MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 256



CCLVI. Presso dei vignaioli, guarigione di un vecchio cieco e parabola sulla speranza.

   18 agosto 1945.

   256.1 Visti da alcuni vignaiuoli che passano per il frutteto, carichi di ceste di un’uva bionda come fosse fatta con l’ambra, gli apostoli vengono interrogati.
   «Siete pellegrini o forestieri?».
   «Galilei siamo e pellegrini verso il Carmelo», risponde per tutti Giacomo di Zebedeo, che con i compagni pescatori si sgranchisce le gambe per finire di vincere un resto di sonnolenza.
   L’Iscariota e Matteo si stanno svegliando sull’erba su cui si erano sdraiati, e i vecchi, invece, stanchi, dormono ancora. Gesù parla con Giovanni di Endor ed Ermasteo, mentre Maria e Maria Cleofe si tengono lì vicine, ma stanno zitte.
   I vignaiuoli dicono: «E venite da lontano?».
   «Da Cesarea per ultima tappa. Ma prima eravamo a Sicaminom e più là ancora. Veniamo da Cafarnao».
   «Oh! che lunga strada in questa stagione! Ma perché non siete venuti alla nostra casa? È là, la vedete? Vi avremmo dato acqua fresca per ristoro alle membra e cibo, paesano ma buono. Venite ora».
   «Stiamo per partire. Dio vi compensi lo stesso».
   «Il Carmelo non fugge sul carro di fuoco come il suo profeta», dice un contadino semiserio.
   «Non viene più nessun carro dal Cielo a rapire i profeti.
   Non ci sono più profeti in Israele. Si dice che Giovanni sia già morto», dice l’altro contadino.
   «Morto? E da quando?».
   «Così hanno detto alcuni venuti da oltre Giordano. Lo veneravate?».
   «Eravamo suoi discepoli».
   «Perché lo avete lasciato?».
   «Per seguire l’Agnello di Dio, il Messia che egli annunciò. Vi è ancora questo in Israele, uomini. E ben più di un carro di fuoco occorrerebbe per fare degno trasporto di Lui in Cielo!

   256.2 Non credete al Messia?».
   «Se ci crediamo! Abbiamo deciso che, finito il raccolto, lo andremo a cercare. Si dice che è zelante all’ubbidienza della Legge e va al Tempio nelle solennità prescritte. Andremo presto ai Tabernacoli e staremo al Tempio tutti i giorni per vederlo. E se non lo troveremo andremo in cerca di Lui finché lo abbiamo trovato. Voi che lo conoscete, diteci: è vero che sta a Cafarnao quasi sempre? È vero che è alto, giovane, pallido, biondo e che ha una voce diversa da tutti gli uomini, la quale tocca i cuori e fino le bestie e le piante la sentono?».
   «Tutti i cuori meno quelli dei farisei, Gamala. Quelli si sono fatti più aspri».
   «Quelli non sono neppure bestie. Sono dei demoni, compreso quello di cui io porto il nome. Ma dite: è vero che è così e che è tanto buono che parla con tutti, consola tutti, guarisce i morbi e converte i peccatori?».
   «Questo credete?».
   «Sì. Ma vorremmo saperlo da voi che lo seguite. Oh! se ci conduceste da Lui!».
   «Ma non avete le vigne da curare?».
   «Abbiamo anche l’anima da curare, ed è più delle vigne. È a Cafarnao? Forzando il cammino, in dieci giorni potremmo andare e tornare…».

