MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 512



DXII. Profezia dinanzi ad un paese distrutto.

   12 ottobre 1946.

   512.1Non so in che luogo sia Gesù. Certamente fra i monti e in un luogo abbandonato dopo esser stato distrutto, o da qualche cataclisma o da operazione di guerra. E direi più da quest’ultima, perché le rovine delle case mostrano anche segni di fiamme nelle volte protette dall’acqua e visibili ancora di fra l’intrico di rovi, edere e altre piante rampicanti o parassitarie, nate per ogni dove. Le larghe foglie pelose di una pianta, della quale non so il nome, ma che ho notato anche in Italia, coprono tutta una rovina che pare un monticello scosceso. Più là un muro, rimasto ritto e solo a contemplare il resto della casa caduta, è invaso dai capperi e da parietaria e, dal parapetto a traforo di quello che era un terrazzo, spenzola una vitalba ondulando al vento i suoi rami come una chioma disciolta. Un’altra casa crollata al centro, ma dai muri esterni ancora ritti, pare un enorme vaso portafiori, che in luogo di steli contiene alberi nati spontaneamente nel cavo dove prima erano stanze. Un’altra rimasta in parte ritta a gradini sembra un altare preparato per qualche rito e tutto ornato di verde. In cima alla rovina un pioppo, esile e diritto come una lama, pare chiedere al cielo il perché di tanta sciagura. E, fra casa e casa, fra maceria e maceria, ostinate pian­te da frutto imbarbarite, inselvatichite, soverchiate o soverchianti l’altra vegetazione, nate da frutti caduti, contorte, erette, striscianti, emergenti dal buco di un muro, da un pozzo disseccato, sembrano un bosco stregato. E uccelli e colombi che, uscendo dai crepacci fra le rovine, si gettano avidi nelle vicinanze, dove un tempo certo erano campi arati e dove ora è un groviglio di vecce dure, rinsecchite dal sole, aprenti i baccelli per lasciar cadere i semi e poi rinascere a primavera, di zizzanie, di logli. I colombi scansano a feroci colpi d’ala gli uccelli più piccoli, che cercano qualche granuzzo di miglio o di canapa nati da chissà qual seme lontano, che per anni e anni si è perpetuato sui campi incolti con spontanea seminagione, e gli uccelli se ne vendicano, specie i passeri rissosi, con lo strappare le esili spighe di miglio stentato, e portarle via, nei loro nidi, volandosene a fatica, tutti storti per il peso e l’impiccio della pannocchietta.

   512.2Gesù non ha seco solo gli apostoli, ma anche un buon gruppo di discepoli, fra i quali Cleofa ed Erma di Emmaus, figli del vecchio sinagogo Cleofa, e Stefano. E vi sono anche uomini e donne. Come se fossero venuti da qualche paese ad invitare Gesù perché vada al loro, oppure come lo avessero seguito dopo che è stato nel loro. E Gesù, attraversando il luogo rovinato, si ferma a guardare sovente, e si arresta del tutto quando dal luogo più alto può dominare su quell’intrico di macerie e di vegetali nel quale la vita è rappresentata unicamente dai colombi, certo un tempo dolci e domestici, ed ora tornati selvatici e feroci. Contempla con le braccia conserte al petto, a capo un po’ chino, e più guarda e più diviene pallido e triste.
   «Perché resti qui, Maestro? Il luogo ti affligge, lo si vede. Non fermarti a contemplarlo. Mi pento di averti fatto passare di qui, ma è via tanto più corta», dice Cleofa di Emmaus.
   «Oh! non guardo ciò che voi vedete!».
   «E che dunque, Signore? Forse rivedi l’evento passato? Certo fu pauroso. È questo il sistema di Roma…», dice l’altro di Emmaus.
   «E questo dovrebbe fare riflettere…

