MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 551



DLI. Gli apostoli informati, dopo una sosta da Niche, del bando emesso dal Sinedrio. L'arrivo ai confini della Giudea.

   2 gennaio 1947.

   551.1Nella fresca e limpida prima aurora, i campi intorno alla casa di Niche sono tutti un verdeggiare di grani novelli, alti pochi centimetri, delicati nel colore come un chiarissimo smeraldo. Più vicino alla casa, il frutteto, ancora spoglio, pare ancor più scuro e massiccio in confronto alla delicatezza degli steli e all’aereo cielo di una serenità paradisiaca. La casa bianca sotto al primo sole si incorona del volo dei colombi.
   Niche è già alzata e, solerte, provvede a che i partenti abbiano quanto può confortarli nel cammino. Licenzia per primi i due servi di Lazzaro, che ha trattenuto per quella notte e che, rifocillati, se ne vanno mettendo i loro cavalli al trotto. Poi rientra nella cucina, dove le serve preparano latte e vivande a dei grandi fuochi. E versa da una grande olla dell’olio in due olle più piccole, e del vino in piccoli otri di pelle. Sollecita una servente, che prepara forme di pane basse come focacce, perché le porti subito al forno già pronto. Sceglie da larghe tavole, sulle quali si essiccano i formaggi nel caldo della cucina, le forme più belle. Prende del miele e lo fa scendere in piccoli recipienti dal tappo sicuro. Poi forma degli involti con tutte queste cibarie, e uno è di un intero caprettino o agnellino, che la servente sfila dallo spiedo su cui si arrosolava. Un altro è di mele rosse come coralli. Un altro di ulive già pronte all’uso. Un terzo di uva seccata. Uno di orzo mondo.

   551.2Sta chiudendo questo nel sacchetto quando entra in cucina Gesù e saluta tutte le presenti.
   «Maestro, la pace a Te. Già alzato?».
   «Avrei dovuto esserlo prima. Ma erano così stanchi i miei discepoli che li ho lasciati dormire ancora. Che fai, Niche?».
   «Preparo… Non peseranno, vedi? Dodici carichi. E ho calcolato le forze dei portatori».
   «E Io?».
   «Oh! Maestro! Tu hai già il tuo peso…», e negli occhi di Niche si forma un bagliore di pianto.
   «Vieni fuori, Niche. Parleremo con pace».
   Escono e si allontanano dalla casa.
   «Il mio cuore piange, Maestro…».
   «Lo so. Ma bisogna essere forti. Forti, pensando che non mi si è dato dolore…».
   «Oh! questo mai! Ma io mi ero creduta poterti stare vicino, e per questo ero venuta a Gerusalemme. Altrimenti sarei stata qui, dove ho le campagne…».
   «Anche Lazzaro, Maria e Marta credevano di potere stare con Me. E tu lo vedi!…».
   «Lo vedo, sì, lo vedo. A Gerusalemme io non torno più, ora che Tu non ci sei. Sarò sempre più vicina a Te stando qui, e potrò aiutarti».
   «Hai già dato tanto…».
   «Nulla ho dato. Vorrei poterti portare, dove vai, la mia casa. Ma verrò, certo che verrò a vedere di che manchi. Ora giusto è ciò che mi hai detto di fare. Starò qui sinché si sono persuasi che Tu qui non sei. Ma poi…».
   «È via lunga e penosa per una donna, e insicura».
   «Oh! Non ho paura. Sono troppo vecchia per piacere come donna e non porto tesori per essere desiderata come preda. I ladroni sono migliori di molti che si credono santi e che ladri sono e vogliono rubarti la pace e la libertà…».
   «Non li odiare, Niche».
   «Questo è più faticoso per me di ogni altra cosa. Ma cercherò di non odiare per tuo amore… Ho pianto tutta la notte, Signore!».
   «Ti sentivo andare e venire per la casa, instancabile come un’ape. E mi parevi una mamma in pena per il figlio perseguitato… Non piangere. Piangere devono i colpevoli. Non tu. Dio è buono col suo Messia. Nelle ore più tristi mi fa sempre trovare vicino un cuore materno…».
   «E come farai con tua Madre? Mi avevi detto che presto sarebbe venuta…».
   «Verrà ad Efraim… Lazzaro pensa ad avvertirla.

