MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VI CAPITOLO 426



CDXXVI. Con le romane a Cesarea Marittima. Profezia in Virgilio. La giovane schiava salvata.­

   1 maggio 1946.

   426.1­Gesù è ospitato presso l’umile famiglia del cordaio. Una casetta bassa e salmastrosa, prossima come è alle acque marine. Sul dietro della casa, dei magazzini poco olezzanti dove si scaricano le merci prima che vengano rilevate dai diversi acquirenti. Sul davanti una via polverosa, solcata da ruote pesanti, rumorosa per gli scaricatori, i monelli, i carrettieri, i marinai che vanno e vengono senza sosta. Oltre la via una piccola darsena, dall’acqua oleosa per i detriti gettati in essa e per la sua immobilità. Dalla darsena parte un piccolo porto canale, che sfocia nel vero porto ampio e capace di accogliere i navigli grossi. Sul lato d’occidente, un piazzale renoso dove si fa la corda fra un grande cigolio di verricelli di torsione girati a mano. Al lato d’oriente un altro piazzaletto, molto più piccolo e ancor più rumoroso e disordinato, dove uomini e donne rabberciano reti e vele. E poi casupole basse e salmastrose, piene di ragazzini seminudi.
   Non si può certo dire che Gesù abbia scelto un alloggio signorile. Mosche, polvere, fracasso, odor di maretta stagnante, odore di canapa messa a bagno prima di usarla, sono sovrani in quel luogo. E il Re dei re, sdraiato con i suoi apostoli su dei mucchi di canapa da lavorare, dorme stanco in quel povero ambiente, mezzo ripostiglio, mezzo magazzino, che è sul dietro della casetta e dal quale si entra, per una porta nera come il catrame, nella cucina ancor essa nera e, per una porta tarlata e corrosa dalla polvere e dal salmastro che la fanno di un bianco-grigio di pomice, si esce sulla piazza dove si fa la corda e da dove vengono fetori di canapa in macero.

   426.2Il sole martella sulla piazza, nonostante quattro enormi platani, due a un capo, due all’altro della piazza rettangolare, sotto i quali sono i verricelli per attorcigliare la canapa. Non so se dico bene per nominare l’arnese usato. Gli uomini, ricoperti di una tunica ridotta proprio all’essenziale per coprire ciò che decenza impone, bagnati di sudore come se fossero sotto una doccia, girano, girano il loro verricello con moto continuo come per una condanna di galeotti… Non parlano altro che per dire le indispensabili parole inerenti al lavoro. Perciò, tolto il cigolio delle ruote dei verricelli e quello della canapa stirata nella torsione, non c’è altro rumore sulla piazza, strano contrasto con il rumore degli altri luoghi che circondano la casa del cordaio.
   Perciò è sorprendente, come cosa impensata, l’esclamazione di uno dei cordai: «Delle donne?! A queste ore tremende?! Guardate! Vengono proprio qui…».
   «Avranno bisogno di corde per legare i mariti…», motteggia un giovane cordaio.
   «Possono aver anche bisogno di canapa per dei lavori».
   «Uh! della nostra, così rozza, quando c’è chi la dà pettinata!?».
   «Costa meno la nostra. Vedi? Sono povere…».
   «Però ebree non sono. Vedi il mantello diverso…».
   «Saranno non ebree. C’è un po’ di tutto in Cesarea, or­mai…».
   «Forse cercano il Rabbi. Saranno malate… Vedi come stanno tutte coperte, anche con questo caldo…».
   «Purché non siano lebbrose… Miseria sì, ma lebbra no; non la voglio neppure per rassegnazione a Dio», dice il cordaio al quale tutti ubbidiscono.
   «Ma lo senti il Maestro? “Occorre accettare tutto ciò che Dio manda”».
   «Ma la lebbra non la manda Dio. La mandano i peccati, i vizi e i contagi…».
   Le donne sono arrivate alle spalle, non di questi che parlano e che sono al lato estremo della piazza, ma di quelli che sono dal lato della casa, i più prossimi perciò a raggiungersi, e una si curva a dire qualcosa ad uno dei cordai, che si volta stupito e resta lì come ebete.
   «Andiamo un po’ a sentire… Così coperte… Mi ci mancherebbe lebbra in casa, con tutti quei figli che ho!…», dice il cordaio padrone sospendendo di girare il verricello e avviandosi. I suoi compagni lo seguono…
   «Simone, questa donna vuole qualcosa, ma parla straniero. Senti un po’ tu che hai navigato», dice quello al quale si è rivolta la donna.
   «Che vuoi?», interroga rude il cordaio cercando di vederla attraverso il bisso tinto di scuro che le scende sul viso.
   E in un greco purissimo la donna risponde: «Il Re d’Israele. Il Maestro».
   «Ah! ho capito. Ma… siete lebbrose?».
   «No».
   «Chi me lo assicura?».
   «Egli stesso. Chiedi a Lui».
   L’uomo è incerto… Poi dice: «Bene. Farò un atto di fede e Dio mi proteggerà… Lo vado a chiamare. State lì».
   Le donne, quattro, non si muovono, gruppo bigiastro e muto, guardato con stupore e con ben chiaro timore dai cordai, che si sono radunati a qualche passo di distanza.

