MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IX CAPITOLO 558



DLVIII. Con la comitiva che fa ritorno a Sichem. Parabola della goccia che scava il masso.

   21 gennaio 1947.

   558.1Gesù sta camminando per una via solitaria. Sono davanti a Lui i parenti dei fanciulli e al suo fianco quei di Sichem. Sono in una zona deserta. Nessuna città è in vista. I fanciulli sono stati messi in sella ad alcuni asinelli, e un parente tiene le briglie sorvegliando il fanciullo. Gli altri asinelli, liberi di cavalieri perché quei di Sichem hanno preferito camminare a piedi per stare vicino a Gesù, precedono il gruppo degli uomini, andando in branco e ragliando ogni tanto di gioia per ritornare verso le stalle senza peso alcuno, in una splendida giornata, fra prode orlate di erba novella, nella quale ogni tanto tuffano le froge a gustarne una boccata, e poi, con un ambio scherzoso, caracollano raggiungendo i compagni cavalcati. Cosa che fa ridere i fanciulli.
   Gesù parla con i sichemiti, o li ascolta nei loro discorsi. È palese che i samaritani sono orgogliosi di avere con loro il Maestro, e sognano più che non convenga. Tanto da dire a Gesù, accennando ai monti alti che sono alla sinistra di chi procede verso il nord: «Vedi? Brutta fama hanno l’Ebal e il Garizim. Ma essi, per Te almeno, sono molto migliori di Sion. E lo sarebbero totalmente se Tu lo volessi, eleggendoli a tua dimora. Sion è sempre covo ai Jebusei. E quelli di ora sono per Te ancor più nemici che non gli antichi per Davide[12]. Egli, poiché usò violenza, prese la cittadella; ma Tu, che non usi violenza, non vi regnerai. Mai. Resta fra noi, Signore, e noi ti onoreremo».
   Gesù risponde: «Ditemi: mi avreste amato se con violenza vi avessi voluto conquistare?».
   «Veramente… no. Ti amiamo proprio perché sei tutto amo­re».
   «Per questo dunque, per l’amore, Io regno nei vostri cuo­ri?».
   «Così è, Maestro. Ma è perché noi abbiamo accolto il tuo amore. Essi, quelli di Gerusalemme, non ti amano».
   «È vero. Non mi amano.

   558.2Ma, voi che siete tutti molto esperti nei commerci, ditemi: quando voi volete vendere, acquistare e guadagnare, vi perdete forse d’animo perché in certi luoghi non vi amano, oppure fate lo stesso i vostri affari, preoccupandovi unicamente di fare buoni acquisti e buone vendite, senza tener conto se al denaro che guadagnate è assente l’amore di chi con voi ha comperato o venduto?».
   «È solo dell’affare che ci preoccupiamo. Poco ci importa se ad esso manca l’amore di chi tratta con noi. Finito l’affare, finito il contatto. L’utile resta, il resto… non ha valore».
   «Ebbene, Io pure, Io che sono venuto a fare gli interessi del Padre mio, non mi devo che preoccupare di questo. Che poi, là dove Io li faccio, Io trovi amore o scherno o durezza, a Me non preoccupa. In una città di commerci non con tutti si fanno guadagni e si fanno compre e vendite. Ma, anche se si tratta con uno solo e si fa un buon guadagno, si dice che quel viaggio non fu inutile, e ci si torna e ritorna ancora. Perché ciò che non si ottiene che con uno la prima volta, si ottiene con tre la seconda, con sette la quarta, con dieci e dieci le altre. Non è così? Io pure, per le conquiste del Cielo, faccio come voi per i vostri mercati. Insisto, persevero, trovo[13] sufficiente il piccolo, di numero, il grande, perché anche una sola anima salvata è grande cosa, il grande compenso ricavato dalla mia fatica. Ogni volta che vado là e supero tutto ciò che può essere reazione dell’Uomo pur di conquistare, come Re dello spirito, anche un suddito solo, no, non dico che è stato inutile il mio andare, inutili i dolori, inutili le fatiche. Ma dico santi, amabili e desiderabili gli scherni, le ingiurie, le accuse. Non sarei un buon conquistatore se mi arrestassi davanti agli ostacoli delle fortezze granitiche».
   «Ma ti occorrerebbero secoli per vincerli. Tu… sei un uomo. Non vivrai secoli. Perché perdere il tuo tempo dove non ti si vuole?».
   «Vivrò molto meno. Presto anzi non sarò più fra voi, non vedrò più albe e tramonti come pietre miliari di giorni che sorgono e di giorni che finiscono, ma li contemplerò unicamente come bellezze del creato e loderò per essi il Creatore che li fece e che mi è Padre; non vedrò più fiorire le piante e maturare i grani, né avrò bisogno dei frutti della terra per conservarmi in vita, poiché, tornato al mio Regno, mi nutrirò d’amore. Eppure Io abbatterò le molte fortezze serrate che sono i cuori degli uomini.