   551.3Ecco Simone di Giona e i miei fratelli…».
   «Sanno?».
   «Nulla ancora, Niche. Lo dirò quando saremo lontani…».
   «E io dirò a Te, venendo, ciò che avviene qui e in Gerusalemme».
   Si riuniscono agli apostoli, che escono uno dopo l’altro dalla casa alla ricerca di Gesù.
   «Venite, fratelli. Rifocillatevi avanti di partire. È pronto tutto».
   «Niche per noi non ha dormito questa notte. Ringraziate la buona discepola», dice Gesù entrando nella vasta cucina dove su una tavola da refettorio, tanto è grande, fumano ciotole colme di latte e emanano fragranza le focacce appena sfornate, sulle quali Niche spalma burro e miele con generosità, dicendo che sono cibi fortificanti per chi deve fare lungo cammino in quelle ore ancor molto fresche.
   Presto il pasto è finito. Niche ha intanto fatto gli ultimi involti col pane sfornato, che crocchia e odora. Ogni apostolo prende il suo carico, legato in modo da essere portato senza soverchia noia.
   È l’ora di andare. Gesù saluta e benedice. Gli apostoli salutano. Ma Niche li vuole ancora accompagnare sino ai limiti dei suoi campi e poi torna lentamente indietro piangendo nel suo velo, mentre Gesù coi suoi si allontana per una strada secondaria che Niche gli ha indicato.

   551.4Le campagne sono ancora deserte. La viottola passa per campi di grano novello e per vigneti spogli. Perciò mancano anche i pastori, perché essi non portano i greggi nei terreni coltivati. Il sole scalda un poco l’aria mattutina. I primi fioretti sulle prode brillano come gemme sotto il velo della rugiada che il sole accende. Gli uccelli cinguettano i primi canti d’amore. Viene la bella stagione. Tutto si abbella e rinasce, tutto ama… E Gesù va nell’esilio che precede la morte voluta dall’odio.
   Gli apostoli non parlano. Sono pensierosi. La subita partenza li ha disorientati. Erano così sicuri di essere a posto, ormai! Procedono più curvi di quello che il peso relativo delle loro sacche e delle provviste di Niche abbiano potere di farli curvare. Li curva la delusione, la constatazione di ciò che è il mondo e gli uomini.
   Gesù invece, sebbene non sia sorridente, non è né triste né accasciato. Va a testa alta, davanti a tutti, senza spavalderia, ma anche senza timore. Va come chi sa bene dove deve andare e cosa deve fare. Va da forte, da eroe che nulla scuote e sgomenta.
   La strada secondaria finisce nella via maestra. Gesù procede per la via maestra sempre in direzione di settentrione. E gli apostoli dietro, senza parlare. Questa essendo la strada che viene dalla Galilea, per la Decapoli e la Samaria, verso la Giudea, vi sono dei viandanti su essa. Più che altro, carovane di mercanti.
   L’ora passa e il sole ristora sempre di più, quando Gesù lascia la strada maestra per riprendere un’altra viottola che, per campi di grano, si dirige verso le prime colline.
   Gli apostoli si guardano fra di loro. Forse cominciano a capire che non vanno verso la Galilea per la via nella valle del Giordano, ma vanno verso la Samaria. Ma non parlano ancora.
   Gesù, giunto ai primi boschi sui colli, dice: «Sostiamo e riposiamo mangiando. Il sole segna la metà del giorno».
   Sono presso un torrentello che ha poche acque, perché da tempo non piove. Ma quelle che ha sono limpide sul greto sassoso, e le sue rive sono sparse di pietroni che possono fare da tavola e da sedile. Si siedono, dopo che Gesù ha benedetto e offerto il cibo, e mangiano in silenzio e come soprappensiero.