   256.3 «È là Quello che cercate. Ha riposato nel vostro frutteto ed ora parla con quel vecchio e quel giovane, avendo al fianco la Madre e la sorella della Madre».
   «Quello!… Oh!… Che si fa?».
   Restano irrigiditi dallo stupore. Sono tutti occhi per guardare. La loro vitalità è tutta raccolta nelle pupille.
   «Ebbene? Tanto desiderio avevate di vederlo e ora non vi muovete? Siete divenuti di sale?», stuzzica Pietro.
   «No… è che… Ma è così semplice il Messia?».
   «Ma che volevate che fosse? Assiso su un trono folgoreggiante e coperto del regio ammanto? Lo credevate un nuovo Assuero[47]?».
   «No. Ma… così semplice, Lui così santo!».
   «È ben semplice perché è santo, uomo. Bene, facciamo così… Maestro! Abbi pazienza, vieni qui a fare un miracolo. Ci sono qui uomini che ti cercano e che il vederti ha pietrificati.
   Vieni a rendere loro moto e parola».
   Gesù, che si è voltato sentendosi chiamare, si alza sorridendo e viene verso i vignaiuoli che lo guardano tanto stupefatti da parere impauriti.
   «La pace a voi. Mi volevate? Eccomi», e ha l’atto abituale delle braccia che si aprono tendendosi un poco come per offrirsi.
   I vignaiuoli scivolano in ginocchio e stanno zitti.
   «Non temete. Ditemi ciò che volete». Tendono i cesti colmi d’uva senza parlare.
   Gesù ammira la splendida frutta e, dicendo: «Grazie», stende una mano a prendere un grappolo e inizia a mangiare i chicchi.
   «O Dio altissimo! Mangia come noi!», sospira quello chiamato Gamala.
   È impossibile non ridere di questa uscita. Anche Gesù ha un sorriso più marcato, e quasi a scusarsi dice: «Sono il Figlio dell’uomo!».

   256.4 Ma il gesto ha vinto il torpore estatico, e Gamala dice:
   «Non entreresti nella nostra casa, fino al vespero almeno? Siamo in molti, perché siamo sette fratelli con le spose e i bambini, più i vecchi che attendono la morte con pace».
   «Andiamo. Voi chiamate i compagni e raggiungeteci. Madre, vieni con Maria».
   E Gesù si avvia dietro ai contadini, che si sono rialzati e camminano un poco di sbieco per vederlo camminare. Il sentiero è piccolo, fra i tronchi degli alberi legati l’un coll’altro dalle viti.
   Giungono presto alla casa, anzi alle case, perché è un piccolo quadrato di case con al centro un comune ampio cortile nel quale è un pozzo, e vi si accede da un profondo corridoio che fa da vestibolo e che certo nella notte viene chiuso col portone pesante.
   «La pace sia a questa casa e a chi vi abita», dice Gesù entrando e alzando la mano a benedire, per poi abbassarla ad accarezzare un puttino seminudo che lo guarda estatico, bellissimo nella sua camicina senza maniche che è scivolata dalla spalla grassoccia, ritto sui piedini nudi, con un ditino in bocca e una crosta di pane unta d’olio nell’altra manina.
   «È Davide, il bambino di mio fratello minore», spiega Gamala, mentre un altro dei vignaiuoli entra nella casa più prossima a dare l’avviso e poi ne esce per entrare in un’altra e così fa per tutte, di modo che visi di tutte le età si affacciano e poi si ritirano per ritornare dopo una sommaria toletta.