   426.3L’uomo va nel magazzino e tocca Gesù che dorme. «Maestro… Vieni fuori. Ti cercano».
   Gesù si desta e si alza subito chiedendo: «Chi?».
   «Mah!… Delle donne greche… tutte coperte… Dicono che non sono lebbrose e che Tu me lo puoi assicurare…».
   «Vengo subito», dice Gesù allacciandosi i sandali, che si era tolti, e allacciando la veste al sommo del collo e riannodandosi la cintura, che si era levata per essere più libero nel sonno. Ed esce col cordaio.
   Le donne fanno per venirgli incontro. «State lì, vi dico! Non voglio che camminiate dove giuocano i miei bambini… Prima voglio che Lui dica che siete sane». Le donne si fermano.
   Gesù le raggiunge. La più alta, non quella che ha parlato prima in greco, dice sottovoce una parola. Gesù si volge al cordaio: «Simone, puoi stare tranquillo. Le donne sono sane e ho bisogno di ascoltarle in pace. Posso entrare nella casa…».
   «No. C’è la vecchia, ciarliera e curiosa più di una gazza. Va’ là in fondo, sotto la tettoia delle vasche. C’è anche uno stanzino. Là sei solo e in pace».

   426.4­«Venite…», dice Gesù alle donne. E con esse va in fondo alla piazza, sotto la tettoia fetente, dentro lo stanzino stretto come una cella, dove sono attrezzi rotti, cenci, scarti di canapa, ragnatele gigantesche, e dove l’odore del macero e della muffa mordono in gola, tanto sono acuti. Gesù, che è molto serio e pallido, ha un breve sorriso dicendo: «Non è luogo consono ai vostri gusti… Ma non ho altro…».
   «Non vediamo il luogo, perché vediamo Chi lo abita in questo momento», risponde Plautina levandosi velo e mantello, imitata dalle altre che sono Lidia, Valeria e la liberta Albula Domitilla.
   «Da ciò arguisco che, nonostante tutto, voi mi credete ancora un giusto».
   «Di più che un giusto. E Claudia ci manda appunto perché ti crede più che un giusto e non tiene conto delle parole udite. Però ne vuole conferma da Te per darti raddoppiata venerazione».
   «O levarmela, se le appaio come vollero illustrarmi. Ma rassicuratela. Io non ho mire umane. Il mio ministero e il mio desiderio è tutto e soltanto soprannaturale. Voglio, sì, riunire in un unico regno tutti gli uomini. Ma che degli uomini? La carne e il sangue? No. Quello lo lascio, materia labile, alle labili monarchie, agli incerti imperi. Io voglio riunire sotto il mio scettro soltanto gli spiriti degli uomini, spiriti immortali in un regno immortale. Io ripudio ogni altra versione della mia volontà, data da chicchessia, diversa a questa. E vi prego credere, e dire a colei che vi manda, che la Verità non ha che una sola parola…».
   «Il tuo apostolo parlava con tale sicurezza…».
   «È un fanciullo esaltato. Va ascoltato per tale».
   «Ma ti nuoce! Rimproveralo… Scaccialo…».
   «E la mia misericordia dove sarebbe allora? Egli fa ciò per un errato amore. Non devo compatire perciò? E che si muterebbe se Io lo scacciassi? Egli farebbe doppio male a lui e a Me».
   «Allora ti è come una palla al piede!…».
   «Mi è come un infelice da redimere…».

