MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME VIII CAPITOLO 520



DXX. Discorsi sull’Iscariota assente e arrivo a Tecua con il vecchio Elianna.

   29 ottobre 1946.

   520.1Sono ancora in undici quando riprendono la via. Undici visi pensosi e disgustati intorno al viso mesto di Gesù, che si accomiata dalle sorelle e che, dopo un attimo di riflessione, prima di varcare il cancello, ordina a Simone Zelote e a Bartolomeo: «Voi rimanete qui. Mi raggiungerete a Tecua presso Simone, oppure nella casa di Niche presso Gerico, o a Betabara; ciò se egli viene. E… servite la carità. Mi avete inteso?».
   «Va’ tranquillo, Maestro. Non offenderemo l’amor di prossimo in nessuna maniera», assicura Bartolomeo.
   «Qualunque sia l’ora in cui egli vi raggiungesse, partite subito».
   «Subito, Maestro. E… grazie della fiducia che hai in noi», dice lo Zelote.
   Si baciano e, mentre un servo chiude il cancello e Gesù si allontana, i due rimasti tornano, insieme alle sorelle, verso la casa.
   Gesù davanti, solo; dietro Pietro tra Matteo e Giacomo d’Alfeo; dietro Filippo con Andrea, Giacomo e Giovanni di Zebedeo. Ultimi, silenziosi quanto gli altri, vengono Tommaso e Giuda Taddeo. Ma ho detto male[51]. Anche Pietro non parla. I suoi due compagni si scambiano poche parole, ma egli, che è fra l’uno e l’altro, non parla. Va taciturno a capo chino. Sembra intrecciare un muto colloquio con le pietre e le erbe che calpesta.

   520.2Anche gli ultimi due hanno un quasi uguale atteggiamento. Soltanto che, mentre Tommaso sembra immerso nella contemplazione di un rametto di salice che sfronda foglia per foglia, e guarda ogni foglia dopo averla staccata quasi ne studiasse il colore verdolino da un lato, argenteo dall’altro, o le venature della trama, Giuda Taddeo guarda fisso diritto davanti a lui. Non so se guardi l’orizzonte che, valicata una cresta, si apre su una chiarità vaporosa di pianura all’aurora, o se guardi unicamente il capo biondo di Gesù, che ha gettato indietro il lembo del manto come per godere sul capo il mite sole decembrino.
   È contemporanea la fine dell’occupazione di Tommaso e la fine della contemplazione dell’orizzonte, o del Maestro, da parte di Giuda Taddeo. Quest’ultimo abbassa gli occhi e volge il capo guardando il compagno, mentre Tommaso, ridotto il suo rametto ad un esile frustino, alza gli occhi a guardare il Taddeo. Uno sguardo acuto e nello stesso tempo buono e mesto, che incontra uno sguardo uguale.
   «Così è, amico! È proprio così!», dice Tommaso come concludendo un discorso.
   «Sì. È così. E il mio dolore è ben grande… Per me è anche amor di parente…».
   «Capisco. Ma… Tu hai un tormento d’affetto in cuore. Ma, e io? Io ho un rimorso che mi tormenta. Ed è peggio ancora».
   «Un rimorso tu? Tu non hai motivo di rimorsi. Tu sei buono e fedele. Gesù è contento di te, e noi da te non abbiamo mai motivo di scandalo. Come allora ti viene questo senso di rimor­so?».
   «Da un ricordo. Il ricordo del giorno nel quale ho deciso di seguire il nuovo Rabbi apparso nel Tempio…

