in una mascalcia… Ma fu malato molto… perché aveva ferite che marcivano». E termina pianissimo: «Era un soldato di Roma».
   «Ma tu sei d’Israele?».
   «Sì, Signore. Non mi scacciare per immonda come fecero i miei fratelli quando sono andata ad implorare pietà dopo la morte di Cornelio…».
   «Non avere paure di tal genere! Che fai ora di lavoro?».
   «La serva, se mi vogliono, la spigolatrice, la follatrice di panni, batto la canapa… di tutto… per sfamare questi. Levi ora farà il contadino… se lo vorranno, perché… bastardo nella razza».
   «Confida nel Signore!».
   «Non avessi confidato, mi sarei uccisa con tutti loro, Signore».
   «Va’, donna. Ci vedremo ancora», e la congeda.

   370.4­Giovanna intanto è accorsa e sta in ginocchio in attesa che il Maestro la veda. Egli si volge, infatti, e la vede.
   «Pace a te, Giovanna. Mi hai ubbidito a perfezione».
   «Ubbidirti è la mia gioia. Ma non sono stata la sola a procurarti “la corte” come Tu volevi. Cusa mi ha aiutata in ogni maniera, e Marta e Maria anche. Ed Elisa con loro. Chi mandando i servi loro a prendere ciò che occorreva e ad aiutare i servi miei a radunare gli ospiti, chi aiutando le ancelle e i servi dei bagni a rendere mondi i “beneamati”, come Tu li chiami. Ora, con tua licenza, darò a tutti un po’ di cibo, perché non siano esausti in attesa delle mense».
   «Fa’, fa’ pure. Dove sono le discepole?».
   «Sulla terrazza superiore dove faccio preparare le mense. Ho pensato giusto?».
   «Sì, Giovanna. Lassù staranno quieti, e noi con loro».
   «Sì, ho pensato io pure così. D’altronde in nessuna sala avrei potuto allestire per così tanti… E non volevo fare separazioni per non creare gelosie e dolore. Gli infelici hanno una sensibilità così acuta, una dolorabilità, anzi!… Sono tutti una ferita, e basta uno sguardo a farli soffrire».
   «Sì, Giovanna. Tu hai l’anima pietosa e comprendi. Dio ti dia bene per la tua pietà.

   370.5Ci sono molte discepole?».
   «Oh! Tutte quelle presenti in Gerusalemme!… Ma… Signore… io forse ho peccato… Vorrei dirti una cosa in segreto».
   «Conducimi in luogo solitario».
   Vanno loro due soli in una stanza che, per i balocchi sparsi dovunque, si intuisce luogo di giuochi di Maria e Mattia.
   «Ebbene, Giovanna?».
   «O mio Signore, io certo sono stata imprudente… Ma mi è venuto così spontaneo l’atto, così impetuoso! Cusa me ne ha rimproverata. Ma ormai… Al Tempio venne uno schiavo di Plautina con una tavoletta. Ella e le compagne chiedevano se era possibile vederti. Ho risposto: “Sì. Nel pomeriggio a casa mia”. E verranno… Ho fatto male? Oh! non per Te!… Ma per gli altri, per quelli che sono tutti Israele… e non sono amore come Te. Se ho mancato, provvederò a riparare… Ma desidero tanto che il mondo, tutto il mondo, ti ami, che… che non ho riflettuto che nel mondo Tu solo sei Perfezione e troppo pochi cercano di assomigliarti».
   «Hai fatto bene. Oggi Io predico a voi tutti con le opere. E la presenza dei gentili fra i credenti in Gesù Salvatore sarà una delle cose da farsi in futuro dai miei credenti. I bambini dove sono?».
   «Da per tutto, Signore», sorride Giovanna tranquillizzata, e termina: «La festa li esalta e corrono qua e là come uccellini felici».
   Gesù la lascia, torna nel vestibolo, fa un cenno agli uomini che erano con Lui, e si avvia verso il giardino per poi salire alla vasta terrazza.

   370.6­Una lieta operosità empie la casa dalle cantine al tetto. Chi va, chi viene con cibi e suppellettili, con fasci di vesti, con sedili, accompagnando ospiti, rispondendo a chi interroga, tutti con letizia e amore. Gionata, solenne nella sua funzione di intendente, dirige, sorveglia, consiglia instancabile.
   La vecchia Ester, felice di vedere Giovanna così animata e prospera, ride in mezzo ad un cerchio di poveri bambini, ai quali distribuisce focacce mentre narra novelle meravigliose. Gesù si ferma un momento ad ascoltare la conclusione splendida di una di esse, in cui è detto che «alla buona Alba di maggio, che mai si ribellava al Signore per i dolori che erano venuti alla sua casa, Dio concesse molti aiuti, per cui Alba di maggio fu salvezza e bene anche dei fratellini suoi. Gli angeli empivano la piccola madia, finivano il lavoro sul telaio per aiutare la buona fanciulla dicendo: “È nostra sorella perché ama il Signore e il suo prossimo. Va aiutata da noi”».
   «Dio ti benedica, Ester! Quasi mi fermo Io pure ad ascoltare le tue parabole! Mi vuoi?», dice Gesù sorridendo.
   «Oh! mio Signore! Io devo ascoltare Te! Ma per i piccoli basto anche io, povera vecchia stolta!».
   «La tua anima giusta serve anche agli adulti. Continua, continua, Ester…», e le sorride andandosene.

