MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 260



CCLX. Due parabole di Pietro per i contadini della pianura di Esdrelon.

   22 agosto 1945.

   260.1 «Che cosa fate, amici, presso questo fuoco?», chiede Gesù trovando i discepoli intorno ad un ben nutrito fuoco, che splende nelle prime ombre della sera ad un crocevia della pianura di Esdrelon.
   Gli apostoli sobbalzano non avendolo veduto venire e dimenticano il fuoco per acclamare il Maestro. Sembra che sia un secolo che non lo vedono. Poi spiegano: «Zitto! Abbiamo composto una questione fra due fratelli di Jezrael e sono stati così contenti che ci hanno voluto dare ognuno un agnello. Abbiamo pensato di cuocerlo per darlo a quelli di Doras. Michea di Giocana li ha scannati e preparati e ora li mettiamo ad arrostire. Tua Madre con Maria e Susanna sono andate ad avvertire quelli di Doras di venire alla fine del vespero, quando l’intendente è chiuso in casa a sbevazzare. Le donne danno meno nell’occhio… Noi si è cercato di vederli passando come viandanti per i campi, ma si è fatto poco. Questa sera avevamo deciso di riunirci qui e di dire… qualche cosa di più, per l’anima, e farli stare bene anche nel corpo, come Tu hai fatto le altre volte. Ma ora ci sei Tu e sarà più bello».
   «Chi avrebbe parlato?».
   «Mah!… Un poco tutti… Così, alla buona. Non si è capaci di più, molto più che Giovanni, lo Zelote e tuo fratello non vogliono parlare, e neppure Giuda di Simone, e anche Bartolomeo cerca di non parlare… Ci siamo anche litigati per questo…», dice Pietro.
   «E perché non vogliono parlare quei cinque?».
   «Giovanni e Simone perché dicono che non sta bene sempre loro… Tuo fratello perché vuole che parli io dicendo che se non comincio mai… Bartolomeo perché… perché ha paura di parlare troppo da maestro e di non saperli convincere. Tu vedi che sono scuse…».
   «E tu, Giuda di Simone, perché non vuoi parlare?».
   «Ma per le stesse ragioni degli altri! Per tutte insieme, perché tutte giuste…».
   «Molte ragioni. E una non è detta

   260.2 Ora giudico Io, e con giudizio inappellabile. Tu, Simone di Giona, parlerai come dice il Taddeo, che dice con saggezza. E tu, Giuda di Simone, anche parlerai. Così una delle molte ragioni, quella nota a Dio e a te, cessa di esistere».
   «Maestro, credi, non c’è altro…», cerca di ribattere Giuda.
   Ma Pietro lo soverchia dicendo: «Oh! Signore! Io parlare Te presente? Non riuscirò! Ho paura che Tu rida…».
   «Tu non vuoi essere solo; tu non vuoi essere con Me… Che vuoi allora?».
   «Hai ragione. Ma… che devo dire?».
   «Guarda tuo fratello che sta venendo con gli agnelli. Aiutalo e mentre li cuoci pensaci. Tutto serve a trovare argomenti».
   «Anche un agnello sulla fiamma?», chiede incredulo Pietro.
   «Anche. Ubbidisci».
   Pietro ha un sospirone proprio pietoso, ma non ribatte più. Va incontro ad Andrea e lo aiuta a infilare le bestie su un appuntito bastone che fa da spiedo, e si dà a sorvegliare la cottura con una concentrazione nel viso che lo fa parere un giudice nel momento della sentenza.
   «Andiamo incontro alle donne, Giuda di Simone», ordina Gesù. E se ne va verso i campi senza vita di Doras. «Un buon discepolo non disprezza ciò che il Maestro non disprezza, Giuda», dice dopo qualche tempo e senza preamboli.
   «Maestro, io non sprezzo. Ma, come Bartolomeo, sento che non sarei capito e preferisco tacere».
   «Natanaele lo fa per paura di non eseguire il mio desiderio, ossia illuminare e sollevare i cuori. Fa male anche lui, perché manca di fiducia nel Signore. Ma tu fai molto più male perché in te non è paura di non essere capito, ma è disdegno di farti capire da poveri contadini, ignoranti in tutto fuorché nella virtù. In questa veramente superano molti di voi. Non hai ancora capito nulla, Giuda. Il Vangelo è proprio la Buona Novella portata ai poveri, ai malati, agli schiavi, ai desolati. Poi sarà anche degli altri. Ma è proprio perché gli infelici di tutte le infelicità abbiano aiuto e conforto, che essa è data».
   Giuda curva il capo e non risponde.

