MARIA
VALTORTA

Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia parola

"Quando la Chiesa - e per tale alludo ora alla riunione degli alti dignitari di Essa - agì secondo i dettami della mia Legge e del mio Vangelo, la Chiesa conobbe tempi fulgidi di fulgore. Ma guai quando, anteponendo gli interessi della Terra a quelli del Cielo, inquinò Se stessa con passioni umane! Tre volte guai quando adorò la Bestia di cui parla Giovanni, ossia la Potenza politica, e se ne fece asservire..." (Qd 12 dicembre 1943)

OPERA MAGGIORE

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VOLUME IV CAPITOLO 293



CCXCIII. Il discorso e i miracoli a Bozra dopo l'irruzione di due farisei. Il dono della fede ad Alessandro Misace.

   2 ottobre 1945.

   293.1 …E il mondo è anche tanto vicino con le sue onde di odio, di tradimento, di dolore, di bisogno, di curiosità. E le onde vengono, come quelle del mare in un porto, a morire qui, dentro il cortile dell’albergo di Bozra, che il rispetto dell’oste, migliore di cuore di quanto non lo faccia supporre la sua faccia, ha nettato da escrementi e brutture. Gente e gente, del luogo e non del luogo, ma ancora della regione. E gente che dai discorsi comprendo venire da lontano, dalle rive del lago o da oltre lago. Nomi di paesi, frammenti di dolori si afferrano fra i discorsi che si intrecciano in attesa di Gesù. Gadara, Ippo, Gerghesa, Gamala, Afeca, e Naim, Endor, Jezrael, Magdala e Corozim passano da bocca a bocca, e con essi i racconti dei motivi per cui da tanto lontano sono venuti fino qui.
   «Quando ho saputo che Egli era venuto per l’Oltre Giordano mi sono sconfortato. Ma mentre stavo per tornare a Jezrael sono venuti dei discepoli e hanno detto, a noi che aspettavamo a Cafarnao: “A quest’ora Egli è certo oltre Gerasa. Non perdete tempo ad andare a Bozra o ad Arbela”, e sono venuto con questi…».
   «Io invece da Gadara ho visto passare dei farisei. E chiedevano se c’era Gesù di Nazaret che era nella regione. Ho la moglie malata. Mi sono unito a loro. Poi, ieri ad Arbela, ho saputo che prima veniva a Bozra e sono venuto qui».
   «Io da Gamala vengo, per questo bambino. L’ha colpito una vacca furente. M’è rimasto così…», e mostra il figlio tutto rattrappito, incapace di muovere anche le braccia liberamente.
   «Io non ho potuto portare il mio. Vengo da Mageddo. Che dite? Me lo guarirà anche da qui?», geme una donna dal volto arrossato dal pianto.
   «Ma ci vuole il malato!».
   «No. Basta aver fede».
   «No. Se non impone le mani non si guarisce. Fanno così anche i discepoli suoi».
   «Hai fatto tanta strada per nulla, donna!».
   La donna si dà a piangere dicendo: «O me misera! E l’ho lasciato quasi moribondo, sperando… Non lo guarirà, e io non lo consolerò nella morte…».
   Un’altra donna la consola: «Non credere, donna. Io vengo a dirgli grazie perché mi ha fatto un grande miracolo senza lasciare il monte su cui parlava».
   «Che male aveva tuo figlio?».
   «Non era il figlio. Era il marito che era divenuto folle…», e le due continuano a parlare sottovoce.
   «È vero. Anche la madre d’Arbela ebbe redento il figlio senza che il Maestro lo vedesse…», dice uno di Arbela e continua a parlare con dei vicini…
   «Largo, per pietà! Largo!», urlano dei portatori di una lettiga tutta coperta.
   La folla si fende e la lettiga passa col suo carico di dolore, andando a porsi là in fondo, quasi dietro ad un pagliaio. Uomo o donna colui che è steso sul lettuccio? Chissà!

