MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VII CAPITOLO 433



CDXXXIII. Arrivo a Nazareth. Lodi alla Vergine. Guarigione di Aurea.

   9 maggio 1946.

   433.1­Venendo dalla parte di Sefori si entra in Nazaret dalla parte nord-occidentale, ossia dalla più alta e pietrosa. L’anfiteatro su cui a scaglioni è distesa Nazaret appare tutto come si raggiunge la cresta del colle, che è l’ultimo venendo da Sefori e che scoscende piuttosto ripido per dei borri verso la cittadina. Se ben ravviso il luogo, perché del tempo è passato e molti luoghi di montagna si assomigliano, questo dove si trova Gesù è il punto preciso[1] dove i suoi concittadini tentarono lapidarlo ed Egli li fermò col suo potere passando attraverso a loro.
   Gesù si ferma a guardare la sua città cara e ostile, e un sorriso di contento gli accende il volto. Che benedizione ignorata, e immeritata dai nazareni, questo sorriso divino che si riversa e spande certo in grazie sulla terra che lo ha accolto fanciullo e visto crescere, e dove nacque la Madre e divenne Sposa di Dio e Genitrice di Dio!
   Anche i due cugini guardano la loro città con una visibile gioia, benché quella del Taddeo sia temperata da una serietà austera, sostenuta, mentre quella di Giacomo è più aperta e dolce, più somigliante a quella di Gesù.
   Tommaso, benché non sia la sua città, è una luminaria di gioia nel volto, e dice accennando la casetta di Maria dal cui forno salgono spire di fumo: «La Madre è in casa e fa il pa­ne…», e pare che parli di sua madre con tutto l’affetto di un figlio, tanto dice queste semplici parole con slancio d’amore.
   Lo Zelote, più pacato per l’età e per l’educazione avuta, sorride dicendo: «Sì. E la sua pace giunge già ai nostri cuori».
   «Andiamo presto», dice Giacomo. «E passiamo da questo sentiero per giungere quasi non visti dai nazareni. Ci tratterrebbero…».
   «Ma vi allontanate dalla vostra casa… Anche vostra madre de­sidererà vedervi».
   «Oh! Puoi essere certo, Simone, che nostra madre è da Maria. Vi è quasi sempre… E vi sarà, perché fanno il pane, e per la fanciulla malata».
   «Sì, andiamo di qui. Passeremo dietro l’orto di Alfeo giungendo alla siepe dell’orto nostro», dice Gesù.
   Scendono lesti per il sentiero molto ripido in principio, poi, quando è prossimo alla città, più dolce. Passano per degli uliveti, poi per brevi campicelli senza più biade. Rasentano i primi orti cittadini. E le alte siepi che li cingono, tutte fronzute e sulle quali si piegano le fronde degli alberi pesanti di frutta, o i muretti a secco, tutti velati dallo spenzolare dei rami dai broli all’esterno, fanno sì che il loro passaggio passi inosservato dalle massaie, che vanno e vengono per gli orti o fanno il bucato e lo stendono sui piccoli prati presso le case…

   433.2La siepe, che limita da un lato l’orto di Maria, tutta un groviglio di spine nell’inverno, tutto uno spesseggiare di foglie in estate, dopo la fioritura del biancospino a primavera o l’arrubinarsi dei frutticini rossi in autunno, è ora abbellita da un rigoglioso gelsomino e da un ondulare di calici di un fiore, che non so come si chiami, che dall’interno dell’orto gettano rami sulla siepe a farla più fitta e più bella. Un capinero canta nel folto della siepe, e dall’interno viene un tubare di colombi.
   «Anche la chiudenda è riparata e tutta coperta di rami in fiore», dice Giacomo che è corso avanti a guardare il rustico cancello sul dietro dell’orto, quello che dopo anni di inservibilità fu usato[2] per far entrare e uscire il carretto di Pietro per Giovanni e Sintica.
   «Passeremo per il viottolo e busseremo alla porta. Mia Madre avrebbe pena a veder distrutto questo riparo», gli risponde Gesù.
   «Il suo orto chiuso[3]!», esclama Giuda d’Alfeo.
   «Sì. E Lei ne è la rosa», dice Tommaso.
   «Il giglio fra le spine», dice Giacomo.
   «La fonte sigillata», dice lo Zelote.
   «Meglio: la polla d’acqua viva che, sgorgando con impeto dal monte bello, dà l’Acqua di Vita alla Terra e zampilla con la sua purezza profumata verso il Cielo», dice Gesù.
   «Fra poco Ella sarà beata nel vederti», dice Giacomo.