   260.3 Da un folto di piante sbucano Maria, Maria Cleofe e Susanna.
   «Madre, ti saluto! La pace a voi, donne!».
   «Figlio mio! Ero andata da quei… torturati. Ma ho avuto una notizia buona a non farmi soffrire oltre misura. Doras si è liberato di queste terre e le ha prese Giocana. Non è un paradiso… Ma non è più quell’inferno. Oggi l’intendente lo ha detto ai contadini. Lui se ne è già andato, portando via sui carri fino all’ultimo chicco di grano e lasciando tutti senza mangiare. E posto che il sorvegliante di Giocana ha per oggi cibarie solo per i suoi, quelli di Doras avrebbero dovuto stare senza mangiare. È proprio stata una provvidenza avere quegli agnelli!».
   «Provvidenza è anche che non siano più di Doras. Abbiamo visto le loro case… Porcili…», dice scandalizzata Susanna.
   «Sono tutti felici quei poveretti!», termina Maria Cleofe.
   «Io pure sono contento. Staranno sempre meglio di prima», risponde Gesù, che torna verso gli apostoli.
   Giovanni di Endor lo raggiunge con brocche d’acqua che porta insieme ad Ermasteo. «Ce le hanno date quelli di Giocana», spiega dopo avere venerato Gesù.
   Tornano tutti al posto dove rosolano i due agnelli fra dense nubi di fumo grasso. Pietro continua a rigirare il suo spiedo e intanto rimugina i suoi pensieri. Invece Giuda Taddeo, tenendo abbracciato alla vita il fratello, va avanti e indietro parlando fitto fitto. Gli altri, chi porta altre legna, chi prepara… la tavola, portando grosse pietre per fare da sedile o da tavola. Non so.

   260.4 Arrivano i contadini di Doras. Ancor più magri e laceri. Ma così felici! Sono una ventina e non c’è neppure un bambino né una donna. Poveri uomini soli…
   «La pace a voi tutti e benediciamo insieme il Signore per avervi dato un padrone migliore. Benediciamolo pregando per la conversione di quello che vi ha fatto tanto soffrire. Non è vero? Sei felice, vecchio padre? Io pure. Potrò venire più spesso col bambino. Ti hanno detto? Piangi di gioia, vero? Vieni, vieni senza timore…», dice parlando col nonno di Marziam, il quale gli bacia le mani tutto curvo e piangente e mormorante: «Non chiedo più nulla all’Altissimo. Mi ha dato più che non chiedessi. Ora vorrei morire per paura di vivere ancora tanto da ricadere nel mio soffrire».
   Un poco impacciati di essere col Maestro, i contadini si rinfrancano presto e, quando su larghe foglie, stese sulle pietre portate prima, vengono deposti i due agnelli e vengono fatte le parti, appoggiandola ognuna su una bassa e larga focaccia che fa anche da piatto, essi sono già tranquilli, nella loro semplicità, e mangiano di gusto, saziando tutta la fame che hanno accumulata e raccontando degli ultimi avvenimenti.
   Uno dice: «Ho sempre maledetto le locuste, le talpe e le formiche. Ma d’ora in poi mi sembreranno tanti messaggeri del Signore. Perché è per essi che noi lasciamo l’inferno». E per quanto il paragonare le formiche e le locuste alle schiere angeliche sia un po’ forte, pure nessuno ride, perché tutti sentono la tragicità che è celata sotto quelle parole.
   La fiamma illumina questa accolta di persone, ma i volti non guardano la fiamma e poco guardano ciò che hanno davanti. Tutti gli occhi convergono sul volto di Gesù, distraendosene solo per qualche momento quando Maria d’Alfeo, che si occupa di fare le parti, torna ad appoggiare nuova carne sulle focacce degli affamati contadini e termina la sua opera avvolgendo due cosciotti arrostiti in altre larghe foglie, dicendo al vecchio parente di Marziam: «Tieni. Un boccone per uno lo avrete anche domani. Intanto il sorvegliante di Giocana provvederà».
   «Ma voi…».
   «Noi andiamo più leggeri. Prendi, prendi, uomo».
   Dei due agnelli non restano che le ossa spolpate e un persistente odore di grasso colato, che ancora bruciacchia sulle le gna che stanno spegnendosi, surrogate nell’illuminare dal chiarore della luna.