   256.5 Seduto all’ombra di una tettoia sporgente, alla quale fa da riparo un fico gigantesco, è un vecchio col bastoncello fra le mani. Non alza neppure il capo, come niente lo interessasse.
   «È nostro padre», spiega Gamala. «Uno dei vecchi della casa, perché anche la moglie di Giacobbe ha portato qui il padre rimasto solo, e poi vi è la vecchia madre di Lia, la più giovane sposa. Nostro padre è cieco. Gli si è fatto il velo sulle pupille. Tanto sole nei campi! Tanto calore della terra! Povero padre! È molto rattristato. Ma è molto buono. Ora attende i nipoti perché sono la sua unica gioia».
   Gesù si dirige dal vecchio. «Dio ti benedica, padre».
   «Chiunque tu sia, ti renda Dio la tua benedizione», risponde il vecchio alzando il capo in direzione della voce.
   «È brutta la tua sorte, non è vero?», chiede Gesù dolcemente e fa segno di non dire chi è che parla.
   «Viene da Dio, dopo tanto bene che mi ha dato nella lunga mia vita. Come ho preso il bene da Dio, devo prendere anche la sventura della vista. Non è eterna, infine. Finirà sul seno d’Abramo».
   «Dici bene. Peggio sarebbe se fosse cieca l’anima».
   «Ho cercato di tenerla con la vista sempre».
   «Come hai fatto?».
   «Sei giovane tu che parli, la tua voce lo dice. Non sarai come quei giovani di ora che sono tutti ciechi perché sono senza religione, eh? Bada che è gran sventura non credere e non eseguire ciò che Dio ci ha detto. Un vecchio te lo dice, ragazzo. Se abbandonerai la Legge, sarai cieco in Terra e nell’altra vita. Mai più vedrai Iddio. Perché verrà pure un giorno che il Messia redentore ci aprirà le porte di Dio. Io sono troppo vecchio per vedere questo giorno sulla Terra. Ma lo vedrò dal seno di Abramo. Per questo non mi lamento di nulla. Perché spero che con queste ombre sconterò quello che posso avere commesso di ingrato a Dio e di meritarlo per la vita eterna. Ma tu sei giovane. Sii fedele, figlio, di modo che il Messia tu lo possa vedere.
   Perché il tempo è vicino. Il Battista lo ha detto. Tu lo vedrai. Ma se avrai l’anima cieca sarai come quelli di cui parla[48] Isaia. Avrai occhi e non vedrai».
   «Tu lo vorresti vedere, padre?», chiede Gesù posandogli una mano sulla testa bianca.
   «Lo vorrei vedere. Sì. Ma però preferisco andarmene senza vederlo, anziché vederlo io e che i miei figli non lo riconoscano. Io ho ancora la fede antica e mi basta. Essi… Oh! il mondo d’ora!…».
   «Padre, vedi dunque il Messia e sia coronata di giubilo la tua sera», e Gesù fa scivolare la sua mano dai capelli bianchi giù per la fronte sino al mento barbuto del vecchio come per una carezza, e intanto si curva per mettersi all’altezza del viso senile.
   «Oh! Altissimo Signore! Ma io vedo! Vedo… Chi sei, con questo volto ignoto eppure famigliare come già ti avessi visto?… Ma… Oh! stolto che sono! Tu che mi hai reso la vista sei il Messia benedetto! Oh! Oh!».
   Il vecchio piange sulle mani di Gesù che ha afferrate coprendole di baci e lacrime. Tutto il parentado è in subbuglio.
   Gesù si libera una mano e carezza ancora il vecchio dicendo: «Sì, sono Io. Vieni, che oltre che il viso tu conosca la mia parola».
   E si dirige ad una scaletta, che porta su una terrazza ombrosa per una pergola folta che l’ombreggia tutta. E tutti lo seguono.

   256.6 «Avevo promesso di parlare della speranza ai miei discepoli e avrei portato a spiegazione una parabola. La parabola eccola: questo vecchio israelita. Me lo dà il Padre dei Cieli il soggetto per insegnare a voi tutti la grande virtù che, come le braccia di un giogo, sorregge la fede e la carità.
   Dolce giogo. Patibolo dell’umanità come il braccio trasverso della croce, trono della salvezza come appoggio del serpente salutare alzato nel deserto. Patibolo dell’umanità. Ponte dell’anima per spiccare il volo nella Luce. Ed è messa in mezzo fra l’indispensabile fede e la perfettissima carità, perché senza la speranza non può esservi fede, e senza speranza muore la carità.
   Fede presuppone speranza sicura. Come credere di giungere a Dio se non si spera nella sua bontà? Come sorreggersi nella vita se non si spera in un’eternità? Come poter persistere nella giustizia se non ci anima la speranza che ogni nostra buona azione è da Dio vista e per darci di essa premio? Ugualmente, come fare vivere la carità se non c’è speranza in noi? La speranza precede la carità e la prepara. Perché un uomo ha bisogno di sperare per potere amare. I disperati non amano più. La scala è questa, fatta di scalini e di ringhiera: la fede i gradini, la speranza la ringhiera; in alto ecco la carità alla quale si sale mediante le altre due. L’uomo spera per credere, crede per amare.