   551.5Gesù li scuote dicendo: «Non mi chiedete dove andiamo? La preoccupazione del domani vi fa muta la lingua, o non vi sembro più il vostro Maestro?».
   I dodici alzano il capo. Sono dodici volti afflitti, o almeno sbalorditi, che si volgono verso il volto tranquillo di Gesù, ed è un unico «Oh!» che esce dalle dodici bocche. E all’esclamazione di tutti fa seguito la risposta di Pietro, che parla per tutti: «Maestro, Tu lo sai che Tu sei per noi sempre quello. Ma è che da ieri siamo come coloro che hanno ricevuto un grosso colpo sulla testa. E tutto ci sembra che sia un sogno. E Tu, lo vediamo e sappiamo che sei Tu, ma Tu ci sembri… già come lontano. Un poco ci è rimasta questa sensazione da quando hai parlato col Padre tuo prima di chiamare Lazzaro, e da quando Tu lo hai tratto di là, così legato, col solo mezzo del tuo volere, e l’hai fatto vivo con la sola forza del tuo potere. Quasi ci fai paura. Parlo per me… ma credo che sia così per tutti… Ora poi… Noi… Que­sta partenza… così pronta e così misteriosa!».
   «Avete doppia paura? Sentite più incombente il pericolo? Non avete, sentite di non avere forza di affrontare e superare le ultime prove? Ditelo con la massima libertà. Siamo ancora in Giudea. Siamo prossimi alle strade basse per la Galilea. Ognuno può andare, se vuole, e andare in tempo per non essere in odio al Sinedrio…».
   Gli apostoli si agitano a queste parole. Chi, da quasi sdraiato sull’erba tiepida di sole, si siede. Chi da seduto sorge in piedi.
   Gesù prosegue: «Perché da oggi Io sono il Perseguitato legale. Sappiatelo. A quest’ora sta per essere letto nelle cinquecento e più sinagoghe di Gerusalemme, e in quelle delle città che hanno potuto ricevere il bando emesso ieri a sesta, che Io sono il Grande Peccatore, e chiunque sa dove Io sono ha il dovere di denunciarmi al Sinedrio perché esso mi catturi…».
   Gli apostoli gridano come già lo vedessero preso. Giovanni gli si attacca al collo, gemendo: «Ah! L’ho sempre previsto!», e singhiozza forte. Chi impreca al Sinedrio, chi invoca la giustizia divina, chi piange, chi è come una statua.
   «Tacete.

   551.6Ascoltate. Io non vi ho mai ingannati. Vi ho sempre detto la verità. Se ho potuto, vi ho difeso e tutelato. La vostra vicinanza mi è stata amabile come quella di figli. Non vi ho neppure nascosto la mia ultima ora… i miei pericoli… la mia passione. Ma quelle erano cose mie, esclusivamente mie. Ora sono i vostri pericoli, la vostra sicurezza, quella delle vostre famiglie che sono da considerarsi. Vi prego di farlo. Con libertà assoluta. Non considerateli attraverso l’amore che avete per Me, attraverso alla vostra elezione fatta da Me. Fate conto, poiché Io vi sciolgo da ogni obbligo verso Dio e il suo Cristo, fate conto di esserci incontrati qui, ora, per la prima volta, e che voi, dopo avermi ascoltato, vi misuriate se vi convenga o meno seguire lo Sconosciuto le cui parole vi hanno commossi. Fate conto di sentirmi e vedermi per la prima volta e che Io vi dica: “Badate che Io sono perseguitato e odiato, e che chi mi ama e segue è perseguitato e odiato come Me, nella persona, negli interessi, negli affetti. Badate che la persecuzione può finire anche nella morte e nella confisca dei beni di famiglia”. Pensate, decidete. E Io vi amerò ugualmente, anche se mi direte: “Maestro, io non posso più venire con Te”. Vi rattristate? No. Non dovete. Siamo buoni amici, che decidono con pace e con amore il da farsi, con compatimento reciproco. Io non posso lasciarvi andare incontro al futuro senza farvi riflettere. Non ho disistima di voi. Vi amo tutti. Ma Io sono il Maestro. Il Maestro è ovvio che conosca i discepoli. Io sono il Pastore, e il Pastore è ovvio che conosca i suoi agnelli. Io so che i miei discepoli, portati ad una prova senza esserne preparati sufficientemente, non soltanto nella sapienza che viene dal Maestro, e che perciò è buona e perfetta, ma anche nella riflessione che deve venire da loro, potrebbero fallire o quanto meno non trionfare come degli atleti in uno stadio. Misurarsi e misurare è saggia misura, sempre. Nelle piccole e nelle grandi cose. Io, Pastore, devo dire ai miei agnelli: “Ecco, ora Io mi inoltro in paese di lupi e di beccai. Avete voi forza per andare fra essi?”. Potrei anche già dirvi chi non avrà forza di sostenere la prova, per quanto vi possa rassicurare e assicurare che nessuno di voi cadrà per mano dei carnefici che sacrificheranno l’Agnello di Dio. La mia cattura è di tal valore che basterà ad essi… Pure vi dico: “Riflettete”. Un tempo vi dicevo: “Non temete quelli che uccidono”. Vi dicevo: “Colui che, messa la mano all’aratro, si volge a considerare il passato e ciò che può perdere o acquistare, non è atto alla mia missione”. Ma erano norme per darvi la misura di ciò che era essere i discepoli, e norme per il futuro che verrà quando Io non sarò più il Maestro, ma saranno maestri i miei fedeli. Erano date a darvi un’anima forte. Ma anche questa fortezza, che è innegabile che abbiate raggiunta rispetto al nulla che eravate — parlo del vostro spirito — è ancora troppo poca rispetto alla grandezza della prova. Oh! non pensate in cuor vostro: “Il Maestro si fa scandalo di noi!”. Non mi faccio scandalo. Anzi vi dico che neppure voi dovete, e dovrete, scandalizzarvi della vostra debolezza. In tutti i tempi avvenire, fra i membri della mia Chiesa, sia agnelli che pastori, vi saranno persone che saranno inferiori alla grandezza della loro missione. Vi saranno epoche in cui i pastori idoli e i fedeli idoli saranno più dei veri pastori e dei veri fedeli. Epoche di eclissi dello spirito di fede nel mondo. Ma l’eclissi non è morte di un astro. È unicamente momentaneo oscuramento più o meno parziale dell’astro. Dopo, la sua bellezza riappare e sembra più luminosa. Così sarà del mio Ovile. Vi dico: “Riflettete”. Ve lo dico come Maestro, Pastore e Amico. Io vi lascio in piena libertà di discutere fra voi. Vado là, in quel folto, a pregare. Uno per uno mi verrete a dire il vostro pensiero. E Io benedirò la vostra onestà sincera, quale che sia. E vi amerò per quanto già sin qui mi avete dato. Addio». Si alza e se ne va.