   370.7Per il vasto giardino ormai sono sparsi gli ospiti e consumano il loro primo spuntino guardandosi intorno e guardandosi l’un l’altro con stupefazione. Parlano scambiandosi commenti sulla insperata fortuna. Ma vedendo passare Gesù si alzano, solo che possano farlo, e si curvano adorando.
   «Mangiate, mangiate. State in libertà e benedite il Signore», dice Gesù passando, diretto alle stanze dei giardinieri, dalle quali ha inizio la scala che per un’aerea rampa conduce alla vasta terrazza.

   370.8­«Oh! Rabboni mio!», grida la Maddalena che corre fuori da una stanza con le braccia cariche di fasce e camiciole per i pargoli. E la sua voce vellutata d’organo d’oro empie il viale ombroso sotto cui sono festoni di rose.
   «Maria, Dio sia con te. Dove vai così di fretta?».
   «Oh! ho dieci pargoli da vestire! Li ho lavati e ora li vesto, e poi te li porterò, freschi come fiori. Fuggo, Maestro, perché… li senti? sembrano dieci agnellini belanti…», e corre via ridendo, splendida e serena nella sua semplice e signorile veste di candido lino, stretta alla vita da una cintura sottile d’argento, coi capelli stretti in un semplice nodo sulla nuca, sorretti da un nastro bianco che si annoda alla fronte.
   «Come è diversa da quella che era sul monte delle Beatitudini!», esclama Simone Zelote.

   370.9Nella prima rampa di scale incrociano la figlia di Giairo e Annalia, che scendono così svelte che sembra che volino.
   «Maestro!», «Signore!», esclamano.
   «Dio sia con voi. Dove andate?».
   «A prendere tovaglie. Ci manda l’ancella di Giovanna. Parli, Maestro?».
   «Certamente!».
   «Oh! allora corri, Mirjam! Facciamo presto!», dice Annalia.
   «Avete tutto il tempo di fare ciò che dovete. Attendo altre persone. Ma da quando, fanciulla, ti chiami Mirjam?», dice guardando la figlia di Giairo.
   «Da oggi. Da ora. Me lo ha dato tua Madre il nome. Perché… vero, Annalia? Oggi è un grande giorno per quattro vergini…».
   «Oh! sì. Lo diremo al Signore o lasciamo a Maria di dirlo?».
   «A Maria, a Maria. Va’, va’, Signore. La Madre ti parlerà», e corrono via leggere, nel primo fiorire della gioventù, umane nelle belle forme, angeliche nello sguardo radioso…

   370.10­Sono alla terza rampa quando incrociano Elisa di Betsur, che scende gravemente insieme alla moglie di Filippo.
   «Ah! Signore!», grida quest’ultima. «A chi togli, a chi dài!… Ma che Tu sia benedetto lo stesso!».
   «Di che parli, donna?».
   «Ora lo saprai… Che pena e che gloria, Signore! Tu mi mutili e mi incoroni».
   Filippo, che è vicino a Gesù, dice: «Che dici? Di che parli? Tu mi sei moglie e ciò che ti avviene mi tocca…».
   «Oh! lo saprai, Filippo. Va’, va’ col Maestro».
   Gesù intanto chiede a Elisa se è ben guarita. E la donna, alla quale il grande dolore dei tempi passati ha dato una maestà di regina dolente, dice: «Sì, mio Signore. Ma soffrire con la pace nel cuore non è spasimo. Ed io ora ho la pace in cuore».
   «E presto avrai più ancora».
   «Che, Signore?».
   «Va’ e torna, e lo saprai».