   293.2 Entrano due farisei tronfi e ben portanti, superbi più che mai. Assalgono il povero albergatore come due matti, urlando:
   «Maledetto mentitore! Perché ci hai detto che non c’era? Complice sei di Lui? Schernirti così di noi, i santi di Israele, per favorire… Chi poi? Che ne sai tu chi è? Che è per te?».
   «Che è? Ciò che voi non siete. Ma non ho mentito. È venuto poche ore dopo la vostra venuta. E non si è nascosto, né io lo nascondo. Ma siccome il padrone qui sono io, sull’istante vi dico: “Uscite da casa mia!”. Non si fa ingiuria qui al Nazareno. Capite? E se non capite le parole potrei parlarvi coi fatti, sciacalli che siete!».
   Il nerboruto alberghiere sembra così deciso di passare all’azione che i due farisei cambiano tono e si fanno striscianti come cagnoli minacciati dallo scudiscio. «Ma noi lo cerchiamo per venerarlo! Che credi? Ci ha fatto inferocire il pensiero di non poterlo vedere per tua colpa. Noi lo sappiamo chi è Egli. Il Messia, santo e benedetto, al quale noi non siamo degni di alzare lo sguardo. Noi polvere, Egli gloria di Israele. Conducici da Lui.
   La nostra anima brucia dalla voglia di udire la sua parola».
   L’oste rifà loro il verso a meraviglia, rispondendo: «Oh! guarda! E come ho potuto pensare che così non fosse, io che so di fama la giustizia dei farisei?! Ma certo. Voi siete venuti per adorarlo! Voi bruciate di questo desiderio! Vado a dirglielo. Vado… No, per Satana! Tu non mi segui! E neppur tu, o vi sbatacchio tanto, vecchie mummie velenose, da farvi entrare l’uno nell’altro. Qui state. Tu qui, dove ti pianto. E tu qui. E mi spiace di non potervi conficcare nella terra fino al collo per servirmi di voi come di piolo per legarvi i porci da scannare»; e unisce le parole all’azione, prendendo prima il più striminzito fariseo per le ascelle, alzandolo e poi ripiantandolo a terra così violentemente che per davvero che, se non era terreno ben duro, il disgraziato sarebbe entrato almeno fino alla caviglia nel suolo. Ma il terreno è duro e il fariseo resta ritto, dopo un grande scuotìo, come fosse un pupazzo. Poi l’oste prende l’altro e, per quanto sia piuttosto obeso, lo alza e lo riabbassa con la stessa furia e, posto che l’altro reagisce e si divincola, finisce che invece di metterlo ritto lo butta giù, seduto: un fagotto di carne e di stoffa… E se ne va poi, dicendo una brutta parola che si sperde fra i lamenti dei due e le risate di molti altri.
   Entra in un corridoio, passa in una corticella, prende una scaletta, pone piede su un ballatoio porticato e da questo in una stanza vasta, nella quale stanno finendo il pasto Gesù con tutti i suoi, più il mercante.
   «Sono arrivati due dei quattro farisei. Règolati. Per ora li ho regolati io. Volevano venire dietro a me. Non ho voluto. Sono ora giù nel cortile fra molti, molti malati, e altri ancora».
   «Vengo subito. Grazie, Fara. Vai pure».

   293.3 Si alzano tutti. Ma Gesù ordina che i discepoli restino dove sono, e così le donne, meno sua Madre, Maria Cleofa, Susanna e Salome. E visto il dolore che si dipinge sui volti degli esclusi, dice: «Andate sul terrazzo. Mi udrete ugualmente».
   Esce con gli apostoli e le quattro donne. Rifà la strada fatta dall’oste, entra nel cortile grande. La folla allunga il collo per vedere, e chi è furbo monta sui pagliai, sui carri fermi contro un lato, sull’orlo delle vasche…
   I due farisei gli vanno incontro tutti ossequiosi. Gesù li saluta col suo solito saluto, come fossero i suoi più fedeli amici. Però non si ferma a rispondere alle loro domande untuose: «Così in pochi siete? E senza discepoli? Ti hanno dunque abbandonato?».
   Gesù, continuando a camminare, risponde serio: «Nessun abbandono. Voi venite da Arbela dove avete incontrato chi mi precede, e in Giudea avete incontrato Giuda di Simone, Tommaso, Natanaele e Filippo».
   Il fariseo corpulento non osa più seguirlo e si ferma di colpo, arrossendo come una bragia. L’altro, più sfacciato, insiste:
   «È vero. Ma appunto sapevamo che Tu eri con dei discepoli fedeli e con le donne, e ci stupivamo di vederti con così pochi. Volevamo vedere le tue nuove conquiste per felicitarci con Te», e ride falso.
   «Le mie conquiste nuove? Eccole!», e Gesù fa un gesto a semicerchio, indicando la folla per lo più dell’Oltre Giordano, ossia di questa regione dove è Bozra. E poi, senza lasciare tempo al fariseo di replicare, inizia a parlare.