   520.3Io e Giuda eravamo vicini e abbiamo ammirato l’atto e le parole del Maestro. E deciso di ricercarlo… E io ero ancor più deciso di Giuda e quasi ho trascinato lui. Egli dice l’opposto, ma così è. Il mio rimorso è questo. Di aver insistito perché egli venisse… Ho portato un perenne dolore a Gesù. Ma Giuda, io lo sapevo, era beneamato da… molti, e pensavo potesse essere utile. Stolto come tutti, che non sanno che pensare ad un re d’Israele più grande di Davide e Salomone, ma sempre un re… un re come Lui dice che non sarà mai, avevo spasimato perché fra i discepoli ci fosse questo che poteva servire!… Io lo speravo. E solo adesso capisco, sempre più capisco la giustizia di Gesù che non lo accolse subito, anzi che fece divieto di cercarlo… Un rimorso, ti dico! Un rimorso! Quell’uomo non è buono».
   «Non è buono. Ma tu non ti creare dei rimorsi. Non hai fatto con malizia quanto hai fatto e perciò non hai colpa. Io te lo dico».
   «Ne sei proprio sicuro? O dici così per consolarmi?».
   «Lo dico perché è verità. Non pensare più al passato, Toma. Non serve ad annullarlo…».
   «Tu dici bene! Ma pensa! Se per causa mia il Maestro mio avesse sciagure… Io ho il cuore pieno di affanno e di sospetti. Sono un peccatore perché giudico il compagno, e con giudizio non pietoso. E sono peccatore perché dovrei credere alle parole del Maestro… Egli scusa Giuda… Tu… ci credi al tuo fratello?».
   «In tutto meno che in questo. Ma non ti desolare. Tutti noi abbiamo lo stesso pensiero. Anche Pietro, che si consuma tanto si sforza a pensare ogni bene di quell’uomo, anche Andrea, che è più mite di un agnellino, anche Matteo, l’unico fra noi che non ha ribrezzo per nessun peccatore o peccatrice. E il tanto amoroso, il tanto puro Giovanni, che ha questa felice sorte di non temere il male né il vizio, perché è tanto colmo di carità e di purezza da non aver posto per accogliere altro. E lo ha il mio fratello. Dico Gesù. E certo Egli ha anche altri pensieri con questo, pensieri per i quali vede la necessità di tenere Giuda… fino a quando ogni tentativo di farlo buono sarà esauri­to».
   «Sì. Ma… come finirà? Egli ha molte… Egli non ha… Insomma, tu capisci senza che io dica. Quale punto raggiunge­rà?».
   «Non so… Forse si staccherà da noi… Forse resterà in attesa di vedere chi è il più forte in questa lotta fra Gesù e il mondo ebraico…».
   «E altro? Non pensi che egli già da ora serva due padroni?».
   «Questo è sicuro».
   «E tu non temi che possa servire i più numerosi, in modo da nuocere totalmente al Maestro?».
   «No. Non lo amo. Ma non posso pensare che egli… Almeno per ora, no. Certo però temerò questo se un giorno verrà in cui il favore della folla abbandonasse il Maestro. Mentre, se una acclamazione di popolo lo consacrasse re e duce nostro, sono certo che Giuda abbandonerebbe tutti per Lui. È un profittatore… Dio lo trattenga, e protegga Gesù e noi tutti!…».

   520.4I due si accorgono di avere rallentato molto il passo e di essere molto distanziati dai compagni e, senza più parlare, si danno a camminare svelti per raggiungerli.
   «Ma che facevate?», interroga Matteo. «Il Maestro vi voleva…».
   Tommaso e il Taddeo procedono svelti per andare da Gesù.
   «Di che parlavate fra voi?», chiede Gesù fissandoli in volto.
   I due si guardano. Dire? Non dire? Vince la sincerità. «Di Giuda», dicono insieme.
   «Lo sapevo. Ma ho voluto mettere alla prova la vostra sincerità. Mi avreste dato un dolore se aveste mentito… Ma non parlatene più, e specie in quel modo. Vi sono tante cose buone delle quali parlare. Perché scendere sempre a considerare ciò che è molto, troppo materiale? Isaia dice[52]: “Lasciate l’uomo che ha lo spirito nelle narici”. Io vi dico: lasciate di analizzare quest’uomo e preoccupatevi del suo spirito. L’animale che è in lui, il suo mostro, non deve attirare i vostri sguardi e giudizi; ma abbiate amore, un amore doloroso e attivo, per il suo spirito. Liberatelo dal mostro che lo tiene. Non sapete…».
   Si volta a chiamare gli altri sette: «Venite qui tutti, perché a tutti serve ciò che dico, perché tutti avete gli stessi pensieri in cuore… Non sapete che voi imparate più attraverso a Giuda di Keriot che attraverso ogni altra persona? Molti Giuda troverete e pochissimi Gesù nel vostro ministero apostolico. I Gesù saranno dolci, buoni, puri, fedeli, ubbidienti, prudenti, senza avidità. Saranno ben pochi… Ma quanti, quanti Giuda di Keriot troverete voi e i vostri seguaci e successori per le vie del mondo! E per essere maestri e sapere, dovete fare questa scuola… Egli, con i suoi difetti, vi mostra l’uomo quale è; Io vi mostro l’uomo quale dovrebbe essere. Due esempi necessari ugualmente. Voi, conoscendo bene l’uno e l’altro, dovete cercare di mutare il primo nel secondo… E la mia pazienza sia la vostra norma».