   426.5Plautina cade a ginocchio tendendo le braccia e dicendo: «Ah! Maestro grande più d’ogni altro, come è facile crederti santo quando si sente il tuo cuore nelle tue parole! Come è facile amarti e seguirti per questa tua carità che è ancor più grande della tua intelligenza!».
   «Non più grande. Ma più comprensibile per voi… che avete l’intelletto impedito da troppi errori e non siete generose nello spogliarlo di tutto per accogliere il Vero».
   «Hai ragione. Sei indovino come sei saggio».
   «La saggezza, essendo forma di santità, dà sempre luminosità di giudizio, sia su eventi passati o presenti, sia su premonizione di eventi futuri».
   «Perciò i vostri profeti…».
   «Erano dei santi. Dio si comunicava perciò ad essi con pienezza grande».
   «Erano santi perché erano di Israele?».
   «Erano santi perché d’Israele e perché erano giusti nelle loro azioni. Perché non tutto Israele è e fu santo, pur essendo Israele. Non è l’appartenenza casuale ad un popolo o a una religione che può fare santi. Queste due cose possono aiutare grandemente ad esserlo. Ma non sono il fattore assoluto della santità».
   «Quale è allora il fattore?».
   «La volontà dell’uomo. La volontà che conduce le azioni dell’uomo a santità se è buona, a nequizia se è cattiva».
   «Allora… non è detto che dei giusti non siano anche fra noi».
   «Non è detto. Anzi certo dei giusti sono fra i vostri antenati, e certo ve ne saranno anche fra i viventi. Perché sarebbe troppo orrendo che tutto il mondo pagano fosse di demoni. Coloro che fra voi sentono attrazione al Bene, alla Verità, e ripugnanza al Vizio, e fuggono le male azioni come avvilenti l’uomo, credete che sono già sul sentiero della giustizia».
   «Allora Claudia…».
   «Sì. E voi. Perseverate».
   «Ma se si dovesse morire prima di essere… convertite a Te?… A che gioverebbe essere state virtuose?…».
   «Dio è giusto nel giudicare. Ma perché tergiversare a venire al Dio vero?».
   Le tre dame curvano il capo… Un silenzio… E poi la grande confessione, che sarà quella che darà spiegazione di tante crudeltà e resistenze romane verso il cristianesimo… «Perché ci parrebbe, facendolo, di tradire la Patria…».
   «Servireste la Patria, invece, facendola moralmente e spiritualmente più grande, perché forte del possesso e della protezione di Dio oltre che del suo esercito e delle sue ricchezze. Roma, l’Urbe mondiale, Urbe della religione universale!… Pensate…».
   Un silenzio…

   426.6Poi Livia, arrossendo come una fiamma, dice: «Maestro, tempo fa cercavamo di Te anche nelle pagine del nostro Virgilio. Perché per noi hanno più valore le… profezie dei vergini da ogni fede d’Israele che quelle dei vostri profeti, nei quali possiamo sentire la suggestione di credenze millenarie… E fra noi si discusse… Confrontando i diversi che in ogni tempo, nazione e religione, ti hanno presentito. Ma nessuno così giustamente ti ha sentito come Virgilio nostro… Quanto parlammo quel giorno anche con Diomede, il liberto greco, astrologo, caro a Claudia! Egli sosteneva che ciò avvenne perché più vicini erano i tempi, e gli astri parlavano con le loro congiunzioni… E ad appoggio della sua tesi portava il fatto dei tre Saggi dei tre paesi d’Oriente venuti ad adorarti infante, provocando l’eccidio di cui Roma inorridì… Ma non ne fummo persuase, perché… in oltre cinquant’an­ni nessuno più dei sapienti di tutto il mondo parlò di Te per voce d’astri, benché più vicini ancora alla tua manifestazione attuale. Claudia esclamò: “Ci vorrebbe il Maestro! Egli darebbe la parola di verità e sapremmo il luogo e il destino immortale del nostro massimo poeta!”. Vorresti dirci… per Claudia… Un dono per mostrarci che non ti è invisa per il suo dubbio su Te…».
   «Ho compreso la sua reazione di romana e non le ho serbato rancore. Rassicuratela. E udite. Virgilio non fu grande unicamente come poeta, non è vero?».
   «Oh! no! Anche come uomo. In mezzo ad una società già corrotta e viziosa, egli fu luminoso di purezza spirituale. Nessuno può dire di averlo visto lussurioso, amante di orgie e di licenze. I suoi scritti sono casti, ma più casto ebbe il cuore. Tanto che nei luoghi da lui più abitati veniva detto “la verginella”, con scherno dai viziosi, con venerazione dai buoni».
   «E dunque, in un’anima limpida di uomo casto non avrà potuto riflettersi Dio, anche se quell’uomo era pagano? La Virtù perfetta non avrà amato il virtuoso? E se amore e vista del Vero gli furono concessi per la bellezza pura del suo spirito, non potrà aver avuto un lampo di profezia? Di profezia, che altro non è che verità che si disvela a chi merita di conoscere il Vero per premio e per sprone ad una virtù sempre maggiore?».
   «Allora… egli ti profetò realmente?».
   «La sua mente accesa di purezza e di genio salì a conoscere una pagina che mi riguarda, ed egli può essere detto il poeta pagano e giusto, uno spirito profetico e precristiano per premio alle sue virtù».
   «Oh! Il nostro Virgilio!! E avrà premio?».
   «Ho detto: “Dio è giusto”. Ma voi non imitate il poeta fermandovi al suo limite. Procedete, perché a voi la Verità non si è mostrata per intuito e in parte, ma completa, e vi ha parla­to».
   «Grazie, Maestro…