   293.4 «“Mi han cercato[99] quelli che prima non domandavano di Me. Mi han trovato quelli che prima non mi cercavano. Ed Io ho detto: ‘Eccomi, eccomi’ ad una nazione che non invocava il mio Nome”.
   Gloria al Signore che parla la verità sulla bocca dei Profeti! Veramente Io, guardando questa folla che mi si stringe intorno, esulto nel Signore, perché vedo compite le promesse che l’Eterno mi ha fatte quando mi mandò nel mondo. Quelle promesse che Io stesso ho accese, col Padre e col Paraclito, nel pensiero, nella bocca, nel cuore dei Profeti, quelle promesse che Io ho conosciute prima di esser Carne e che mi hanno confortato a vestire una carne. E mi confortano. Sì. Mi confortano da ogni odio, rancore, dubbio e menzogna. Mi hanno cercato quelli che prima non domandavano di Me. E mi hanno trovato coloro che non mi cercavano. Perché questo se invece coloro, ai quali Io ho teso le mani dicendo: “Eccomi”, mi hanno respinto? Eppure essi mi conoscevano, mentre questi non mi conoscevano. E allora?
   Ecco la chiave del mistero. Non è colpa l’ignorare, ma è colpa il rinnegare. E troppi di quelli che sanno di Me, e ai quali ho teso le mani, mi hanno rinnegato come fossi un bastardo o un ladrone, un satana corruttore, perché nella loro superbia hanno spento la fede e si sono smarriti per vie non buone, contorte, peccaminose, lasciando la via che la mia voce indica loro. Il peccato è nel cuore, nei piatti, nei letti, nei cuori, nelle menti di questo popolo che mi respinge e che, vedendo riflessa ovunque la sua propria immondezza, sopra Me pure la vede, e il suo astio più ancor la concentra, e allora mi dice: “Allontanati, ché sei immondo”.
   E che allora dirà Colui che viene con le vesti tinte di rosso, bello nel suo vestito, e cammina nella grandezza della sua forza? Già compirà ciò che dice Isaia, e non tacerà, ma verserà quanto si meritano nel loro seno? No. Prima ha da pigiare nel suo strettoio, tutto solo, da tutti abbandonato, per fare il vino della Redenzione. Il vino che inebria i giusti per farne dei beati, il vino che inebria i colpevoli della gran colpa per farne in bricioli la loro sacrilega potenza. Sì. Il mio vino, quello che si matura ora per ora al sole dell’eterno Amore, sarà rovina e salvezza di molti, come è detto in una profezia ancor non scritta, ma depositata nella roccia senza fenditura da cui è sgorgata la Vite che dà il Vino di Vita eterna.

   293.5 Voi capite? No, non capite, o dottori di Israele. Ma non importa che voi comprendiate. Sta scendendo su voi la tenebra di cui parla[100] Isaia: “Hanno occhi e non vedono. Hanno orecchie e non odono”. Fate schermo alla Luce col vostro livore, onde si possa dire che la Luce è stata respinta dalle tenebre e il mondo non l’ha voluta conoscere.
   Ma voi, voi esultate! Voi che essendo nelle tenebre avete saputo credere alla Luce che vi veniva annunciata, voi che l’avete desiderata, cercata, trovata. Esulta, o popolo dei fedeli che per monti, fiumi, valli e laghi sei venuto alla Salute, senza contare il peso del lungo cammino. Così si fa anche per l’altro spirituale cammino che è quello che dalle tenebre dell’ignoranza condurrà te, o popolo di Bozra, alla luce della Sapienza.
   Esulta, o popolo dell’Auranite! Esulta nella gioia della conoscenza. Veramente anche di te è detto, e dei popoli tuoi limitrofi, quando canta il Profeta che i vostri cammelli e dromedari si accalcheranno per le vie di Neftali e di Zabulon per portare adorazione al vero Dio e per essere suoi servi nella santa e dolce legge, che non impone altre cose, per dare paternità divina e beatitudine eterna, che di osservare i dieci comandi del Signore: amare il vero Dio con tutti se stessi, amare il prossimo come se stessi, rispettare i sabati senza profanarli, onorare i genitori, non uccidere, non rubare, non fare adulterio, non essere falso nelle testimonianze, non desiderare la donna e la roba d’altri. Oh! voi beati se, venendo da più lontano, sorpasserete quelli che erano della casa del Signore e che ne sono usciti pungolati dai dieci comandi di Satana del disamore a Dio, dell’amore a se stessi, della corruzione del culto, della durezza ai parenti, del desiderio omicida, del tentato furto dell’altrui santità, della fornicazione con Satana, delle testimonianze false, dell’invidia per la natura e missione del Verbo, e del peccato orrendo che lievita e matura nel fondo dei cuori, di troppi cuori.