   520.5«Signore, io sono stato un grande peccatore e sarò certo un esempio io pure. Ma io vorrei che Giuda, che non è peccatore come io lo fui, divenisse il convertito che io sono. È superbia dirlo?».
   «No, Matteo, non è superbia. Rendi onore a due verità col dirlo. La prima è che veritiera è la sentenza che dice: “La buona volontà dell’uomo opera miracoli divini”. La seconda è che Dio ti ha amato infinitamente, sin da quando tu non ci pensavi, e lo faceva perché non gli era ignota la tua capacità di eroismo. Tu sei il frutto di due forze: la tua volontà e l’amore di Dio. E metto per prima la tua volontà, perché senza di essa vano sarebbe stato l’amore di Dio. Vano, inerte…».
   «Ma senza la volontà nostra non potrebbe Dio convertire?», interroga Giacomo d’Alfeo.
   «Certamente. Ma poi si richiederebbe sempre la volontà dell’uomo per persistere nella conversione ottenuta miracolosamente».
   «Allora in Giuda questa volontà non c’è stata e non c’è, né prima di conoscerti, né ora…», dice impetuosamente Filippo.
   Alcuni ridono, altri sospirano.
   Gesù, unico, difende l’apostolo assente: «Non lo dite! Ce l’ha avuta e ce l’ha. Ma la mala legge della carne la soverchia ad intervalli. È un malato… Un povero fratello malato. In ogni famiglia c’è il debole, il malato, colui che è la pena, l’affanno, l’onere della famiglia. Eppure non è il più amato dalla madre il figliolino gracile? Non è il più servito dai fratelli il fratellino infelice? Non è quello al quale il padre dà il boccone prelibato, levandoselo dal piatto, per dargli una gioia, per non fargli capire che è un peso e non rendergli perciò pesante l’infermità?».
   «È vero. Proprio così. La mia gemella era gracile nella prima età. Tutta la robustezza l’avevo presa io. Ma l’amore di tutta la famiglia l’ha sovvenuta tanto che ora è florida sposa e madre», dice Tommaso.
   «Ecco. Fate voi col vostro spirituale fratello debole ciò che fareste con un debole fratello carnale. Io non avrò una parola di rimprovero. Voi non siate da più di Me. Il vostro paziente amore è il rimprovero più forte e al quale non si può reagire. A Tecua lascerò Matteo e Filippo ad attendere Giuda… Il primo si ricordi che fu peccatore e il secondo che è padre…».
   «Sì, Maestro. Lo ricorderemo».
   «A Gerico, se ancora non sarà con noi, lascerò Andrea e Giovanni, ed essi ricordino che non tutti hanno ricevuto in uguale misura i doni gratuiti di Dio…

