MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 393



CCCXCIII. Nella casa di campagna di Maria di Keriot.­

   26 febbraio 1946.

   393.1­Giungono alla casa di campagna di Giuda in una fresca e splendida mattina. I pometi sono roridi di rugiada e l’erba ai loro piedi è un tappeto di fiori sui quali ronzano le api. La casa è già con le finestre spalancate. Colei che la dirige, la forte donna che tempera la sua padronanza con una grande bontà, sta impartendo ordini ai servi e ai contadini e distribuisce di sua mano il cibo prima di mandare ognuno al suo lavoro. Dall’ampia porta spalancata della vasta cucina la si vede passare e ripassare nella sua veste scura, parlando con questo e quello, facendo le parti a seconda dei bisogni del lavoratore. Una schiera di colombi attendono, sgrugolando davanti alla porta, di avere essi pure la loro parte.
   Gesù si avanza sorridendo ed è quasi sulla porta quando, con un sacchetto di granaglie in mano, Maria di Simone si affaccia dicendo: «E ora a voi, colombini. Ecco il primo pasto, poi andate felici, al sole, a lodare il Signore. Buoni, buoni! Ce ne è per tutti senza necessità di beccarvi…». E sparge il grano, gettandolo in ogni senso per impedire risse violente fra gli ingordi colombi. Non vede Gesù, perché sta a testa china, e si curva anche ad accarezzare dei volatili che le sbeccuzzano le dita dei piedi per vezzo d’amore. Maria ne prende uno fra le mani e se lo carezza. Poi lo posa e sospira.
   Gesù fa un passo avanti dicendo: «La pace a te, Maria, e alla tua casa!».
   «Il Maestro!», esclama la donna, lasciando cadere il sacchetto che teneva sotto il braccio, e corre incontro a Gesù mettendo in fuga i colombi, che però si posano subito di nuovo al suolo lavorando accaniti intorno alla cordicella del sacchetto, alla sua tela, per scioglierla, per diradarla e soddisfare la loro voracità. «O Signore! Che giorno santo e felice!», e fa per inginocchiarsi a baciare i piedi di Gesù.
   Ma Egli lo impedisce dicendo: «Le madri dei miei apostoli e le israelite sante non devono avvilirsi come schiave al mio cospetto. Mi hanno dato il loro spirito fedele e il loro figlio. Io do ad esse un amore di predilezione».
   La madre di Giuda, commossa, gli bacia allora le mani mor-morando: «Grazie, Signore!».

   393.2Poi alza il capo e guarda il gruppetto degli apostoli che si è arrestato alle ultime piante e, stupita di non vedere venirle incontro suo figlio, osserva meglio il gruppo. Il suo volto si fa pallido di sgomento. Ha quasi un grido per chiedere: «Mio figlio dove è?», e guarda con paura e con pena Gesù.
   «Non temere, Maria. Io l’ho mandato con Simone Zelote alla casa di Lazzaro per una missione. Se mi fossi potuto fermare a Masada quanto avevo deciso, lo avrei trovato qui. Ma non ho potuto fermarmi. La città, ostile, mi ha scacciato. E Io sono venuto qui sollecitamente per trovare conforto presso una madre e per darle il conforto di sapere che suo figlio serve il Signore», dice Gesù sottolineando le ultime parole per dare ad esse un più ampio significato.
   Maria è come un fiore appassito che si ristora. Le torna il colore sulle guance, le torna la luce nello sguardo. Chiede: «Davvero, Signore? Egli è buono? Ti fa contento? Sì? Oh! gioia! Gioia del cuor della madre! Ho tanto pregato! Tanto! Ho fatto tante elemosine! Tante! E penitenze… tante… E che non farei per fare di mio figlio un santo? Grazie, Signore! Grazie di amarlo tanto. Perché è il tuo amore che lo salva, il mio Giuda…».
   «Sì. È il “nostro” amore che lo… sostiene…».
   «Il nostro amore! Come sei buono, Signore! Mettere il mio povero amore vicino, unito al tuo, divino!… Oh! quale parola mi hai detta! Quanta sicurezza! Quanto conforto e pace mi dài con essa! Finché era il mio povero amore, poco utile poteva averne Giuda. Ma Tu, col tuo perdono… perché Tu le sai le sue colpe, Tu col tuo infinito amore che sembra cresca più egli ne ha bisogno dopo una colpa, oh! Tu… Giuda mio vincerà se stesso, infine, per sempre. Non è vero, Maestro?». La donna lo guarda fisso, coi suoi occhi seri e profondi, le mani congiunte in preghiera.
   Gesù… oh! Gesù, che non può dirle di sì e che non le vuole negare quest’ora di pace, di dispersione dei suoi timori, trova una parola che non è menzogna, che non è promessa, ma che la donna può accogliere con sollievo. Dice: «La sua buona volontà congiunta al nostro amore può fare dei veri miracoli, Maria. Abbi pace nel cuore pensando sempre che Dio ti ama. Molto. Ti comprende. Molto. E ti sarà amico sempre».
   Maria gli bacia di nuovo le mani per ringraziarlo. E poi dice: «Entra allora nella mia casa, in attesa di Giuda. Qui è amore e pace, benedetto Maestro».
   E Gesù, chiamati i suoi, entra nella casa a prendere ristoro e riposo.