   260.5 Anche i contadini di Giocana si uniscono agli altri. È l’ora di parlare.
   Gli occhi azzurri di Gesù si alzano cercando Giuda Iscariota che si è messo vicino ad un albero, un poco nell’ombra. E vedendo che egli mostra di non capire quello sguardo, Gesù chiama forte: «Giuda!». È giocoforza alzarsi e venire avanti.
   «Non ti appartare. Ti prego di evangelizzare per Me. Sono molto stanco. E se non fossi giunto questa sera, avreste ben dovuto parlare voi!».
   «Maestro… io non so che dire… Fàmmi almeno delle domande».
   «Non sono Io che te le devo fare. A voi: che avete desiderio di udire o di avere spiegato?», chiede poi ai contadini.
   Gli uomini si guardano l’uno con l’altro… sono incerti… Infine un contadino chiede: «Noi abbiamo conosciuto la potenza del Signore e la sua bontà. Ma ben poco sappiamo della sua dottrina. Forse ora ne potremo sapere di più, stando con Giocana. Ma in noi è viva la volontà di sapere quali sono le cose indispensabili da farsi per ottenere il Regno che il Messia promette. Con quel nulla che possiamo fare, potremo ottenerlo?».
   Giuda risponde: «Certo è che voi siete in condizioni molto crucciose. Tutto in voi e intorno a voi congiura per allontanarvi dal Regno. La libertà che non avete di venire al Maestro quando vi pare, la condizione di servi di un padrone — che, se non è una iena come Doras, è, a quel che ci risulta, un molosso che tiene ben prigionieri i suoi servi — le sofferenze e l’avvilimento in cui siete, sono altrettante condizioni sfavorevoli alla vostra elezione al Regno. Perché difficilmente in voi non saranno risentimenti e sentimenti di rancore, di critica e di vendetta verso colui che vi tratta duramente. E il minimo necessario è amare Dio e il prossimo. Senza questo non c’è salvezza. Voi dovrete vigilare per contenere il vostro cuore in una sommissione passiva al volere di Dio, che si palesa nella vostra sorte, e in una paziente sopportazione del padrone, senza neppure permettere al vostro pensiero la libertà di un giudizio, che non potrebbe certo essere benevolo verso il padrone né di ringraziamento verso la vostra… verso il vostro… Insomma, non dovrete riflettere per non avere ribellioni in voi, ribellioni che ucciderebbero l’amore. E chi non ha l’amore non ha salvezza perché contravviene al primo precetto. Io però sono quasi certo che voi potrete salvarvi, perché vedo in voi la buona volontà unita ad una mitezza d’animo, che dà buona speranza che saprete tenere lontano da voi l’odio e lo spirito di vendetta. Del resto, la misericordia di Dio è tanto grande che vi condonerà quanto ancora manca alla vostra perfezione».

   260.6 Un silenzio. Gesù sta a testa molto china e non se ne vede l’espressione; ma degli altri sono visibili i volti. E non sono veramente volti beati. Quelli dei contadini sono più avviliti di prima, quelli degli apostoli e delle donne sono stupiti e direi quasi spaventati.
   «Cercheremo di non fare sorgere in noi nessun pensiero che non sia di pazienza e di perdono», risponde il vecchio umilmente.
   Un altro contadino sospira: «Certo sarà difficile giungere alla perfezione dell’amore, per noi che è già molto se non siamo divenuti assassini dei nostri torturatori! L’animo soffre, soffre, soffre, e se anche non odia fa fatica ad amare, come quei bambini macilenti che fanno fatica a crescere…».
   «Ma no, uomo. Io invece credo che, proprio perché avete tanto sofferto senza giungere ad essere assassini e vendicativi, voi avete l’animo più forte del nostro nell’amore. Voi amate senza neppure avvedervene», dice Pietro per consolarli.