   293.6 Esultate, o sitibondi! Esultate, o affamati! Esultate, o afflitti! Eravate i reietti? Eravate i proscritti? Eravate gli spregiati? Eravate gli stranieri? Venite! Esultate! Ora non più. Io vi do casa, beni, paternità, patria. Il Cielo vi do. Seguitemi, ché sono il Salvatore! Seguitemi, ché sono il Redentore! Seguitemi, ché sono la Vita! Seguitemi, ché sono Colui al quale il Padre non nega grazie! Esultate nel mio amore! Esultate! E, perché vediate che Io vi amo, o voi che mi avete cercato coi vostri dolori, o voi che avete creduto in Me prima ancora di avermi conosciuto; perché questo giorno sia di vera esultanza, Io prego così: “Padre, Padre santo! Su tutte le ferite, le malattie, le piaghe dei corpi, le angosce, i tormenti, i rimorsi dei cuori, su tutte le fedi che nascono, su quelle che vacillano, su quelle che si rafforzano, scenda, oh! scenda salute, grazia, pace! Pace in mio Nome! Grazia in tuo Nome! Salute per il nostro reciproco amore! Benedici, o Padre santissimo! Raccogli e fondi in un solo gregge questi tuoi e miei figli dispersi! Fa’ che dove Io sarò essi siano, una sola cosa con Te, Padre santo, con Te, con Me e col divinissimo Spirito”».
   Gesù, a braccia aperte in forma di croce, le palme alte verso il cielo, il volto alzato, la voce squillante come una tuba d’argento, è travolgente nel suo dire… Resta così, in silenzio, per qualche minuto. Poi i suoi occhi di zaffiro lasciano di guardare il cielo per guardare l’ampio cortile pieno di folla, che sospira commossa o freme di speranza; le mani si riuniscono quasi portandosi in avanti e, con un sorriso che lo trasfigura, Egli getta l’ultimo grido: «Esultate, o voi che credete e sperate! Popolo dei sofferenti, sorgi e ama il Signore Iddio tuo!».

   293.7 È simultanea e complessiva la guarigione di tutti i malati.
   Un trillio di grida, un tuonare di voci osanna il Salvatore. E dal fondo del cortile, ancor trascinando il lenzuolo che la copriva, una donna fende la folla cadendo ai piedi del Signore. La folla ha un urlo diverso, di terrore: «Maria, la lebbrosa moglie di Gioacchino!», e fugge in tutte le direzioni.
   «Non temete! Ella è guarita. Né il suo contatto può farvi più male», rassicura Gesù. E poi alla prostrata: «Alzati, donna. La tua grande speranza ti ha premiata e ti fa perdonare di aver calpestato la prudenza verso i fratelli. Torna alla tua casa dopo le purificazioni salutari».
   La donna, giovane e passabilmente bella, piange alzandosi in piedi. Gesù la mostra alla folla, che si accosta un poco e ammira il miracolo urlando le sue meraviglie.
   «Il marito che l’adorava le aveva costruito un rifugio in fondo alle sue terre, e ogni sera andava al limite di esso e piangendo le dava cibo…».
   «Ella si era ammalata per la sua pietà, curando un mendico che non s’era detto lebbroso».
   «Ma come è venuta Maria, la buona?».
   «Con quella barella. Come non ci abbiamo pensato che erano due servi di Gioacchino?».
   «Hanno sfidato di esser lapidati per questo».
   «La loro padrona! L’amano, sa farsi amare, più di se stessi…» Gesù fa un gesto e tutti tacciono: «Voi vedete che amore e bontà provocano miracolo e gioia. Sappiate esser buoni, perciò. Vai, donna. Nessuno ti farà del male. La pace sia con te e nella tua casa».
   La donna, seguita dai servi, che hanno incendiato la barella in mezzo al cortile, esce seguita da molti.

   293.8 Gesù congeda la folla dopo aver ascoltato qualcuno e si ritira in casa, seguito da chi era con Lui.
   «Che parole, Maestro!».
   «Come eri trasfigurato!».
   «Che voce!».
   «E che miracoli!».
   «Hai visto quando sono fuggiti i farisei?».
   «Se ne sono andati strisciando come due ramarri dopo le prime parole».
   «Quelli di Bozra e di tutti questi paesi hanno di Te un ricordo di sole…».
   «Madre, e tu che dici?».
   «Io ti benedico, Figlio. Per me e per loro».
   «Ebbene, la tua benedizione mi seguirà fino a che ci ritroveremo».
   «Perché dici così, Signore? Le donne ci lasciano, dunque?».
   «Sì, Simone.