   520.6Ma andate da quel vecchio mendico che vacilla sulla via. La città è alle viste. Con l’obolo potrà procurarsi del pane».
   «Signore, non ci è concesso. Giuda se ne è andato con la borsa…», dice Pietro. «E le sorelle non ci hanno dato nulla».
   «Hai ragione, Simone. Sono come stordite dal dolore e noi con loro. Non importa. Abbiamo un poco di pane. Noi siamo giovani e forti. Diamolo al vecchio, che non cada per via».
   Frugano nelle borse, raccolgono morselli di pane, li danno al vecchietto che li guarda stupito.
   «Mangia, mangia!», rincuora Gesù. E lo fa bere alla sua borraccia, mentre gli chiede dove va.
   «A Tecua. C’è gran mercato domani. Ma da ieri non mangiavo».
   «Sei solo?».
   «Più che solo… Mio figlio mi ha scacciato…». La voce senile strazia il cuore a sentirla.
   «Dio ti aprirà le porte del suo Regno se sai credere nella sua misericordia».
   «E in quella del suo Messia. Ma mio figlio non avrà Messia, perché non può avere il Messia, lui che lo odia tanto da odiare il padre suo perché lo ama».
   «Per questo ti ha cacciato?».
   «Per questo. E per non perdere le amicizie di alcuni che perseguitano il Messia. Ha voluto mostrare loro che il suo odio supera il loro, tanto che supera anche la voce del sangue».
   «Che orrore!», dicono tutti.
   «Sarebbe più orrore se io avessi gli stessi pensieri di mio figlio», dice con veemenza il vecchierello.
   «Ma chi è costui? Se ho capito bene, deve essere uno che ha potere e voce…», dice Tommaso.
   «Uomo, non sarà un padre che dice il nome del figlio colpevole perché sia sprezzato. Devo dire che ho fame e freddo, io che con molto lavoro avevo aumentato il benessere della casa per far felice il mio maschio. Ma non più di così. Pensa che io sono uno di Giudea ed egli uno di Giudea, e che perciò siamo uguali per razza e diversi per pensiero. Il resto non serve».

   520.7«E non chiedi nulla a Dio, tu che sei un giusto?», domanda dolcemente Gesù.
   «Che tocchi il cuore della mia creatura e lo porti a credere ciò che io credo».
   «Ma per te, proprio tutto per te, non chiedi nulla?».
   «Di incontrare Colui che per me è il Figlio di Dio. E per venerarlo e poi morire».
   «Ma se muori non lo vedrai più. Sarai nel Limbo…».
   «Per poco tempo. Tu sei un rabbi, non è vero? Io ci vedo molto poco… L’età… e il molto pianto, e la fame anche… Ma vedo i fiocchi della tua cintura… Se sei un buon rabbi, e così mi pare, devi sentire tu pure che il tempo è giunto, il tempo detto[53] da Isaia, voglio dire. E sta per venire l’ora in cui l’Agnello prenderà su di Sé tutti i peccati del mondo e porterà tutti i nostri mali e dolori, e sarà perciò trafitto e immolato, perché noi si sia risanati e in pace con l’Eterno. E allora anche per gli spiriti sarà pace… Lo spero confidando nella misericordia di Dio».
   «Non hai mai visto il Maestro?».
   «No. L’ho sentito parlare nel Tempio nelle feste. Ma io sono piccolo e ancor più mi fa tale l’età, e ci vedo poco, l’ho detto. Per questo, se vado nella folla non vedo per chi m’è davanti, se sto lontano non vedo perché sto lontano. Oh! lo vorrei vedere! Almeno una volta!».
   «Lo vedrai, padre. Dio ti accontenterà. E a Tecua hai dove andare?».
   «No. Starò sotto un portico o sotto un portone. Ci sono avvezzo ormai».
   «Vieni con Me. Conosco un buon israelita. Ti accoglierà in nome di Gesù, il Maestro galileo».
   «Anche tu sei galileo, però. Lo si sente nel parlare».
   «Sì… Sei stanco? Ma siamo già alle prime case. Presto riposerai e avrai ristoro».