   370.11­«C’è Gesù! C’è Gesù!», trillano i due bambini che hanno il visetto appoggiato contro la rabescata ringhiera, che limita la terrazza dai due lati che guardano sul giardino, e dalla quale scendono rami in fiore di rose e gelsomini, perché il terrazzo è un vasto giardino pensile sul quale, in quest’ora di sole, è steso un velario multicolore.
   Tutte le persone che si agitano in preparativi sulla terrazza si volgono al grido di Maria e Mattia e, lasciando in tronco ciò che facevano, vengono incontro a Gesù, alle cui ginocchia già sono avviticchiati i due fanciulli.
   Gesù saluta le donne, numerose, che si affollano. Fra le vere e proprie discepole o mogli, figlie, sorelle di apostoli e discepoli, sono mescolate altre meno note, meno intime, quali la moglie del cugino Simone, le madri degli asinai di Nazaret, la madre di Abele di Betlemme di Galilea, Anna di Giuda (casa presso il lago Meron), Maria di Simone madre di Giuda di Keriot, Noemi di Efeso, Sara e Marcella da Betania (Sara è la donna che Gesù guarì sul monte delle Beatitudini e mandò da Lazzaro col vecchio Ismaele. Ora sembra ancella di Maria di Lazzaro); poi la madre di Jaia, la madre di Filippo d’Arbela, Dorca la giovane madre di Cesarea di Filippo e sua suocera, la madre di Annalia, Maria di Bozra la miracolata di lebbra venuta col marito a Gerusalemme, e altre, altre, non nuove allo sguardo ma non menzionabili dalla mente con nome proprio.
   Gesù si inoltra sulla vasta terrazza rettangolare, che da un lato si affaccia sul Sisto, e va a mettersi presso la stanza che è sbocco alla scala interna, credo, e che è simile ad un cubo basso messo nell’angolo settentrionale della terrazza. Gerusalemme si mostra tutta, e con essa i suoi immediati dintorni. Una vista stupenda. Tutte le discepole, tutte le donne anzi, lasciano di occuparsi delle mense per stringersi intorno a Lui. I servi proseguono il loro lavoro.

   370.12­Maria è presso al Figlio. Nella luce dorata che filtra dal grande velario steso su buona parte della terrazza, e che poi diviene luce delicatamente smeraldina là dove, per giungere ai visi, deve filtrare da un intrico di gelsomini e rosai messi a fare pergola, Ella pare ancor più giovane e snella; una sorella delle più giovani discepole, appena di poco maggiore, e bella, bella come la più splendida delle rose fiorite nel giardino pensile, nelle capaci vasche messe tutt’intorno ad esso a contenere rosai, gelsomini, mughetti, gigli e altre piante gentili.
   «Madre, mia moglie ha parlato in un certo modo… Che è avvenuto perché mia moglie possa dirsi mutilata e incoronata insieme?», chiede Filippo che brucia nella voglia di sapere.
   Maria sorride dolcemente mentre lo guarda e, Lei così restia a confidenze, gli prende la mano dicendo: «Saresti capace tu di dare al mio Gesù la cosa a te più cara? Veramente dovresti… perché Egli a te dà il Cielo e la via per andarvi».
   «Ma certo, Madre, che saprei… specie se ciò che darei avesse potere di farlo felice».
   «Lo ha. Filippo, anche la tua altra figlia[15] si consacra al Signore. Lo ha detto poco fa a me e alla madre, alla presenza di molte discepole…».
   «Tu!? Tu?!», chiede Filippo sbalordito, puntando l’indice sulla gentile fanciulla che si stringe a Maria quasi per esserne protetta. L’apostolo inghiotte male questo secondo colpo che lo priva per sempre da speranza di nipoti. Si asciuga il sudore improvviso che la notizia gli ha dato… gira lo sguardo sui volti che gli sono intorno. Lotta… Soffre.
   La figlia geme: «Padre… il tuo perdono… e la tua benedizione…», e gli scivola ai piedi.
   Filippo la carezza macchinalmente sui capelli castani e si schiarisce la gola stretta in un nodo. Infine parla: «Si perdonano i figli che peccano… Tu non pecchi consacrandoti al Maestro… e… e… e il tuo povero padre non può che dirti… che dirti: “che tu sia benedetta”… Ah! figlia! figlia mia!… Come è soave e tremendo il volere di Dio!», e si china, la alza, l’abbraccia, la bacia sulla fronte, sui capelli, piangendo… e poi, tenendola ancora fra le braccia, va verso Gesù e gli dice: «Ecco. Io l’ho generata, ma Tu sei il suo Dio… Il tuo diritto è più del mio… Grazie… grazie, Signore, della… della gioia che…»; non può più proseguire. Cade a ginocchi ai piedi di Gesù e si curva a baciarne i piedi gemendo: «Mai, mai più nipoti!… Il mio sogno!… Il sorriso della mia vecchiaia!… Perdona questo pianto, mio Signore… Sono un povero uomo…».
   «Alzati, amico mio. E sii lieto di dare le primizie alle aiuole angeliche.