   433.3«Fratello mio, dimmi una cosa che da tempo desidero sapere. Come vedi Tu Maria? Come Madre o come suddita? Ti è Madre, ma è donna e Tu sei Dio…», dice il Taddeo.
   «Come sorella e sposa, come delizia e riposo del Dio e come conforto dell’Uomo. Tutto Io vedo ed ho in Maria, come Dio e come Uomo. Colei che era la Delizia della Seconda Persona della Triade in Cielo, Delizia del Verbo come del Padre e dello Spirito, è la Delizia del Dio incarnato e lo sarà dell’Uomo Dio glorificato».
   «Che mistero! Dio si è dunque privato due volte delle sue compiacenze? In Te e in Maria, e vi ha dato alla Terra…», medita lo Zelote.
   «Che amore! Questo devi dire. L’amore spinse la Triade a dare Maria e Gesù alla Terra», dice Giacomo.
   «E, non per Te che sei Dio, ma per la sua Rosa, non temette di affidarla agli uomini, tutti indegni di tutelarla?», chiede Tommaso.
   «Toma, ti risponde il Cantico: “Il Pacifico aveva una vigna e l’affidò ai vignaiuoli i quali, profanatori aizzati dal Profanatore, molte somme avrebbero dato per averla, ossia tutte le seduzioni a sedurla, ma la Vigna bella del Signore si custodì da sé, né volle dare i suoi frutti altro che al Signore, e volle aprirsi[4] allo Stesso generando il Tesoro senza prezzo: il Salvatore”».

   433.4Sono giunti alla porta di casa. Giuda d’Alfeo commenta, mentre Gesù bussa all’uscio chiuso: «Sarebbe il caso di dire: “Aprimi, sorella mia sposa, diletta, colomba, immacolata”…».
   Ma, quando l’uscio si socchiude e appare il dolce viso della Vergine, Gesù non dice che la più dolce parola, aprendo le braccia a riceverla: «Mamma!».
   «Oh! Figlio mio! Benedetto! Entra, e la pace e l’amore siano con Te!».
   «E alla mia Mamma e alla casa e a chi è in essa», dice Gesù entrando, seguito dagli altri.
   «Di là è vostra madre, mentre le due discepole sono al pane e al bucato…», spiega Maria dopo il saluto vicendevole cogli apostoli e i nipoti. E questi, discreti, si ritirano per lasciare soli la Madre col Figlio.
   «Eccomi a te, Madre mia. Staremo insieme alquanto… Come è dolce il ritorno… la casa e te soprattutto, o Madre, dopo tanto andare fra gli uomini…».
   «Che sempre più ti conoscono e si dividono, per questa conoscenza, in due rami: quelli che ti amano… e quelli che ti odiano… E il ramo più grosso è quest’ultimo…».
   «Il Male sente che sta per essere sconfitto ed è furente… e fa furenti…