   520.8Gesù si curva a dire a Pietro qualcosa, e Pietro si sposta dicendo agli altri ciò che ha detto Gesù e che non afferro. Poi con i figli di Alfeo e Giovanni accelera il passo entrando in città. Gesù lo segue con gli altri, adeguando il passo a quello del povero vecchietto che non parla più, molto estenuato, così che finisce a rimanere indietro con Andrea e Matteo. La città pare vuota. È il mezzogiorno e molti sono nelle case per i pasti.
   Fatti pochi metri, ecco Pietro: «Fatto, Signore. Simone lo accoglie perché Tu lo conduci, e ti ringrazia di avere pensato a lui».
   «Benediciamo il Signore! Ci sono ancora dei giusti in Israele. Questo vecchio ne è uno, e Simone un altro. Sì, ve ne sono ancora di buoni, di misericordiosi, di fedeli al Signore. E ciò compensa di tante amarezze. E fa sperare che la giustizia divina si mitigherà per questi giusti».
   «Però!… Un figlio cacciare il padre per non perdere l’amicizia certo di qualche potente fariseo!».
   «A tanto può giungere l’odio per Te! Io sono sdegnato!», dice Filippo.
   «Oh! vedrete molto di più di questo!», risponde Gesù.
   «Di più? E che più di un padre cacciato perché non ti odia? È enorme il peccato di quell’uomo!…».
   «Più enorme sarà il peccato di un popolo contro il suo Dio… Ma attendiamo il vecchio…».
   «Chi sarà suo figlio?».
   «Un fariseo!», «Un sinedrista!», «Un rabbi». I pareri sono di­versi.
   «Un disgraziato. Non indagate. Oggi ha percosso suo padre. Domani percuoterà Me. Vedete dunque che il peccato di Giuda, il suo essersi allontanato così, come un figliuolo discolo, è nulla al paragone. Eppure Io pregherò per questo figlio ingrato, per questo ebreo offensore di Dio. Perché si ravveda. Fate voi la stessa cosa…

   520.9Vieni, padre. Come ti chiami?».
   «Elianna. Non sono mai stato un felice! Mi è morto il padre prima che io nascessi e la madre nel partorirmi. La madre di mia madre, che mi ha allevato, mi ha dato per nome i due nomi del padre e della madre uniti».
   «Veramente sei un Eli[54], uomo, e tuo figlio è pari a Finnes», dice Filippo che non può darsi pace di un simile peccato.
   «Dio non lo voglia, uomo. Finnes è morto peccatore, e morto quando l’arca venne presa. Sventura sarebbero alla sua anima e a tutto Israele queste cose», risponde il vecchierello.
   «Senti, questa casa mi è amica, e ciò che Io chiedo ad essa ottengo. È di un certo Simone, uomo giusto al cospetto di Dio e degli uomini. Egli ti accoglie per amor mio, se tu accetti il luogo», dice Gesù prima di bussare alla porta.
   «E posso avere delle scelte da fare? Invocherò le benedizioni del Cielo su chi mi darà il pane e il ricovero della carità. Ma voglio lavorare. Non è vergogna esser servo. È vergogna fare peccato…».
   «Lo diremo a Simone», dice con un sorriso di compassione Ge­sù guardando il vecchierello ridotto a nulla dagli stenti e dal dolore morale.

   520.10Si apre la porta: «Entra, Maestro, la pace sia con Te e con chi è con Te. Dove è questo mio fratello che Tu mi porti? Che io possa dargli il bacio di pace e di benvenuto», dice un uomo sui cinquant’anni.
   «Eccolo. E il Signore ti compensi».
   «Lo sono. Ho Te mio ospite. Chi ha Te ha Dio. Non ti attendevo e non posso onorarti come vorrei. Ma sento che conti ripassare fra giorni e starò pronto ad accoglierti come si conviene».
   Sono ormai in una stanza dove sono pronti bacili fumanti per le abluzioni. Il vecchietto sta intimidito contro la porta, ma il padrone di casa lo piglia per mano, lo conduce a sedere, lo vuole scalzare di sua mano, servire come fosse un re, e poi mettergli sandali nuovi, mentre il vecchietto dice: «Perché? Ma perché? Io sono venuto per servire, e tu mi servi! Non è giusto».
   «Giusto è, uomo. Non posso seguire il Rabbi, perché la mia casa richiede la mia assistenza. Ma, come ultimo discepolo del Maestro santo, mi industrio di mettere in pratica le sue parole».
   «Tu lo conosci bene. Veramente lo conosci perché sei buono. Molti sono che lo conoscono in Israele, ma con che? Con gli occhi e con l’odio. Perciò non lo conoscono. Una donna si conosce soltanto quando non si ignora più nulla di lei e la si possiede tutta. Così è di Gesù di Nazaret, che io con gli occhi non conosco, ma che conosco più di tanti, perché io credo che in Lui è la Sapienza. Ma tu lo conosci proprio, e di vista e di dottrina».
   L’uomo guarda Gesù, ma non dice niente.
   Il vecchietto riprende: «Io l’ho detto a questo rabbi che voglio lavorare…».
   «Sì, sì. Troveremo un lavoro per te. Per ora vieni alla mensa. Maestro, i tuoi discepoli verranno fra poco. Possiamo sederci alle mense lo stesso o preferisci attenderli?».
   «Attenderli vorrei. Ma se hai del lavoro da fare…».
   «Oh! Maestro, Tu lo sai che per me ubbidire al minimo tuo desiderio è gioia».
   Il vecchierello ha in questo momento un primo sospetto sull’identità dell’Uomo che lo ha soccorso per via, e lo guarda, lo guarda, poi guarda i suoi compagni… un attento esame… e gira loro intorno…