   512.3Vedete tutti. Qui era una città, non grande, ma bella. Fatta più di case signorili che di case umili. E di ricchi erano questi luoghi che ora sono boschi selvaggi. E di ricchi questi campi steriliti coperti di rovi, di logli, di ortiche… Allora erano pingui frutteti e campi pieni di messi. E le case erano belle, allora, con giardini pieni di fiori, e pozzi, e fontane nelle quali si bagnavano i colombi e giocavano i fanciulli. Erano felici tutti gli abitanti di questo luogo, e la felicità non li fece giusti. Dimenticarono il Signore e le sue parole… Ed ecco! Non più case, non più fiori, non più fonti, né messi, né frutti. Non restano che i colombi e, non più felici come un tempo, ecco che in luogo del grano biondo e del comino, di cui erano ghiotti e sazi un tempo, ora battagliano per avere un poco di vecce scabre, di logli amari. E festa è se trovano ancora una spiga di orzo rinata fra le spine!…
   E, guardando, non vedo più neppure i colombi… Ma volti e volti… Dei quali molti non ancor nati… e vedo rovine e rovine, e rovi e lambrusca, e vecce selvatiche coprire terre della Patria… E tutto questo perché non si è voluto accogliere il Signore. Sento pianti di bambini sfiniti, più infelici di questi uccelli ai quali provvede ancora Iddio per un minimo di aiuto per vivere, mentre quei pargoli saranno privi di ogni aiuto, colpiti dal generale castigo, languenti al petto asciutto delle madri morenti di inedia e dolore e spavento senza nome. E sento i lamenti delle madri sui figli morti di fame al seno. E i lamenti delle spose senza più sposo, delle vergini catturate ad essere piacere ai vincitori, degli uomini avviati alle catene dopo aver conosciuto ogni onta di guerra, e di vecchi vissuti fino a veder compiuta la profezia[31] di Daniele.
   E sento la voce instancabile di Isaia nel soffio di questo vento fra le rovine, nel lagno dei colombi fra le macerie: “Con parole barbare, con lingua straniera parlerà il Signore a questo popolo al quale ha detto: ‘Qui è il mio riposo. Ristorate lo stanco; questo è il mio refrigerio’”. Ma essi non hanno voluto ascoltare. No. Non hanno voluto, e il Signore non può trovare riposo fra il suo popolo. Lo stanco, che si è stancato per percorrere le sue contrade e insegnare, guarire, convertire, confortare, non trova ristoro ma persecuzione. Non refrigerio ma insidia e tradimento. Tutt’uno è il Figlio col Padre. E se la Verità vi ha insegnato[32] che anche un calice d’acqua dato ad un uomo avrà ricompensa, perché ogni atto di misericordia fatto al fratello è fatto a Dio stesso, quale castigo sarà per coloro che contendono anche la pietra del sentiero per origlière al capo del Figlio dell’uomo, e la sorgente montana che spiccia per bontà del Creatore, e il frutto dimenticato sul ramo, trascurato perché malato o immaturo, e la spiga contesa ai colombi, ed hanno già pronto il laccio per strozzare l’aria nella gola e con l’aria la vita?

   512.4Oh! misero Israele, che hai perduto in te la giustizia e che hai perduto la misericordia di Dio!
   Ecco, ecco di nuovo la voce di Isaia nel vento della sera, più tremenda del grido dell’uccello di morte, tremenda quasi come quella che suonò nel Giardino terrestre per la condanna ai due colpevoli, e — oh! tremenda cosa! — e non è unita questa voce del Profeta alla promessa di un perdono come allora, come allora! No. Non c’è perdono per gli schernitori di Dio, per quelli che dicono: “Abbiamo fatto alleanza colla morte, abbiamo stretto un patto con l’inferno. I flagelli, quando verranno, non su noi verranno, perché noi abbiamo poste le nostre speranze nella Menzogna e da essa, che è potente, siamo protetti”.
   Ecco, ecco Isaia ripetere ciò che udì dal Signore: “Ecco che Io, a fondamento di Sion, porrò[33] una pietra angolare eletta, preziosa… E farò giudizio a peso e giustizia a misura, e la grandine distruggerà la speranza nella Menzogna, e le acque travolgeranno i ripari, e sarà distrutta la vostra alleanza colla morte e non esisterà più il vostro patto con l’inferno. Quando passerà tempestoso il flagello vi travolgerà, ogni volta vi travolgerà e ad ogni ora, e soltanto i castighi vi faranno capire la lezione”.
   Misero Israele! Così come questi campi, nei quali persiste soltanto l’arida veccia e l’amaro loglio e non c’è più grano, così
   sarà Israele, e la Terra che non volle il Signore non avrà pane per i suoi figli, e i figli che non vollero accogliere lo stanco, percossi, inselvatichiti, come galeotti al remo, schiavi di quelli che sprezzano come inferiori, andranno. Dio veramente trebbierà il popolo superbo sotto il peso della sua giustizia e lo strozzerà con la maciulla del suo giudizio…
   Ecco ciò che vedo in queste rovine. Rovine! Rovine! A settentrione, a mezzogiorno, a oriente e occidente, e soprattutto al centro, nel cuore, dove in fossa putrida sarà mutata la città colpevole…».
   E lacrime lente scendono sul viso pallido di Gesù, che alza il mantello a velarsi il volto, lasciando scoperti solo gli occhi dilatati dalla dolorosa visione…
   E si rimette in moto mentre chi è con Lui bisbiglia appena, gelato di spavento…

[31] profezia, che è in: Daniele 9; voce, ripresa in tre distinte citazioni da: Isaia 28, 11-12.15.16-19. Ai passi suddetti potrebbero anche riferirsi le imprecisate profezie cui si accenna in 333.2 e la condanna di Dio prospettata nelle ultime righe di 344.6. Del futuro di Israele si parla esplicitamente qui (“così sarà Israele” dice Gesù più sotto) e in: 41.7 - 252.10 - 258.5 - 265.10 - 413.2 - 447.3 - 456.2 - 507.6 - 513.3/5 - 525.12/14 - 579.8 ultime righe - 580.4/5 - 596.44 ultime righe - 611.11 - 630.6 (riguardo al Tempio) - 635.11.
[32] ha insegnato, in 265.13.
[33] porrò, mancante nel manoscritto originale, è nella trascrizione dattiloscritta.