   370.13­Vieni. Vieni qui fra Me e mia Madre. Sentiamo da Lei come avvenne la cosa, perché, te lo assicuro, per la mia parte Io non ne ho né colpa né merito».
   Maria spiega: «Poco so io pure. Parlavamo fra noi donne e, come spesso avviene, mi interrogavano sul mio voto verginale. Mi interrogavano ancora sul come saranno le vergini future, quali uffici, quali glorie prevedevo per esse. Io rispondevo come so… E per il futuro prevedevo per esse vita di orazione e di consolazione alle sofferenze che il mondo darà a Gesù mio. Dicevo: “Saranno le vergini quelle che sostengono gli apostoli, quelle che laveranno il mondo insozzato vestendolo della loro purezza, di essa profumandolo, saranno gli angeli che canteranno le laudi per coprire le bestemmie. E Gesù ne sarà felice, e grazie darà al mondo, e darà misericordia per queste agnelle sparse fra i lupi…”, e altre cose dicevo. Fu allora che la figlia di Giairo mi disse: “Dammi un nome, o Madre, per il mio futuro di vergine, perché io non posso concedere che un uomo goda il corpo che fu rianimato da Gesù. Di Lui solo è questo mio corpo fino a che sarà la carne del sepolcro e l’anima del Cielo”; e Annalia disse: “Io pure così ho sentito di fare. E oggi sono più allegra di rondine perché ogni legame è spezzato”. E fu anche allora che tua figlia, o Filippo, disse: “Anche io sarò come voi. Vergine in eterno!”. La madre, ecco che viene, le fece considerare che così non si può prendere tanta decisione. Ma ella non mutò parere. E a chi le chiedeva se era antico pensiero diceva “no”, e a chi le chiedeva come le era venuto diceva: “Non so. Come una freccia di luce mi ha squarciato il cuore e ho capito di che amore amo Gesù”».
   La moglie di Filippo chiede al marito: «Udisti?».
   «Sì, donna. La carne geme… e dovrebbe cantare perché è la sua glorificazione questa. Essa, la nostra pesante carne, ha generato due angeli. Non piangere, donna. Tu l’hai detto avanti: Egli ti ha incoronata… La regina non piange quando riceve il serto…».
   Ma piange anche Filippo,

   370.14­e piangono in molti, sia uomini che donne, ora che tutti sono raccolti quassù. Maria di Simone piange a dirotto in un angolo… Maria di Magdala piange in un altro, tormentando il lino della sua veste alla quale strappa macchinalmente i fili della bordura che l’orna. Anastasica lacrima tentando celare con la mano il volto lacrimoso.
   «Perché piangete?», chiede Gesù.
   Nessuno risponde.
   Gesù chiama Anastasica e l’interroga di nuovo, e lei: «Perché, Signore, per una gioia nauseabonda, avuta per una notte sola, ho perduto d’essere una tua vergine».
   «Ogni stato è buono, se in esso si serve il Signore. Nella Chiesa futura occorreranno vergini e matrone. Tutte utili al trionfo del Regno di Dio nel mondo e al lavoro dei fratelli sacerdoti.

   370.15­Elisa di Betsur, vieni qua. Consola questa quasi fanciulla…». E mette di sua mano Anastasica fra le braccia di Elisa.
   Le osserva mentre Elisa la carezza e l’altra si abbandona fra quelle braccia di madre, e poi chiede: «Elisa, conosci la sua sto­ria?».
   «Sì, Signore. E mi fa tanta pena, povera colomba senza nido».
   «Elisa, ami tu questa sorella?».
   «Amarla? Tanto. Ma non come sorella. Ella mi può essere figlia. E ora che la tengo fra le braccia mi pare di tornare ad essere la madre felice del tempo passato. A chi affiderai questa dolce gazzella?».
   «A te, Elisa».
   «A me?». La donna slega il cerchio delle braccia per guardare il Signore, incredula…
   «A te. Non la vuoi?».
   «Oh! Signore! Signore! Signore!»… Elisa in ginocchio striscia da Gesù e non sa, non sa come, cosa dire, cosa fare per esprimere la sua gioia.
   «Alzati e siile santamente madre, ed ella ti sia santamente figlia, e ambedue procedete nella via del Signore.

   370.16­Maria di Lazzaro, perché piangi, tu, tanto ilare poc’anzi? Dove sono i dieci fiori che mi volevi portare?…».
   «Dormono sazi nel nitore, Maestro… E io piango perché mai più avrò il nitore delle vergini, e l’anima mia sempre piangerà, mai sazia perché… perché ho peccato…».
   «Il mio perdono e il pianto tuo ti fanno più monda di essi. Vieni qui. Non piangere più. Lascia il pianto a chi ha da vergognarsi di qualcosa. Su. Va’ a prendere i tuoi fiori; andate anche voi, spose e vergini. Andate a dire agli ospiti di Dio di salire. Occorre congedarli avanti la chiusura delle porte, perché molti di essi stanno sparsi per la campagna».
   Vanno ubbidienti, rimanendo solo sul terrazzo Gesù, al suo posto, che carezza Maria e Mattia; Elisa e Anastasica che poco più là si tengono per mano guardandosi negli occhi con un sorriso intriso di un pianto felice; Maria di Simone sulla quale si curva pietosa Maria Ss.; e Giovanna che sulla porta della stanza guarda incerta un poco dentro, un poco fuori, verso Gesù. Gli apostoli e discepoli sono scesi insieme alle donne per aiutare i servi a trasportare gli storpi, ciechi, zoppi, rattratti, vecchi, per la lunga scala.