   551.7Gli apostoli sono esterrefatti, perplessi, commossi. Sul principio non sanno neppure parlare.
   Poi Pietro per il primo dice: «Mi inghiotta l’inferno se io lo voglio lasciare! Io sono sicuro di me. Neanche se mi venissero contro tutti i demoni che sono nella Geenna, col Leviatan in testa, io mi scosterei da Lui per paura!».
   «Ed io neppure. Devo essere inferiore alle mie figlie, io?», dice Filippo.
   «Io sono sicuro che non gli faranno nulla. Il Sinedrio minaccia, ma lo fa per persuadersi di esistere ancora. Lo sa esso per il primo che nulla è se Roma non vuole. Le sue condanne! È Roma quella che condanna!», dice l’Iscariota spavaldo.
   «Ma per cose religiose è ancora il Sinedrio», osserva Andrea.
   «Hai forse paura, fratello? Bada che vigliacchi in famiglia non ce ne sono mai stati», ammonisce minaccioso Pietro, che si sente in cuore uno spirito molto bellicoso.
   «Non ho paura e spero di poterlo dimostrare. Ma dico il mio pensiero a Giuda».
   «Hai ragione. Ma lo sbaglio del Sinedrio è di voler usare l’arma politica per non voler dire e non volersi sentir dire che essi hanno alzato le mani sul Cristo. Lo so di sicuro. Vorrebbero, ossia avrebbero voluto fare cadere Cristo in peccato per renderlo oggetto di disprezzo alle folle. Ma ucciderlo! Loro! Eh! no! Hanno paura! Una paura senza confronti umani, perché è paura di anima. Lo sanno bene, loro, che Egli è il Messia! Lo sanno. Tanto lo sanno che sentono che per loro è finita, perché viene il tempo nuovo. E lo vogliono abbattere. Ma abbatterlo loro!? No. Perciò cercano la ragione politica perché sia il Preside, perché sia Roma che lo abbatte. Ma il Cristo non nuoce a Roma, e Roma non nuocerà a Lui, e il Sinedrio ulula invano».
   «Allora tu resti con Lui?».
   «Ma certo. Più di tutti!».
   «Io nulla ho da perdere o da guadagnare restando o andando. Ho solo il dovere di amarlo. E lo farò», dice lo Zelote.
   «Io lo riconosco per il Messia e perciò lo seguo», dice Natanaele.
   «Io pure. Lo credo tale dal momento che Giovanni il Battista me lo ha indicato per tale», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Noi siamo i suoi fratelli. Alla fede uniamo l’amore del sangue. Non è vero, Giacomo?», dice il Taddeo.
   «Egli è il mio sole da anni. Ne seguo il corso. Se Egli cadrà nel­l’abisso scavato dai nemici, io lo seguirò», risponde Giacomo d’Alfeo.
   «Ed io? Posso dimenticarmi che mi ha redento?», chiede Matteo.
   «Mio padre mi maledirebbe sette volte e sette se io lo lasciassi. E, del resto, non fosse che solo per amor di Maria, io non mi separerò mai da Gesù», dice Tommaso.