   256.7 Quest’uomo ha saputo sperare. È nato. Un bambino di Israele come tutti gli altri. È cresciuto con gli stessi ammaestramenti degli altri. È divenuto figlio della Legge come tutti gli altri. Si è fatto uomo, sposo, padre, vecchio, sempre sperando nelle promesse fatte ai patriarchi e ripetute dai profeti. Nella vecchiaia sono scese le ombre sulle sue pupille ma non nel suo cuore. In esso è sempre rimasta accesa la speranza. Speranza di vedere Iddio. Vedere Iddio nell’altra vita. E, nella speranza di questa vista eterna, una, più intima e cara: “vedere il Messia”. E mi ha detto, non sapendo chi era il giovane che gli parlava: “Se abbandonerai la Legge sarai cieco in Terra e in Cielo. Non vedrai Dio e non riconoscerai il Messia”. Ha detto da saggio.
   Troppi sono ora in Israele che sono ciechi. Non hanno più speranza perché l’ha uccisa in loro la ribellione alla Legge, che è sempre ribellione, anche se velata da paramenti sacri, se non è accettazione integrale della parola di Dio, dico di Dio, non delle soprastrutture che vi sono state messe dall’uomo e che per essere troppe, e tutte umane, vengono trascurate da quelli stessi che le hanno messe, e fatte macchinalmente, sforzatamente, stancamente, sterilmente dagli altri. Non hanno più speranza. Ma irrisione delle verità eterne. Non hanno perciò più fede e più carità. Il divino giogo da Dio dato all’uomo perché se ne facesse ubbidienza e merito, la celeste croce che Dio ha dato all’uomo a scongiuro contro i serpenti del Male perché se ne facesse salute, ha perduto il suo braccio trasverso, quello che sorreggeva la fiamma candida e la fiamma rossa: la fede e la carità; e le tenebre sono scese nei cuori.
   Il vecchio mi ha detto: “È grande sventura non credere e non eseguire ciò che Dio ci ha detto”. È vero. Io ve lo confermo. È peggio della cecità materiale, che ancora può essere guarita per dare ad un giusto la gioia di rivedere il sole, i prati, i frutti della terra, i volti dei figli e nipoti, e soprattutto ciò che era la speranza della sua speranza: “Vedere il Messia del Signore”. Io vorrei che una simile virtù fosse viva nell’animo di tutto Israele, e specie in quelli che sono i più istruiti nella Legge. Non basta essere stato nel Tempio o del Tempio, non basta sapere a memoria le parole del Libro. Occorre saperle fare vita della nostra vita mediante le tre virtù divine. Voi ne avete un esempio: dove esse sono vive tutto è facile, anche la sventura. Perché il giogo di Dio è sempre giogo leggero, che preme solo sulla carne ma non abbatte lo spirito.

   256.8 Andate in pace, voi che restate in questa casa di buoni israeliti. Vai in pace, vecchio padre. Che Dio ti ami ne hai la certezza. Chiudi la tua giusta giornata deponendo la tua saggezza nel cuore dei pargoli del tuo sangue. Non posso rimanere, ma la mia benedizione resta fra queste mura pingue di grazie come i grappoli di questa vigna».
   E Gesù vorrebbe andarsene. Ma deve almeno fermarsi tanto da conoscere questa tribù di tutte le età e di ricevere quanto gli vogliono dare fino a rendere le sacche da viaggio panciute come otri… Poi può riprendere il cammino per una scorciatoia fra le viti che gli indicano i vignaiuoli, che non lo lasciano altro che alla via maestra, già in vista di un paesello dove Gesù e i suoi potranno sostare per la notte.

[47] Assuero, re persiano, il cui aspetto regale è presentato in: Ester 5, 1c.
[48] parla, in: Isaia 6, 9-10.