   370.17­Gesù alza il capo che aveva chino sui due fanciulli e vede Maria curva sulla madre di Giuda. Si alza e va da loro. Posa la mano sulla testa brizzolata di Maria di Simone: «Perché piangi, donna?».
   «Oh! Signore! Signore! Io ho partorito un demonio! Nessuna madre in Israele sarà pari a me nel dolore!».
   «Maria, un’altra madre[16], e per lo stesso motivo che è tuo, mi ha detto e dice queste parole. Povere madri!…».
   «O mio Signore, vi è dunque un altro che come Giuda mio sia un perfido e scellerato verso di Te? Oh! non può essere! Egli, che ha Te, si è dato a pratiche immonde. Egli, che respira il tuo alito, è libidinoso e ladro, forse diverrà omicida. Egli… oh! Menzogna è il suo pensiero! Febbre la sua vita. Fàllo morire, Signore! Per pietà! Fàllo morire!».
   «Maria, il tuo cuore te lo mostra peggio che non sia. La paura ti fa folle. Ma calmati e ragiona. Che prove hai del suo agire?».
   «Verso Te nulla. Ma è una valanga che scende. L’ho sorpreso, e non ha potuto nascondere le prove che… Eccolo… Per pietà, taci! Mi guarda. Sospetta. È il mio dolore. Nessuna madre più infelice di me in Israele!…».
   Maria sussurra: «Io… Perché al mio unisco il dolore di tutte le madri infelici… Perché il mio dolore è dato dall’odio non di uno, ma di tutto un mondo».

   370.18Gesù, chiamato da Giovanna, va da lei; intanto Giuda viene verso la madre, che è ancora confortata da Maria, e l’apostrofa: «Hai potuto dire i tuoi deliri? Calunniarmi? Sei lieta ora?».
   «Giuda! Così parli a tua madre?», chiede severa Maria. È la prima volta che la vedo così…
   «Sì. Perché sono stanco della sua persecuzione».
   «Oh! figlio mio, non è una persecuzione! È amore. Tu mi dici malata. Ma tu sei il malato! Tu dici che io ti calunnio e che ascolto tuoi nemici. Ma tu ti fai torto, ma tu segui e coltivi esseri nefasti che ti travolgeranno. Perché tu sei debole, figlio mio, ed essi se ne sono accorti… Da’ retta a tua madre. Ascolta Anania, vecchio e saggio. Giuda! Giuda! Pietà di te, di me! Giuda!!! Dove vai, Giuda?!».
   Giuda, che traversa quasi di corsa la terrazza, si volta e grida: «Dove sono utile e venerato», e scende a precipizio la scala mentre l’infelice madre, sporgendosi dal parapetto, gli grida: «Non andare! Non andare! Essi vogliono la tua rovina! Figlio! Figlio! Figlio mio!…».
   Giuda è giunto in basso e gli alberi lo nascondono alla vista della madre. Riappare per un momento in uno spazio vuoto prima di entrare nel vestibolo.
   «È andato!… La superbia lo divora!», geme sua madre.
   «Preghiamo per lui, Maria. Preghiamo noi due insieme…», dice la Vergine tenendo per mano la triste madre del futuro deicida.