   293.9 Domani alla prima luce Alessandro parte per Aera. Andremo con lui fino alla strada di Arbela e poi lo lasceremo. E con dolore, credilo, Alessandro Misace, che sei stato una guida cortese del Pellegrino. Mi ricorderò di te sempre, Alessandro…».
   Il vecchio è commosso. Sta con le braccia incrociate sul petto nel profondo saluto orientale, un poco curvo, di fronte a Gesù. Ma sentendo queste parole dice: «Soprattutto ricordati di me quando sarai nel tuo Regno».
   «Lo desideri, Misace?».
   «Sì, mio Signore».
   «Io pure desidero una cosa da te».
   «Quale, Signore? Sol che io possa, te la darò. Fosse la più preziosa delle cose che posseggo».
   «È la più preziosa. La tua anima voglio. Vieni a Me. Ti ho detto, in principio del viaggio, che speravo di darti un dono alla fine. Il dono è la Fede. Credi tu in Me, Misace?».
   «Io credo, Signore».
   «Allora santifica la tua anima, onde la Fede non sia per te dono non solo inerte, ma dannoso».
   «È vecchia la mia anima. Ma mi sforzerò di farla nuova. Signore, io sono un vecchio peccatore. Ma Tu assolvimi e benedicimi perché da qui io cominci una vita nuova. Porterò con me la tua benedizione come la migliore scorta nel mio cammino verso il tuo Regno… Ci vedremo mai più, Signore?».
   «Mai più su questa Terra. Ma saprai di Me e crederai ancora di più, perché non ti lascerò senza evangelizzazione. Addio, Misace. Domani poco tempo avremo di salutarci. Facciamolo ora, prima di consumare per l’ultima volta il cibo insieme».
   Lo abbraccia e lo bacia. Anche gli apostoli e i discepoli lo fanno. Le donne salutano in un unico saluto.
   Ma Misace si inginocchia quasi davanti a Maria dicendo:
   «La tua luce di pura stella mattutina splenda nel mio pensiero fino alla morte».
   «Alla Vita, Alessandro. Ama mio Figlio e me amerai, ed io ti amerò».

   293.10 Simon Pietro chiede: «Ma da Arbela andremo ad Aera? Io ho paura che ci colga il mal tempo. Tanta nebbia… Sono tre giorni che c’è all’alba e al tramonto…».
   «Perché qui siamo discesi. Non ti pare di esser disceso molto? Ma così è. Da domani risalirai verso i monti della Decapoli e non avrai più nebbie», spiega Misace.
   «Discesi? Quando? Era strada piana…».
   «Sì, ma in continua discesa. Oh! così lenta che non si avverte. Ma su miglia e miglia!…».
   «Ad Arbela quanto ci stiamo?».
   «Tu, Giacomo e Giuda neppure un’ora», dice reciso Gesù.
   «Io… Giacomo e Giuda… neppur un’ora? E dove vado se non resto con voi tutti?».
   «Via. Fino alle terre di cui è custode Cusa. Accompagnerai con gli altri mia Madre e le donne fin lì. Poi andranno sole con i servi di Giovanna, e voi tornerete, raggiungendomi ad Aera».
   «Oh! Signore! Tu sei in collera con me e mi punisci… Quanto dolore mi dai, Signore!».
   «Simone, si sente punito chi si sa in colpa. Questo essere in colpa deve dare dolore, non la punizione in sé. Ma non credo che sia punizione accompagnare mia Madre e le discepole sulla via del ritorno».
   «Ma non era meglio venissi anche Tu con noi? Lascia perdere Aera e questi luoghi, e vieni con noi».
   «Ho promesso di andarvi e ci vado».
   «Allora ci vengo anche io».
   «Tu ubbidisci come senza proteste fanno i fratelli miei».
   «E se trovi i farisei?».
   «Non sei certo tu il più indicato a convertirli. Ma è appunto perché li troverò che voglio che tu, con Giacomo e Giuda, andiate via prima di Arbela con le donne e con Giovanni di Endor e Marziam».
   «Ah!… ho capito! Va bene».
   Gesù si volge alle donne e le benedice una per una dando ad ognuna consigli adatti.
   La Maddalena, nel chinarsi a baciare i piedi del suo Salvatore, chiede: «Ti vedrò ancora prima di ritornare a Betania?».
   «Senza dubbio, Maria. A etanim sarò sul lago».

[99] Mi han cercato… è citazione da: Isaia 65, 1. Ma il discorso che segue si riferisce anche ai versetti successivi e ad: Isaia 63.
[100] di cui parla, in: Isaia 6, 9-10.