   426.7Ci ritiriamo. Claudia ci ha detto di chiederti se ti può essere utile in cose morali», dice Plautina senza dare risposta in merito.
   «E vi ha detto di dirmelo se Io non ero un usurpatore…».
   «Oh! Maestro! Come lo sai?».
   «Sono più di Virgilio e dei profeti…».
   «È vero! Tutto è vero! Possiamo servirti?…».
   «Per Me non ho necessità che di fede e amore. Ma c’è una creatura che è in grande pericolo e che avrà l’anima uccisa questa sera. Claudia potrebbe salvarla».
   «Qui? Chi? Uccisa l’anima?».
   «Un vostro patrizio dà una cena e…».
   «Ah! sì! Ennio Cassio. Anche mio marito è invitato…», dice Livia.
   «E anche il mio… E noi pure, veramente. Ma poiché Claudia se ne astiene, noi pure ce ne asterremo. Avevamo deciso di ritirarci subito dopo la cena, nel caso vi fossimo andate… Perché… le nostre cene terminano in orgie… che non possiamo sopportare più… E con sdegno di mogli trascurate vi lasciamo rimanere i mariti…», dice Valeria severa.
   «Non con sdegno… Con pietà della loro miseria morale…», corregge Gesù.
   «È difficile, Maestro… Sappiamo ciò che avviene là den­tro…».
   «Io pure so tante cose che avvengono nei cuori… eppure perdono…».
   «Tu sei santo…».
   «Voi dovete divenirlo. Per mio desiderio e per pungolo della vostra volontà…».
   «Maestro!…».
   «Sì. Potete dire di essere felici come prima di conoscermi, felici della povera felicità bruta, sensuale, di pagane che ignorano di essere più di una carne, ora che sapete un poco di Sapienza?…».
   «No, Maestro. Lo confessiamo. Siamo scontente, inquiete come uno che cerca un tesoro e non lo trova».
   «E vi è davanti! Ciò che vi fa inquiete è l’anelito del vostro spirito alla Luce, la sua insofferenza del vostro ritardare… a dare allo spirito ciò che esso vi chiede…».

   426.8­Un silenzio… Poi ancora Plautina, senza rispondere in merito, dice: «E che potrebbe fare Claudia?».
   «Salvare quella creatura. Una fanciulla comperata per godimento dal romano. Una vergine che domani non sarà più tale».
   «Se egli l’ha comperata… gli appartiene».
   «Non è un mobile. Dentro alla materia vi è uno spirito…».
   «Maestro… le nostre leggi…».
   «Donne: la Legge di Dio!…».
   «Claudia non va alla festa…».
   «Non le dico di andarvi. Vi dico di dirle: “Il Maestro, per avere certezza che Claudia non lo incolpa, le chiede aiuto per quest’anima fanciulla”…».
   «Lo diremo. Ma non potrà nulla… Schiava acquistata… oggetto di cui si può disporre…».
   «Il cristianesimo insegnerà che lo schiavo ha un’anima pari al Cesare, migliore nella più parte dei casi, e che quell’anima appartiene a Dio, e chi la corrompe è maledetto». Gesù è imponente nel dire ciò.
   Le donne ne sentono l’impero e la severità. Si inchinano senza obbiettare. Si rimettono i mantelli e i veli e dicono: «Riferiremo. Salve, Maestro».
   «Addio».
   Le donne escono nella piazza calda. Ma Plautina si volge e dice: «Per tutti eravamo donne greche. Intendi?».
   «Intendo. Andate sicure».
   Gesù resta sotto il basso portico ed esse vanno per la strada fatta nel venire.
   I cordai tornano al loro lavoro…