   520.11Entrano i figli di Alfeo con Giovanni. Gesù li chiama per nome.
   «Oh! Dio altissimo! Ma allora… Tu sei Tu!», esclama il vecchietto e si butta giù venerando.
   Lo stupore suo non è inferiore a quello degli altri. È così strano quel modo di riconoscimento del Maestro! Tanto che Pietro lo interroga: «Che di speciale in questi nomi, così comuni in Israele, per farti capire che sei di fronte al Messia?».
   «Perché conosco Giuda. Viene sempre da mio figlio e…», il vecchietto si arresta imbarazzato di aver nominato il figlio…
   «Ma io non ti ho mai visto, uomo», dice il Taddeo mettendoglisi ben davanti, curvo per essere viso a viso.
   «Neppur io ti conosco. Ma un Giuda discepolo del Cristo viene sovente da mio figlio e ho sentito parlare di un Giovanni, di un Giacomo e di un Simone amico di Lazzaro di Betania e di tante altre cose… Sentire tre dei nomi noti per quelli dei discepoli più intimi del Maestro! E Lui, così buono!… Ho capito, ecco! Ma dove è l’altro Giuda?».
   «Non c’è. Ma è vero. Hai capito. Sono Io. Il Signore è buono, padre. Desideravi vedermi e mi hai visto. Benediciamo le misericordie di Dio… Non scansarti, Elianna. Mi stavi vicino quando per te ero un viandante e nulla più. Perché vuoi allontanarti da Me ora che sai che Io sono la Mèta? Tu non sai quanto il tuo cuore mi ha consolato! Non lo puoi sapere. Io, non tu, sono colui che più ha ricevuto… Quando tre quarti di Israele, e più ancora, mi odiano sino al delitto, quando i deboli si allontanano dalla mia via, quando i triboli dell’ingratitudine, del­l’astio, della calunnia mi feriscono da ogni parte, quando non posso trovare refrigerio nel pensiero che il mio Sacrificio sarà salute ad Israele, trovare uno come te, o padre, è avere compenso al dolore… Tu non sai… Nessuno sapete le sempre più profonde tristezze del Figlio dell’uomo. Ho sete di amore… e troppi cuori sono sorgenti disseccate alle quali inutilmente mi accosto… Ma andiamo…».
   E tenendo vicino il vecchietto, entra nella stanza dove sono le tavole già pronte…

[51] Ma ho detto male. Invece no, perché MV non ha scritto (e forse ritiene di averlo scritto) che il primo gruppo dei tre sta parlando.
[52] dice, in: Isaia 2, 22.
[53] detto, in: Isaia 52, 7-15; 53, 1-12 (specialmente dal versetto 6 ).
[54] Eli, … Finnes, dei quali si parla in: 1 Samuele 1, 3; 2, 12-17.22-34; 3, 1-18; 4, 4-18. Da notare che il nome Finnes (meglio: Finees ) è diventato Pincas, o Pinhas, nelle moderne versioni della Bibbia.