   558.3Osservate quella pietra là, sotto quella sorgiva, sul fianco del monte. La sorgiva è esile molto, direi che non scorre, ma stilla: una goccia che cade, forse da secoli, su quella roccia che sporge dal fianco del monte. E la pietra è ben dura. Non è calcare friabile né morbido alabastro, è basalto durissimo. Eppure, guardate come al centro del masso convesso, e nonostante sia tale, si sia formato un minuscolo specchio d’acqua, non più largo del calice di un nenufaro, ma sufficiente a rispecchiare il cielo azzurro e a dissetare gli uccelli. Quella concavità[14] sul masso convesso l’ha forse fatta l’uomo per mettere una gemma azzurra nel masso oscuro e una coppa refrigerante agli uccelli? No. L’uomo non se ne è occupato. Forse, nei molti secoli che gli uomini passano davanti a questo masso, che una stilla da secoli scava con inesorabile e sincopato lavorio, siamo noi i primi che l’osserviamo, questo basalto nero colla sua turchese liquida al centro, e ne ammiriamo la bellezza, e lodiamo l’Eterno di averla voluta a delizia dei nostri occhi e a refrigerio degli uccelli che nidificano qui presso.
   Ma ditemi. È forse la prima stilla, che sgorgò da sotto il cornicione basaltico sovrapposto al masso e che cadde da quell’altezza su questa roccia, che ha scavato la coppa che specchia il cielo, il sole, le nuvole e le stelle? No. Milioni e milioni di gocce, una dopo l’altra, una dopo l’altra, si sono succedute, sgorgando come una lacrima là in alto, scendendo con uno scintillio a percuotere il masso, e con una nota d’arpa, nel morire su esso, hanno scalfito, per una profondità immisurabile tanto era nulla, la materia dura. E così per secoli, col movimento di una sabbia in una clessidra, segnando il tempo: tante gocce all’ora, tante nel corso di una vigilia, tante fra l’alba e il tramonto, e la notte e l’aurora, tante al dì, tante da sabato a sabato, tante da neonemia a neonemia, e da nisam a nisam, e da secolo a secolo. Resistente il masso, persistente la goccia.
   L’uomo, che è superbo e perciò impaziente e ozioso, avrebbe gettato il mazzuolo e la sgorbia dopo i primi colpi, dicendo: “È cosa che non si incava”. La goccia ha scavato. Era ciò che doveva fare. Ciò per cui fu creata. E ha gemuto, una goccia dopo l’altra, per secoli, sino a scavare il masso. E non si è fermata, poi, dicendo: “Ora ci penserà il cielo a nutrire la coppa, che io ho scavata, con le rugiade e le piogge, le brine e le nevi”. Ma ha continuato a cadere, ed essa sola empie la coppa minuscola nei calori estivi, nei rigori invernali, mentre le piogge violente o blande corrugano lo specchio ma non possono né abbellirlo né allargarlo, né approfondirlo perché esso è già colmo, utile, bello. La sorgiva sa che le figlie sue, le gocce, vanno a morire là nel piccolo bacino, ma non le trattiene. Le sospinge, anzi, verso il loro sacrificio, e perché non restino sole e cadano in tristezza manda loro nuove sorelle, onde chi muore non sia sola e veda sé perpetuata in altre.

   558.4Io pure, percuotendo per primo e cento e mille volte le fortezze dure dei duri cuori e perpetuandomi nei miei successori, che manderò sino alla fine dei secoli, aprirò in esse dei varchi, e la mia Legge entrerà come un sole dovunque sono creature. Ché, se poi esse non vorranno la Luce e chiuderanno i varchi che l’inesausto lavoro avrà aperto, Io e i miei successori non ne avremo colpa agli occhi del Padre nostro. Se quella sorgiva si fosse aperta altra via, vedendo la durezza del masso, e avesse gocciato più là, dove è terreno erboso, ditemi voi, avremmo avuto quella gemma lucente, e gli uccelli quel limpido risto­ro?».
   «Non si sarebbe neppur vista, Maestro», «Al massimo… un poco d’erba più folta anche in estate avrebbe segnato il posto dove la sorgiva stillava», «O anche… meno erba che altrove, essendosi marcite, in un continuo umidore, le radici di esse», «E fanghiglia. Nulla più. Un inutile gocciare, perciò».
   «Lo avete detto. Un inutile, o almeno un ozioso gocciare. Io pure, se avessi a preferire unicamente i luoghi dove i cuori sono disposti ad accogliermi per giustizia o per simpatia, farei un imperfetto lavoro. Perché lavorerei, questo sì, ma senza fatica, anzi con molto soddisfacimento dell’ io, con un compiacente compromesso fra il dovere e il piacere. Non pesa già lavorare dove l’amore circonda e dove l’amore rende duttili le anime da lavorare. Ma, se non vi è fatica, non vi è merito e non vi è molto guadagno, perché poche conquiste si fanno se ci si limita a quelli che già sono nella giustizia. Non sarei Io se non cercassi di redimere prima alla Verità, poi alla Grazia, tutti gli uomini».