   426.9Gesù torna lentamente al magazzino. È pensoso. Non si sdraia più. Seduto su un mucchio di corde arrotolate, prega intensamente… Gli undici continuano a dormire pesantemente…
   Passa del tempo così… Un’ora circa. Poi il cordaio mette dentro il capo e fa cenno a Gesù di venire sulla porta. «C’è uno schiavo. Ti vuole».
   Lo schiavo, un numido, è fuori nella piazza ancora assolata. Si inchina e senza parlare dà una tavoletta cerata.
   Gesù legge e dice: «Dirai che attenderò fino all’alba. Hai capito?».
   L’uomo assente col capo e, per far capire perché non parla, apre la bocca mostrando la lingua mozza.
   «Infelice!», dice Gesù carezzandolo.
   Lo schiavo ha due lacrime che rotolano sulle guance nere e prende la mano bianca fra le sue nere[137], così simili a quelle di una grossa scimmia, e se la passa sul volto, la bacia, se la mette sul cuore e poi si getta a terra. Prende il piede di Gesù e se lo posa sul capo… Tutto un linguaggio di gesti per dire la sua riconoscenza per quel gesto di amore pietoso…
   E Gesù ripete: «Infelice!», ma non fa il gesto che risana.
   Lo schiavo si rialza e rivuole la tavoletta cerata… Claudia non vuole lasciare tracce del suo contatto epistolare… Gesù sorride e rende la tavoletta. Il numido parte e Gesù va presso il cordaio.
   «Devo rimanere sino all’alba… Lo concedi?…».
   «Tutto ciò che vuoi. Mi spiace di esser povero…».
   «Mi piace che tu sia onesto».
   «Chi erano quelle donne?».
   «Straniere bisognose di consiglio».
   «Sane?».
   «Come Me e te».
   «Ah! bene!…

   426.10­Ecco i tuoi apostoli…».
   Infatti, sfregandosi gli occhi, stirandosi ancor mezzo assonnati, gli undici escono dal magazzino venendo verso il Maestro.
   «Maestro… bisognerà cenare, se vuoi partire a sera…», dice Pietro.
   «No. Non parto più sino all’alba».
   «Perché?».
   «Perché sono stato pregato di fare così».
   «Ma perché? Da chi? Era meglio camminare di notte. Ormai è luna nuova…».
   «Spero di salvare una creatura… E ciò è più luminoso della luna e più refrigerante per Me delle frescure della notte».
   Pietro lo tira in disparte: «Che è avvenuto? Hai visto le romane? Che umore hanno? Sono loro che si convertono? Dimmelo…».
   Gesù sorride: «Se mi lasci rispondere te lo dirò, curiosissimo uomo. Ho visto le romane. Non vanno che lentamente alla Verità. Ma non retrocedono. È già molto».
   «E… per quello che diceva Giuda… Che c’è?».
   «Che continuano a venerarmi come un saggio».
   «Ma… per Giuda? Non è in causa lui?…».
   «Sono venute a cercare Me, non lui…».
   «Ma allora perché lui ha avuto paura di incontrarle? Perché non voleva che Tu venissi a Cesarea?».
   «Simone, non è la prima volta che Giuda ha strani capricci…».
   «Questo è vero. E… vengono questa notte le romane?».
   «Sono già venute».
   «E allora perché aspettiamo l’alba?».
   «E perché sei tanto curioso?».
   «Maestro, sii buono… Dimmi tutto».
   «Sì. Per levarti ogni dubbio… Hai sentito tu pure i discorsi di quei tre romani…».
   «Sì. Immondi! Peste! Demoni! Ma che c’entriamo noi?… Ah! capisco! Le romane vanno alla cena e poi vengono a chiedere perdono di essere state nelle immondezze… Mi meraviglio che Tu vi aderisci».
   «Mi meraviglio che tu faccia giudizi temerari!».
   «Perdonami, Maestro!».
   «Sì. Ma sappi che le romane non vanno alla cena e che Io ho chiesto a Claudia di intervenire per quella fanciulla…».
   «Oh! ma non può nulla Claudia! La fanciulla è comperata dal romano, e lui può tutto su lei!».
   «Ma Claudia può molto sul romano. E Claudia mi ha mandato a dire di attendere fino all’alba per partire. Non altro. Sei contento?».
   «Sì, Maestro. Ma intanto non hai riposato… Vieni ora… Sei così stanco! Vigilerò io che ti lascino in pace… Vieni, vieni…», e amorosamente tirannico lo tira, lo spinge, lo obbliga a sdraiarsi di nuovo…