   370.19­Intanto cominciano a salire gli ospiti… e Gesù parla con Giovanna. «Va bene. Vengano pure. Molto meglio se si sono messe vesti ebree per non urtare le prevenzioni di molti. Le attendo qui. Va’ a chiamarle», e addossato allo stipite osserva l’af­flusso dei convitati, che apostoli, discepoli e discepole guidano con amorevolezza alle tavole secondo un ordine prestabilito. Al centro è la tavola bassa dei fanciulli, poi, di qua e di là, tutte le altre, parallele.
   Ma mentre ciechi, zoppi, rattratti, storpi, vecchi, vedove, mendichi si dispongono con le loro storie di dolori impresse sui volti, ecco che, gentili come cesti di fiori, vengono portati dei cestoni mutati in cuna, persino dei piccoli cofani, nei quali, adagiati su cuscini, dormono sazi i poppanti presi alle madri mendiche. E Maria di Madgala, rasserenata, corre da Gesù dicendo: «Sono giunti i fiori. Vieni a benedirli, mio Signore».
   Ma nello stesso tempo Giovanna emerge dalle scale interne dicendo: «Maestro, ecco le discepole pagane». Sono sette donne, vestite di oscure e dimesse vesti simili a quelle delle ebree. Un velo è sul volto di tutte e un mantello le copre fino ai piedi. Due sono alte e maestose, le altre di media statura. Ma quando, dopo aver venerato il Maestro, si levano il mantello è facile riconoscere Plautina, Lidia, Valeria; la liberta Flavia, quella che ha scritto le parole di Gesù nel giardino di Lazzaro; e poi vi sono tre sconosciute. Una dallo sguardo uso al comando e che pure si inginocchia dicendo al Signore: «E con me Roma si prostri ai tuoi piedi», e poi una formosa matrona sui cinquant’anni, e infine una giovinetta esile e serena come un fior di campo.
   Maria di Magdala riconosce le romane, nonostante le loro vesti ebree, e mormora: «Claudia!!!», e resta ad occhi sgranati.
   «Io. Basta di udire per altrui parola! La Verità e la Sapienza vanno attinte alla fonte diretta».
   «Credi che ci riconosceranno?», chiede Valeria a Maria di Magdala.
   «Se non vi tradite col nominarvi, non credo. Del resto vi metterò in luogo sicuro».
   «No, Maria. Alle tavole, a servire i mendichi. Nessuno potrà pensare che le patrizie siano serve ai poveri, agli infimi del mondo ebraico», dice Gesù.
   «Bene sentenzi, o Maestro. Perché la superbia è innata in noi».
   «E l’umiltà è il segno più netto della mia dottrina. Chi mi vuole seguire deve amare la Verità, la Purezza e l’Umiltà, avere carità per tutti ed eroismo per sfidare l’opinione degli uomini e le pressioni dei tiranni. Andiamo».
   «Perdona, o Rabbi. Questa fanciulla è una schiava figlia di schiavi. L’ho riscattata perché di origine israelita e Plautina con sé la tiene. Ma io te l’offro, pensando che bene è farlo. Il suo nome è Egla. Ti appartiene».
   «Maria, accoglila. Poi penseremo… Grazie, donna».

   370.20­Gesù va sul terrazzo a benedire i fanciulli. Molta curiosità destano le dame. Ma così vestite e pettinate all’ebrea, in vesti quasi povere, non destano sospetti. Gesù va al centro della terrazza, presso la tavola dei fanciulli, e prega, offrendo per tutti il cibo al Signore, benedice e dà ordine di iniziare il pasto. Apostoli, discepoli, discepole, dame, sono i servi dei poveri, e Gesù ne dà l’esempio rimboccandosi le larghe maniche della veste rossa e occupandosi dei suoi bambini, aiutato da Mirjam di Giairo e da Giovanni. Le bocche di tanti denutriti lavorano egregiamente, ma gli occhi sono tutti rivolti al Signore. La sera scende e viene levato il velario mentre lumi, ancora superflui, vengono portati dai servi.
   Gesù circola fra le tavole. Non lascia nessuno senza conforti di parole e di aiuto. Sfiora così più volte le regali Claudia e Plautina, che dimesse spezzano il pane o portano il vino alle labbra dei ciechi, dei paralitici, dei monchi; sorride alle sue vergini che si occupano delle donne, alle madri discepole tutte pietose presso gli infelici, a Maria di Magdala che si prodiga a una tavolata di vecchioni, la più triste di tutte, piena di tossi, di tremiti, di mascelle sdentate che biasciano e di bocche che sbavano; e aiuta Matteo che palleggia un infante, che si è fatto andare per traverso una mollica di focaccia che succhiava e mordeva coi dentini novelli; complimenta Cusa che, sopraggiunto al principio del pasto, scalca le carni e serve come un servo provetto.
   Il pasto ha termine. Nei volti coloriti, negli occhi più lieti, è palese la soddisfazione dei miseri.