   551.8Giovanni non parla. Sta a capo chino, accasciato. Gli altri prendono il suo atteggiamento per debolezza e lo interrogano in molti. «E tu? Tu solo te ne vuoi andare?».
   Giovanni alza il suo volto, così puro anche negli atteggiamenti e sguardi, e fissando quelli che lo interrogano coi suoi limpidi occhi azzurri dice: «Io pregavo per tutti noi. Perché noi vogliamo fare e dire e presumiamo di noi, e non ci accorgiamo, facendolo, di mettere in dubbio le parole del Maestro. Se Egli ci dice impreparati, segno è che lo siamo. Se non siamo in tre anni divenuti preparati, non lo diventeremo in pochi mesi…».
   «Che dici? In pochi mesi? E che sai tu? Sei forse profeta?». Lo investono, quasi rimproverando.
   «Nulla io sono».
   «E allora? Che sai? Egli te lo ha detto forse? Tu sai sempre i suoi segreti…», dice con invidia Giuda di Keriot.
   «Non mi odiare, amico, se io so capire che il sereno è finito. Quando sarà? Non so. So che sarà. Egli lo dice. Quante volte lo ha detto! Noi non vogliamo credere. Ma l’odio degli altri è conferma alle sue parole… E allora io prego. Perché non c’è altro da fare. Pregare Dio che ci faccia forti. Non ti ricordi, o Giuda, quando ci disse[116] che Egli pregò il Padre per avere forza nelle tentazioni? Ogni forza viene da Dio. Io imito il mio Maestro, come è giusto di fare…».
   «Ma insomma tu resti?», chiede Pietro.
   «E dove vuoi che vada se non resto con Lui che è la mia vita e il mio bene? Ma poiché sono un povero fanciullo, il più misero di tutti, chiedo tutto a Dio, Padre di Gesù e nostro».
   «È detto. Tutti restiamo, dunque!

   551.9Andiamo da Lui. Certo è triste. La nostra fedeltà lo farà contento», dice Pietro.
   Gesù è prostrato in preghiera. Volto a terra, fra l’erbe, certo supplica il Padre suo. Ma si alza al fruscio dei passi e guarda i suoi dodici. Li guarda con un serietà un po’ mesta.
   «Sii contento, Maestro. Nessuno di noi ti abbandona», dice Pietro.
   «Avete deciso troppo presto e…».
   «Ore o secoli non muteranno il nostro pensiero», dice Pietro.
   «Né le minacce il nostro amore», professa l’Iscariota.
   Gesù cessa di guardarli in massa e li fissa uno per uno. Un lungo sguardo, sostenuto senza paura da tutti. Il suo sguardo si attarda specialmente sull’Iscariota, che lo guarda più sicuro di tutti. Apre le braccia con atto di rassegnazione e dice: «Andiamo. Voi, tutti, avete segnato il vostro destino».
   Torna al posto di prima, raccoglie la sua sacca. Ordina: «Pren­diamo la via che va ad Efraim, quella che ci hanno inse­gna­ta».
   «In Samaria?!!». Lo stupore è enorme.
   «In Samaria. Ai confini, per lo meno, della stessa. Anche Giovanni andò a quei luoghi per vivere sino all’ora segnata per la sua predicazione del Cristo».
   «Ma non fu salvo per questo!», obbietta Giacomo di Zebedeo.
   «Non cerco di salvarmi. Ma di salvare. E salverò nell’ora segnata. Alle pecore più infelici va il Pastore perseguitato. Perché esse, le derelitte, abbiano la loro parte di sapienza a prepararle al tempo nuovo».
   Va con passo svelto, dopo la sosta che ha servito a riposare e a rispettare il sabato, volendo arrivare prima che la notte renda impraticabili i sentieri.