   426.11­E passano le ore. Cala il tramonto, cessa il lavoro e più forti stridono i fanciulli per le vie e le piazzette e le rondini nel cielo. E poi calano le prime ombre, e le rondini vanno a nido e i bimbi a letto. I rumori cessano uno per uno finché resta soltanto il lieve sciacquio della maretta lungo il canale e il rumore più forte dell’onda sul lido. Le case si chiudono, queste case di lavoratori stanchi, si spengono in esse i lumi, e il riposo scende a far tutti ciechi e muti… lontani… Si alza la luna e nobilita del suo argento anche lo specchio sporco della piccola darsena, che ora sembra una lastra d’argento…
   Gli apostoli sono di nuovo dormienti sulla canapa… Gesù, seduto su uno dei verricelli fermi, le mani in grembo, prega, pensa, attende… Non perde d’occhio la via che viene dalla città.
   La luna si alza, si alza. È a perpendicolo sul capo. Il mare ha voce più forte, la maretta più forte odore, e il cono della luna che tuffa il suo raggio in mare si fa più ampio, abbraccia tutto lo specchio di fronte a Gesù, si perde sempre più lontano: una strada di luce che dai confini del mondo pare venire verso Gesù, risalendo il canale, terminando nel bacino della darsena. E da questa strada si avanza una barca, piccola, bianca. Avanza, avanza, senza lasciare tracce del suo passaggio sulla via acquea che si ricompone dopo il suo passaggio… Risale il canale… Eccola nella darsena silenziosa. Accosta. Si ferma. E tre ombre scendono. Un uomo nerboruto, una donna e un’esile figuretta fra loro. Si dirigono verso la casa del cordaio.

   426.12­Gesù si alza e va loro incontro. «La pace a voi. Chi cercate?».
   «Te, Maestro», dice Lidia scoprendosi e venendo avanti da sola. E continua: «Claudia ti ha servito. Perché era giusta cosa e tutta morale. Quella è la fanciulla. Valeria fra qualche tempo la prenderà per bambinaia della piccola Fausta. Ma ti prega intanto di tenerla. Anzi di affidarla a tua Madre o alla madre dei tuoi parenti. È tutt’affatto pagana. Anzi, è più che pagana. Il padrone che l’ha allevata ha messo l’assoluto nulla in lei. Non sa né di Olimpo né di altro. Ha soltanto un terrore folle degli uomini, perché la vita le si è scoperta tutta, in tutta la sua brutalità, da qualche ora…».
   «Oh! triste parola! Troppo tardi?».
   «No, materialmente… Ma egli la preparava al suo… diciamo: sacrilegio. E la creatura è spaventata… Claudia l’ha dovuta lasciare per tutta la cena presso quel satiro, riservandosi ad agire quando il vino lo faceva meno capace di riflettere. Non occorre che io ti ricordi che, se l’uomo è sempre lubrico nei suoi amori sensuali, lo è sommamente quando è ebbro… Ma solo allora è uno zimbello che può essere premuto da una forza e depredato del suo tesoro. E Claudia ne ha approfittato. Ennio desidera il ritorno in Italia, dalla quale è stato allontanato per sfavore… Claudia ha promesso il ritorno in cambio della fanciulla. Ennio ha abboccato al tranello… Ma domani, non più ebbro, si ribellerà, la cercherà, farà del chiasso. Vero è che domani Claudia avrà modo di porlo a silenzio».
   «Violenza? No!…».
   «Oh! violenza usata a buon fine è utile! Ma non sarà usata… Soltanto Pilato, ancor istupidito dal molto vino bevuto questa sera, firmerà l’ordine per Ennio di andare a riferire a Roma… Ah! Ah!… E al primo naviglio militare egli partirà. Ma intanto… bene è che la fanciulla sia altrove, per tema che Pilato si penta e revochi l’ordine… È tanto incerto! Ed è bene che la fanciulla dimentichi, se può, le lordure umane.