   558.5«E credi di riuscirvi? Che potrai mai fare, più di quanto Tu abbia già fatto, per persuadere i tuoi avversari alla tua parola? Che? Se neppure la risurrezione dell’uomo di Betania è valsa a far dire ai giudei che Tu sei il Messia di Dio?».
   «Ho ancora qualcosa da fare, più grande, molto più grande del fatto».
   «Quando, Signore?».
   «Quando la luna di nisam sarà piena. Ponete attenzione allora».
   «Avrà un segno il cielo? Si dice che quando Tu nascesti il cielo parlò con luci, canti e stelle strane».
   «È vero. Per dire che la Luce era venuta nel mondo. Allora, in nisam, avranno segni il cielo e la terra, e sembrerà la fine del mondo per le tenebre e lo scuotimento e il ruggire dei fulmini nei firmamenti e dei terremoti nelle viscere aperte della Terra. Ma non sarà la fine. Sarà il principio, anzi. Prima, alla mia venuta, il Cielo partorì agli uomini il Salvatore e, poiché era atto di Dio, pace era a compagna dell’evento. A nisam sarà la Terra che con propria volontà partorirà a se stessa il Redentore, e poiché sarà atto di uomini non avrà pace a compagna. Ma vi sarà orrenda convulsione. E fra l’orrore dell’ora del secolo e dell’inferno, la Terra squarcerà il suo seno sotto le saette infuocate dell’ira divina, e urlerà il suo volere, troppo ebbra per comprenderne la portata, troppo insatanassata per impedirlo. Come una folle partoriente, crederà di distruggere il frutto ritenuto maledetto, e non comprenderà che invece lo innalzerà così in luoghi dove mai più il dolore e l’insidia lo raggiungeranno. La pianta, la nuova pianta, da allora allargherà i suoi rami per tutta la Terra, per tutti i secoli, e Colui che vi parla, con amore o con odio sarà riconosciuto per vero Figlio di Dio e Messia del Signore. E guai a quelli che lo riconosceranno senza volerlo confessare e senza convertirsi a Me».

   558.6«Dove avverrà questo, Signore?».
   «A Gerusalemme. Essa è bene la città del Signore».
   «Allora noi non vi saremo, perché a nisam la Pasqua qui ci trattiene. Noi siamo fedeli al nostro Tempio».
   «Meglio sarebbe foste fedeli al Tempio vivo che non è né sul Moria né sul Garizim, ma, essendo divino, è universale. Ma Io so attendere la vostra ora, quella nella quale amerete Dio e il suo Messia in spirito e verità».
   «Noi crediamo che Tu sei il Cristo. Per questo ti amiamo».
   «Amare è lasciare il passato per entrare nel mio presente. Voi non mi amate ancora con perfezione».
   I samaritani si guardano sottecchi tacendo. Poi uno dice: «Per Te, per venire a Te, lo faremmo. Ma non possiamo, anche se lo volessimo, entrare dove sono i giudei. Tu lo sai. Essi non ci vogliono…».
   «Né voi volete essi. Ma abbiate pace. Fra poco non ci saranno più due regioni, due Templi, due pensieri opposti. Ma un unico popolo, un unico Tempio, un’unica fede per tutti i desi-
   derosi di Verità.

   558.7Ma ora Io vi lascio. I fanciulli sono ormai consolati e distratti, e lunga è per Me la via del ritorno ad Efraim per giungervi avanti le tenebre. Non vi agitate. I vostri atti potrebbero attirare l’attenzione dei piccoli, e non conviene che essi avvertano la mia partenza. Proseguite. Io sosto qui. Il Signore vi guidi sui sentieri della Terra e sui sentieri della sua Via. Andate».
   Gesù si accosta al monte e li lascia allontanare. L’ultima cosa che si avverte, della carovana che torna a Sichem, è un’allegra risata di un fanciullo che si propaga per i silenzi della via montana.

[12] Davide nella presa di Gerusalemme, narrata in: 2 Samuele 5, 6-10; 1 Cronache 11, 4-9.
[13] trovo… fino a …fatica. Forse la frase si capirebbe meglio se fosse costruita così: trovo sufficiente il grande compenso (piccolo di numero, grande perché anche una sola anima salvata è grande cosa) ricavato dalla mia fatica.
[14] concavità, invece di convessità, è correzione nostra.