   393.3È la sera. La notte cala lentamente sulla campagna. I rumori cessano uno ad uno e non resta che il vento leggero fra le fronde a mettere una voce nel silenzio. Poi ecco il primo grillo nei campi di messi mature. Un altro,… un altro. E tutta la campagna frinisce nel canto monotono… finché un usignolo lancia il primo interrogativo canoro alle stelle… tace in ascolto e poi riprende. Tace di nuovo… Che attende?… Forse il primo raggio di luna?… Bisbiglia piano, si deve essere messo sul folto noce presso la casa, forse ci ha il nido. Sembra che parlotti con la compagna che forse è alla cova… Un belato insistente, poco lontano. Un rumore di sonagli sulla via che porta a Keriot. Poi silenzio.
   Gesù è seduto vicino a Maria sui sedili messi davanti alla casa. Riposa in serenità fra i suoi e la servitù della casa. L’ora è dolce, placida. I corpi e gli spiriti ne hanno sollievo. Gesù
   parla poco, a larghi intervalli[68]. Lascia che gli apostoli narrino di Engaddi, del vecchio sinagogo, del miracolo. Maria e i servi ascoltano attenti.
   Qualche cosa si muove fra i fusti dei meli. Ma se qui, nella piazzuola che è davanti alla casa, ancora un poco ci si vede per le chiare stelle che gremiscono il cielo, là, sotto il folto fogliame, non c’è luce affatto, e solo il rumore di qualcosa che si muove giunge all’orecchio.
   «Qualche animale notturno? Qualche pecora dispersa?», si chiedono in diversi. E il ricordare una pecora riconduce al pensiero di molti la pecora che si lamenta perché le è stato levato l’agnello per ucciderlo.
   «Non si dà pace quella bestia!», dice il fattore. «Temo che le si impietri il latte. Da stamane non mangia e bela, bela… Sentitela!…».
   «Le passerà… Figliano perché noi si mangi l’agnello», dice filosoficamente un servo.
   «Ma non tutte sono uguali. Questa è meno stolta e soffre di più. Senti? Non pare proprio un pianto? Non dirmi stolta, Maestro… Ne ho pena come fosse un pianto di donna che ha perduto suo figlio…».
   «Invece tu lo trovi, o madre, tuo figlio!», dice Giuda di Keriot apparendo alle loro spalle insieme a Simone e facendo sobbalzare tutti per la sorpresa. «Maestro! La tua benedizione al ritorno come ce la desti alla partenza».
   «Sì, Giuda», e Gesù abbraccia i due di ritorno.
   «La tua, mamma…». Anche Maria bacia e abbraccia suo figlio.

   393.4­«Non credevamo trovarti già qui, Maestro. Abbiamo camminato instancabili, quasi sempre per scorciatoie per evitare di essere trattenuti. Ma abbiamo incontrato dei discepoli e abbiamo avvisato Giovanna ed Elisa che presto ci vedranno», spiega Simone.
   «Sì. E Simone camminava come un giovane. Maestro, abbiamo fatto l’ambasciata. Lazzaro sta molto male. Il caldo lo fa soffrire più ancora. Si raccomanda di andare presto da lui… Maestro, meno che all’Antonia, per fare carità a Egla che prima di partire per Gerico voleva ringraziare Claudia, io non sono andato in nessun luogo. Non è vero, Simone?».
   «È vero. E all’Antonia siamo andati nell’ora di sesta, in una giornata d’afa che consigliava tutti a stare nelle case. Mentre Giuda parlava con Claudia, che Albula Domitilla aveva chiamata nel giardino, io ero interrogato dalle altre dame. Non credo di aver fatto male a spiegare come potevo ciò che volevano sapere».
   «Hai fatto bene. È in loro vera volontà di conoscere la Ve­rità».
   «E in Claudia è vera volontà di aiutarti. Ha congedato Egla, che è andata a salutare Plautina e le altre, e mi ha fatto molte domande. Se bene ho compreso, ella vuole persuadere Ponzio a non credere alle calunnie farisee, sadducee e così via. Ponzio si fida fino ad un certo punto dei suoi centurioni, buoni per le battaglie ma poco buoni per le ambascerie. E molto si serve della moglie, che deve essere intelligente fino all’astuzia, per sapere le cose con sicurezza. In verità il Proconsole è Claudia. Lui deve essere una nullità che sta su perché lei è lei come potenza e come consigliera. Ci hanno voluto dare del denaro per i tuoi poveri. Eccolo».
   «Quando siete arrivati? Non parete stanchi e polverosi», chiede Giacomo di Zebedeo.
   «All’ora fra terza e sesta. Andammo a Keriot per vedere se là era mia madre e per avvisare del tuo arrivo. Ma sono stato come Tu vuoi, Maestro. Non mi sono lasciato tentare da desideri umani. Non è vero, Simone?».
   «È vero».
   «Hai fatto bene. Ubbidisci sempre e ti salverai».
   «Sì, Maestro. Oh! ora che so che Claudia è con noi, non ho più le mie stolte frette. Tutte amore, però. Ne devi convenire. Disordinato amore… Disordinato perché si sentiva senza protezione, senza aiuto per raggiungere il suo scopo, che è quello di farti amato, rispettato come meriti, come deve essere. Ora sono più calmo. Non temo più. E mi è dolce anche attende­re…». Giuda sogna ad occhi aperti.
   «Non ti abbandonare ai sogni, Giuda. Sta’ nella verità. Io sono la Luce del mondo e la luce sarà sempre invisa alle tenebre…», ammonisce Gesù.
   La luna si è alzata. Il suo biancore bagna la campagna, fa pallidi i volti, inargenta case e piante. Il noce ne è tutto fasciato ad oriente. L’usignolo raccoglie l’invito lunare e scioglie il canto, lungo, melodioso, che teneva in serbo, per salutare la notte e la luna.

[68] a larghi intervalli, invece di dentro per dentro (tipica espressione annotata in 6.1), è correzione di MV su una copia dattiloscritta.