   426.13­Oh! Maestro!… Fummo alla cena per questo… Ma come potemmo andarci a quelle orgie fino a pochi mesi fa senza sentirne nausea? Ne siamo fuggite appena ottenuto lo scopo… Là i nostri mariti emulano i bruti tuttora… Che nausea, Maestro!… E noi dobbiamo riceverli dopo che… dopo che…».
   «Siate austere e pazienti. Con l’esempio migliorerete i consorti».
   «Oh! non è possibile!… Tu non sai…». La donna piange più di sdegno che di dolore. Gesù sospira.
   Lidia riprende: «Claudia ti manda a dire che ha fatto questo per mostrarti che ti venera come l’unico Uomo che meriti venerazione. E vuole che ti dica che ti ringrazia di averle insegnato il valore di un’anima e della purezza. Se lo ricorderà. Vuoi vedere la fanciulla?».
   «Sì. E l’uomo chi è?».
   «Il numido muto di cui Claudia si serve nelle cose più segrete. Non c’è pericolo di delazione… Non ha lingua…».
   Gesù ripete come nel pomeriggio: «Infelice!». Ma anche ora non fa miracolo.

   426.14­Lidia va a prendere per mano la fanciulla e quasi la trascina di fronte a Gesù. Spiega: «Sa poche parole latine e meno ancora ne sa di giudee… Una bestiola selvaggia… Unicamente oggetto di piacere». E alla fanciulla: «Non avere paura. Digli “grazie”. Egli è che ti ha salvata… Inginocchiati. Baciagli i piedi. Su! Non tremare!… Perdona, Maestro! È terrorizzata dalle ultime carezze di Ennio ubbriaco…».
   «Povera creatura!», dice Gesù posando la mano sul capo velato della fanciulla. «Non temere! Ti condurrò da mia Madre, per qualche tempo. Da una Mamma, capisci? E avrai intorno tanti buoni fratelli… Non temere, figlia mia!».
   Cosa c’è nella voce di Gesù e nel suo sguardo? Tutto c’è: pace, sicurezza, purezza, amore santo. La fanciulla lo sente, getta indietro il mantello col cappuccio per guardarlo meglio, e la figuretta esile, di fanciulla appena alle soglie della pubertà, quasi ancora bambina, acerba nelle grazie, innocente nell’aspetto, appare in una veste troppo larga per lei…
   «Era seminuda… Le ho dato nella sacca e messo addosso le prime vesti che ho trovato…», spiega Lidia.
   «Una bambina!», dice con pietà Gesù. E tendendole la mano chiede: «Vuoi venire con Me, senza paura?».
   «Sì, padrone».
   «No. Non padrone. Dimmi: Maestro».
   «Sì, Maestro», dice più sicura la fanciulla e un timido sorriso sostituisce l’espressione di paura che era prima sul volto bianchissimo.
   «Sei capace di far molto cammino?».
   «Sì, Maestro».
   «Poi riposerai dalla mia Mamma, nella mia casa, in attesa di Fausta… una bambinella che amerai molto… Ti piace?».
   «Oh! Sì!…», e la fanciulla alza sicura i chiari occhi di un grigio azzurro bellissimo fra le ciglia d’oro, e osa chiedere: «Più quel padrone?», e un lampo di terrore ancora le turba lo sguardo.
   «Mai più», torna a promettere Gesù posando di nuovo la mano sui folti capelli di un biondo miele della fanciulla.
   «Addio, Maestro. A giorni saremo sul lago noi pure. Forse ci vedremo ancora. Prega per le povere romane».
   «Addio, Livia. Di’ a Claudia che queste sono le conquiste che Io pretendo, e non altre. Vieni, fanciulla. Partiremo subito…». E, tenendola per mano, si affaccia sulla porta del magazzeno chiamando gli apostoli.
   Mentre la barca, senza lasciare traccia della sua venuta, torna nell’aperto mare, Gesù e gli apostoli, con la fanciulla ammantellata in mezzo al gruppo, per le viette periferiche e deserte vanno verso la campagna…

[137] le sue nere di grossa scimmia era l’espressione originale, poi corretta da MV su una copia dattiloscritta.