   370.21Gesù si curva su un vecchione scosso da un tremito e dice: «Che pensi, o padre, che sorridi?».
   «Penso che non è proprio un sogno. Fino a poco fa credevo di dormire e sognare. Ma ora sento che è proprio vero. Ma chi ti fa così buono, che fai buoni così i tuoi discepoli? Viva Gesù!», grida per ultimo.
   E tutte le voci di questi miseri, e sono centinaia, gridano: «Viva Gesù!».
   Gesù va di nuovo al centro e apre le braccia, facendo cenno di tacere e di stare fermi, e inizia a parlare stando seduto con un fanciullino sulle ginocchia.
   «Viva, sì, viva Gesù, non perché Io sono Gesù. Ma perché Gesù vuol dire l’amore di Dio fatto carne e sceso fra gli uomini per essere conosciuto e per far conoscere l’amore che sarà il segno della nuova èra. Viva Gesù perché Gesù vuol dire “Salvatore”. Ed Io vi salvo. Vi salvo tutti[17], ricchi e poveri, fanciulli e vegliardi, israeliti e pagani, tutti, purché voi vogliate darmi la volontà di essere salvati. Gesù è per tutti. Non è per questo o quello. Gesù è di tutti. Di tutti gli uomini e per tutti gli uomini. Per tutti sono l’Amore misericorde e la Salvezza sicura. Cosa è necessario fare per essere di Gesù, e perciò per avere salvezza? Poche cose. Ma grandi cose. Non grandi perché cose difficili come quelle che fanno i re. Ma grandi perché vogliono che l’uomo si rinnovelli per farle e per divenire di Gesù. Perciò amore, umiltà, fede, rassegnazione, compassione. Ecco. Voi, che discepoli siete, cosa avete fatto oggi di grande? Direte: “Nulla. Abbiamo servito un pasto”. No. Avete servito l’amore. Vi siete umiliati. Avete trattato da fratelli gli sconosciuti di tutte le razze, senza chiedere chi sono, se sono sani, se sono buoni. E lo avete fatto in nome del Signore. Forse speravate grandi parole da Me, per la vostra istruzione. Vi ho fatto fare grandi fatti. Abbiamo iniziato il giorno con la preghiera, abbiamo sovvenuto lebbrosi e mendichi, abbiamo adorato l’Altissimo nella sua Casa, abbiamo iniziato le agapi fraterne e la cura dei pellegrini e dei poveri, abbiamo servito perché servire per amore è essere simile a Me che sono Servo dei servi di Dio, Servo fino ad annichilimento di morte per ministrare a voi salvezza…».

   370.22­Un vocìo e uno scalpiccìo interrompe Gesù. Un gruppo scalmanato di israeliti sale di corsa le scale. Le romane più note, ossia Plautina, Claudia, Valeria e Lidia, si ritirano nell’ombra calando il velo. I disturbatori irrompono sul terrazzo e pare cerchino chissà che.
   Cusa, offeso, va loro davanti e chiede: «Che volete?».
   «Nulla che ti riguardi. Cerchiamo Gesù di Nazaret e non te».
   «Eccomi. Non mi vedete?», chiede Gesù posando a terra il fanciullino e alzandosi imponente.
   «Che fai qui?».
   «Lo vedete. Faccio ciò che insegno e insegno ciò che va fatto: l’amore ai più poveri. Che vi era stato detto?».
   «Furono uditi gridi sediziosi. E siccome dove sei Tu là è sedizione, siamo venuti a vedere».
   «Là dove Io sono è pace. Il grido era: “Viva Gesù”».
   «Appunto. Fu pensato, tanto al Tempio che al palazzo d’Erode, che qui si congiurasse contro…».
   «Chi? Contro chi? Chi è re in Israele? Non il Tempio, non Erode. Roma domina, e folle è chi pensa a farsi re là dove essa impera».
   «Tu dici d’esser re».
   «Re sono. Ma non di questo regno. Troppo meschino per Me! Troppo meschino è anche l’impero. Re Io sono del Regno santo dei Cieli, del Regno dell’Amore e dello Spirito. Andate in pace. O restate, se volete, e imparate come si accede a questo mio Regno. I miei sudditi eccoli: i poveri, gli infelici, gli oppressi, e poi i buoni, gli umili, i caritatevoli. Restate, unitevi ad essi».
   «Però Tu sei sempre ai conviti in case fastose, fra belle donne e…».
   «Basta! Non si insinua e non si offende il Rabbi in casa mia. Uscite!», tuona Cusa.