   551.10Quando giungono al torrentello che viene da Efraim e va verso il Giordano, Gesù chiama Pietro e Natanaele e dà loro una borsa dicendo: «Andate avanti. E cercate di Maria di Giacobbe. Ricordo che Malachia[117] me la disse la più povera del luogo, nonostante la sua grande casa, ora che non ha più in essa figli e figlie. Staremo da lei. Datele buona moneta, perché ci ospiti subito senza fare discorsi con mille. La casa la sapete. Quella grande, ombreggiata dai quattro melograni, che è quasi al ponte sul torrente».
   «Lo sappiamo, Maestro. Faremo come dici». Se ne vanno sol­leciti e Gesù li segue con gli altri a passo lento.
   Dalla conca, che il torrente divide in due semiconche, si vede biancheggiare il paese alle estreme luci del giorno e ai primi candori lunari. Non c’è in giro un’anima quando giungono alla casa già tutta bianca di luna. Solo il torrente ha voce nel silenzio della sera. Volgendosi indietro e guardando l’orizzonte, si vede un grande spazio di cielo stellato curvarsi su una grande vastità di terreni, che divallano verso il piano deserto che scende al Giordano. Una pace profonda regna sulla terra.
   Bussano alla porta. Pietro apre: «Tutto fatto, Signore. La vecchia ha pianto vedendosi dare le monete. Non aveva un picciolo più. Le ho detto: “Non piangere, donna. Dove è Gesù di Nazaret non è più dolore”. Mi ha risposto: “Lo so. Ho sofferto per tutta la mia vita e ora ero proprio al limite del soffrire. Ma il Cielo si è aperto per me sulla mia sera e mi porta la Stella di Giacobbe a darmi pace”. Ora è di là che prepara le stanze chiuse da tanto tempo. Uhm! C’è molto poco. Ma la donna pare molto buona. Eccola!

   551.11Donna! Il Rabbi è qui!».
   Viene avanti una vecchierella rinsecchita, dai miti occhi pieni di malinconia. Si ferma confusa a qualche passo da Gesù. È intimidita.
   «La pace a te, donna. Non ti darò molto disturbo».
   «Io… vorrei… vorrei che mi camminassi sul cuore per farti più dolce l’entrata nella mia povera casa. Entra, Signore, e Dio entri con Te». Ha ripreso fiato e ardimento sotto la luce dello sguardo di Gesù.
   Entrano tutti. Chiudono la porta. La casa è vasta come un albergo e vuota come un luogo di abbandono. Soltanto la cucina è allegra per un fuoco che fiammeggia sul focolare al centro della stanza.
   Bartolomeo, che stava alimentando il fuoco, si volge e sorride dicendo: «Conforta la donna, Maestro. È afflitta perché non ti può onorare».
   «Mi basta il tuo cuore, donna. Non ti preoccupare di nulla. Domani provvederemo. Sono un povero Io pure. Portate le provviste. Fra poveri si divide il pane e il sale senza vergogna e con amore fraterno. Per te è figliale, donna. Perché mi potresti essere madre. Ed Io ti onoro per tale…».
   La donna lacrima silenziose lacrime di vecchia afflitta, asciugandosi gli occhi al suo velo, e mormora: «Avevo tre maschi e sette fanciulle. Un maschio me lo portò via il torrente e uno la febbre. Il terzo mi ha abbandonata. Le fanciulle presero in cinque il male del padre e morirono, la sesta morì di parto e la settima… Quel che non fece la morte fece il peccato. Nella mia vecchiaia io non ho onore dai figli e mi fa così… Nel paese sono buoni… Ma alla povera donna. Tu sei buono alla madre…».
   «Ho una madre anche io. E in ogni donna che è madre onoro la mia. Ma non piangere. Dio è buono. Abbi fede, e i figli che restano potranno tornarti ancora. Gli altri sono in pace…».
   «Io lo penso un castigo, perché sono di questi luoghi…».
   «Abbi fede. Dio è più giusto degli uomini…».
   Tornano gli apostoli che erano andati con Pietro nelle stanze. Portano le cibarie. Scaldano al fuoco l’agnellino arrostito da Niche. Lo portano in tavola. Gesù offre e benedice e vuole che la vecchietta stia con loro, non nel suo angolino a mangiare i poveri radicchi della sua cena…
   L’esilio ai confini di Giudea ha avuto inizio…

[116] ci disse, in 80.10.
[117] Malachia è il nome del capo della sinagoga di Efraim, come vedremo in 552.5 e successivamente. Potrebbe essere il notabile incontrato in 484.1/2, il quale potrebbe aver parlato di Maria di Giacobbe a Gesù quando si incamminò con Lui, come è detto in 484.7.