   260.7 E si avvede di avere parlato e si interrompe per dire: «Oh! Maestro!… Ma… mi hai detto che dovevo parlare… e di trovare l’argomento anche dall’agnello che arrostivo. Io l’ho continuato a guardare per cercare delle parole buone per questi nostri fratelli, per il loro caso. Ma, certo perché sono uno stolto, non ho trovato nulla di appropriato e, non so come, mi sono trovato molto lontano, in pensieri che non so se dire stravaganti, e allora sono certo miei, o santi, e allora sono certo venuti dal Cielo. Io li dico, così come sono venuti, e Tu, Maestro, me ne darai spiegazione o rimprovero, e voi tutti compatimento. Guardavo dunque per prima cosa la fiamma e mi è venuto questo pensiero: “Ecco: di cosa è fatta la fiamma? Dalle legna. Ora la legna di per sé non fiammeggia. Anzi, se non è bene asciutta, non fiammeggia affatto, perché l’acqua l’appesantisce e impedisce all’esca di accenderla. La legna quando è morta giunge anche a imputridire, a sfarinarsi per i tarli, ma da sé non si accende. Eppure, ecco che se uno la dispone in modo atto e le avvicina l’esca e l’acciarino e poi fa sorgere la scintilla e ne favorisce l’apprendersi col soffiare sulle frasche sottili per aumentare la fiammella — perché si incomincia sempre dalle cose più sottili — ecco che la fiamma sorge e si fa bella e utile, e tutto investe, anche le grosse legna”. E mi dicevo: “Noi siamo le legna. Da soli non ci accendiamo. Ma però ci vuole in noi la cura di non essere troppo pregni delle pesanti acque di carne e sangue per permettere all’esca di apprendersi con la sua scintilla. E dobbiamo desiderare di essere arsi perché, se rimaniamo inerti, possiamo esser distrutti dalle intemperie e dai tarli, ossia dall’umanità e dal demonio. Mentre, se ci abbandoniamo al fuoco dell’amore, esso comincerà ad ardere le ramette più esili e le distruggerà — e le ramette per me erano le imperfezioni — e poi crescerà e attaccherà le legna più grosse, ossia le passioni più robuste. E noi legna, cosa materiale, dura, opaca, brutta anche, diventeremo quella bella, incorporea, agile, splendida cosa che è la fiamma. E tutto perché ci saremo prestati all’amore, che è l’acciarino e l’esca che del nostro misero essere di uomo peccatore fanno l’angelo del tempo futuro, il cittadino del Regno dei Cieli”. E questo è stato un pensiero».

   260.8 Gesù ha alzato un poco la testa e sta ad ascoltare ad occhi chiusi, con un’ombra di sorriso sulle labbra. Gli altri guardano Pietro, ancora stupiti ma non più spaventati.
   Lui continua tranquillo: «Un altro pensiero mi è venuto guardando le bestie che si cuocevano. Non dite che sono puerile nei miei pensieri. Il Maestro mi ha detto di cercarli in ciò che vedevo… E io ho ubbidito. Dunque guardavo le bestie e dicevo: “Ecco. Sono due innocenti, due miti. La nostra Scrittura è piena di dolci allusioni[55] all’agnello, e per ricordare Colui che è il promesso Messia e Salvatore fin da quando fu accennato nell’agnello mosaico, e per dire che Dio avrà pietà di noi. Lo dicono i profeti. Egli viene a radunare le sue pecore, a soccorrere le ferite, a portare le fratturate. Quanta bontà!”, dicevo.
   “Come non bisogna avere paura di un Dio che promette tanta pietà per noi miserabili! Ma”, dicevo ancora, “bisogna essere miti, almeno miti, posto che innocenti non siamo. Miti e desiderosi di essere consumati dall’amore. Perché anche il più bello e puro agnellino, che diventa, dopo che viene ucciso, se la fiamma non lo cuoce? Una putrida carogna. Mentre ecco che, se il fuoco lo investe, esso diviene cibo sano e benedetto”. E concludevo: “Insomma tutto il bene è fatto dall’amore. Esso ci spoglia dalle pesantezze dell’umanità, ci fa splendenti e utili, ci rende buoni ai fratelli e grati a Dio. Esso sublima le nostre buone qualità naturali portandole ad una altezza che prende il nome di virtù soprannaturali. E chi è virtuoso è santo, chi è santo possiede il Cielo. Perciò, quello che ci apre le vie della perfezione non è la scienza e non la paura. Ma è l’amore. Esso, molto più del timore del castigo, ci tiene lontani dal male per il desiderio di non addolorare il Signore. Esso ci fa compatire i fratelli e amarli perché vengono da Dio. Perciò l’amore è la salvezza e la santificazione dell’uomo”. Queste erano le cose che pensavo guardando il mio arrosto e ubbidendo a Gesù mio. E perdonate se sono queste sole. Ma a me hanno fatto bene. Ve le do nella speranza che facciano bene a voi pure».

   260.9 Gesù apre gli occhi, e sono raggianti. Allunga un braccio e posa la mano sulla spalla di Pietro: «In verità tu hai trovato le parole che dovevi. L’ubbidienza e l’amore te le hanno fatte trovare, e l’umiltà e il desiderio di dare consolazione ai fratelli faranno di esse tante stelle nel loro cielo oscuro. Dio ti benedica, Simone di Giona!».
   «Dio benedica Te, Maestro mio! E Tu non parli?».
   «Domani essi entreranno nella nuova dipendenza. Benedirò la loro entrata con la mia parola. Ora andate in pace e Dio sia con voi».

[55] allusioni, per esempio in: Isaia 53, 7; Geremia 11, 19 agnello mosaico, prescritto in: Esodo 12, 1-11 dicono i profeti, come in: Geremia 23, 3; Ezechiele 34, 1116.