   433.5Come sta la fanciulla?».
   «Lievemente meglio… Ma fu per morire… E però le sue parole, ora che non delira, corrispondono, sebbene più riservate, a quelle che le uscivano nel delirio. Sarebbe mentire dire che non abbiamo ricostruito la sua storia… Infelice!…».
   «Sì. Ma la Provvidenza vigilò su lei».
   «Ed ora?…».
   «Ed ora… Non so. Aurea non mi appartiene come creatura. La sua anima è mia, il suo corpo è di Valeria. Per ora starà qui, a dimenticare…».
   «Mirta la vorrebbe».
   «Lo so… Ma non ho il diritto di agire senza il permesso della romana. Non so neppure se l’hanno acquistata con moneta o se usarono solo l’arma delle promesse… Quando la romana la richiederà…».
   «Io andrò per Te, Figlio mio. Non è bene che Tu vada… Lascia fare alla tua Mamma. Noi donne… esseri infimi per Israele, non siamo tanto osservate se andiamo a parlare a gentili. E la tua Mamma è così ignota al mondo! Nessuno noterà la popolana ebrea che avvolta nel suo manto va per le vie di Tiberiade e bussa alla casa di una dama romana…».
   «Alla casa di Giovanna potresti andare… e là parlare alla da­ma…».
   «Così farò, Figlio mio. Sia sollevato il tuo cuore, o mio Gesù!… Sei tanto afflitto… Lo comprendo… e tanto vorrei fare per Te…».
   «E tanto fai, Mamma. Grazie per tutto ciò che fai…».
   «Oh! Sono un ben povero aiuto, Figlio mio! Perché non riesco a farti amare, non a darti… letizia… finché ti è concesso di averne un poco… Che sono mai allora? Una ben povera discepola…».
   «Mamma! Mamma! Non dire così! La mia forza mi viene dalle tue orazioni. Riposa la mia mente pensando a te, e ora, ecco, trova conforto il cuore stando così, col capo contro il tuo cuore benedetto… Mamma mia!…».
   Gesù ha attirato a Sé la Madre, ritta presso di Lui che è seduto sulla cassapanca contro la parete, e appoggia la fronte sul petto di Maria che lo carezza sui capelli, lievemente… Una pausa tutt’amore.

   433.6Poi Gesù alza il capo e si alza in piedi. Dice: «Andiamo dagli altri. E dalla fanciulla», ed esce con la Madre nell’orto.
   Le tre discepole, sulla soglia della stanza dove è la fanciulla malata, parlano fitto cogli apostoli. Ma quando vedono Gesù tacciono inginocchiandosi.
   «La pace a te, Maria d’Alfeo, e a voi, Mirta e Noemi. La fanciulla dorme?».
   «Sì. La febbre perdura e la sbalordisce e consuma. Se persiste così, morirà. Il suo tenero corpo non resiste alla malattia e la mente si turba per i ricordi», dice Maria d’Alfeo.
   «Sì… e non reagisce perché dice che vuol morire per non vedere più romani…», conferma Mirta.
   «Un dolore per noi che l’amiamo già…», dice Noemi.
   «Non temete!», risponde Gesù andando fin sulla soglia della cameretta e alzando la tenda…
   Sul lettuccio contro la parete, di fronte alla porta, appare il visetto smagrito, di un rosso acceso ai pomelli, di neve altrove, sepolto nella massa dei lunghi capelli dorati. Dorme affannosamente, mugolando parole incomprensibili fra i denti, e con la mano abbandonata sulle coperture fa, di tanto in tanto, un gesto come per respingere qualcosa.
   Gesù non si inoltra. La guarda con occhio di pietà. Poi chiama forte: «Aurea! Vieni! C’è il tuo Salvatore».
   La fanciulla si siede di scatto sul lettuccio, lo vede e con un grido scende e corre, nella lunga tunica sciolta, a piedi scalzi a Gesù, e si getta ai suoi piedi dicendo: «Signore! Ora sì che mi hai liberata!».
   «È guarita. Vedete? Non poteva morire, perché prima deve conoscere la Verità». E alla fanciulla, che gli bacia i piedi, dice: «Sorgi, e vivi in pace», e le posa la mano sul capo non più febbricitante.
   Aurea, nella lunga veste di lino, forse una della Vergine, tanto lunga che le fa strascico, i capelli sciolti come un manto sulla snella persona, gli occhi grigi azzurri, lucidi ancora per la febbre che è appena caduta e per la gioia che è ora sorta, pare un angelo.
   «Addio! Noi ci ritiriamo nell’officina mentre voi pensate alla fanciulla e alla casa…», dice il Maestro e, seguito dai quattro, entra nell’antico laboratorio di Giuseppe, sedendo coi suoi sui banconi inoperosi…

[1] il punto preciso è quello del brano 106.4. Al termine del periodo, MV aggiunge sul manoscritto originale: (Luca cap. IV).
[2] fu usato, in 313.6.
[3] orto chiuso e le altre immagini, che nel presente capitolo vengono applicate a Maria Ss., sono tratte da: Cantico dei cantici 2, 2; 4, 9-12.15; 5, 1-2; 8, 11-12.
[4] volle aprirsi, invece di aprirsi, è correzione nostra.