   370.23­Ma dalla scala interna balza sul terrazzo una figuretta snella di fanciulla velata. Corre leggera come una farfalla fino a Gesù e là getta velo e manto, cadendogli ai piedi e tentando baciarglieli.
   «Salomè!», grida Cusa e con lui altri.
   Gesù si è ritirato così violentemente, per sfuggire il contatto, che il suo sedile si rovescia ed Egli ne approfitta per metterlo fra Sé e Salomè come separazione. I suoi occhi fanno paura tanto sono fosforescenti, terribili.
   Salomè, leggera e sfrontata, tutta moine, dice: «Sì, io. L’acclamazione è giunta al Palazzo. Erode manda ambasceria a dirti che ti vuol vedere. Ma io l’ho prevenuta. Vieni con me, Signore. Io ti amo tanto e ti desidero tanto! Sono io pure carne d’Israele».
   «Va’ alla tua casa».
   «La Corte ti attende per darti onore».
   «La mia Corte è questa. Non ne conosco altra né altri onori», e colla mano indica i poveri seduti alle tavole.
   «Ti porto doni per essa. Ecco i miei monili».
   «Non li voglio».
   «Perché li rifiuti?».
   «Perché sono immondi e dati per immondo scopo. Va’ via!».
   Salomè si rialza interdetta. Guarda di sfuggita il Terribile, il Purissimo che la fulmina col braccio teso e lo sguardo di fuoco. Guarda furtiva tutti e vede beffa o nausea sui volti. I farisei sono pietrificati e osservano la scena potente. Le romane osano farsi avanti per vedere meglio.
   Salomè tenta un’ultima prova. «Avvicini anche i lebbrosi…», dice sommessa e supplichevole.
   «Sono dei malati. Tu sei un’impudica. Va’ via!».
   L’ultimo «va’ via!» è talmente potente che Salomè raccoglie velo e manto e, curva, strisciando, si dirige alle scale.
   «Bada, Signore!… Ella è potente… Potrebbe nuocerti», sussurra Cusa sottovoce.
   Ma Gesù risponde a voce fortissima, ché tutti possano sentire, la scacciata per prima: «Non importa. Preferisco essere ucciso ad avere alleanze con il vizio. Sudore di donna lasciva e oro di meretrice sono veleni d’inferno. Alleanza di viltà coi potenti è colpa. Io sono Verità, Purezza e Redenzione. E non muto. Va’. Accompagnala…».
   «Punirò i servi che l’hanno lasciata passare».
   «Non punirai nessuno. Una sola va punita. Lei. E lo è. E sappia, e sappiate che il suo pensiero mi è noto e che ne ho ribrezzo. Torni la serpe nel suo covo. L’Agnello torna ai suoi giardini».
   Si siede. Suda. Tace.

   370.24­Poi dice: «Giovanna, da’ ad ognuno l’obolo perché meno triste sia per qualche giorno la vita… Che altro vi devo fare, figli del dolore? Che volete che Io vi possa dare? Leggo nei cuori. Ai malati che sanno credere, pace e salu­te!».
   Un attimo di sosta e poi un grido… e sono molti e molti che sorgono guariti. I giudei venuti a sorprendere se ne vanno sbalorditi e trascurati nel delirio generale di acclamazioni per il miracolo e per la purezza di Gesù.
   Gesù sorride baciando i bambini. Poi congeda gli ospiti trattenendo le vedove e parla con Giovanna in loro favore. Giovanna prende nota e le invita per il domani. Poi esse pure vanno. Ultimi vanno i vecchi…
   Restano apostoli, discepoli, discepole e le romane. Gesù dice: «Così è e deve essere l’unione futura. Non ci sono parole. I fatti parlino agli spiriti e alle menti colla loro evidenza. La pace sia con voi».
   Si dirige verso le scale interne e scompare seguito da Giovanna e poi dagli altri.

   370.25­Alla base delle scale scontra Giuda: «Maestro, non andare al Getsemani! Ti cercano là dei nemici. E tu, madre, che dici ora? Tu che mi accusi! Se non fossi andato, non avrei saputo l’insidia tesa al Maestro. In un’altra casa! In un’altra casa andiamo!».
   «Nella nostra, allora. In casa di Lazzaro non entra che chi è amico di Dio», dice Maria di Magdala.
   «Sì. Quelli che ieri erano al Getsemani vengano con le sorelle al palazzo di Lazzaro. Domani provvederemo».

[15] anche la tua altra figlia, come la prima in 241.2/3.
[16] un’altra madre, quella di Marco di Giosia, in 358.7/8.
[17] Vi salvo tutti, …purché voi vogliate darmi la volontà di essere salvati , come viene spiegato soprattutto in: 136.2 - 494.7 - 495.2/4 (con ampio spazio per la misericordia) - 520.5 - 575.10/11 - 605.14/18. La suddetta condizione per ottenere la salvezza giustifica certe dichiarazioni d’impotenza da parte di Gesù, il quale non usa la propria onnipotenza divina non solo per quegli atti che sarebbero contrari al vero bene e alla giustizia (come in: 89.1 - 95.6 - 104.5 - 172.7 - 258.7), oppure che sarebbero inutili o imprudenti o semplicemente inopportuni (come in 455.9, ultime righe, e in 484.2.3), ma anche per quegli atti che farebbero il bene di chinon vuole chiederli o accoglierli (come in: 105.4 - 302.2 - 337.6 - 368.12 - 374.3 - 503.5/7.10) oppure di chi li vorrebbe per un fine non retto (come in 574.10). Gesù dichiara la propria onnipotenza divina in 53.5 e, tranne che nei casi suddetti, la ribadisce o la esercita innumerevoli volte nell’opera valtortiana.